2020-06-06
Negli Usa la polizia non uccide per razzismo
I numeri parlano chiaro: il problema è la violenza degli agenti, che prescinde dal colore della pelle. Ammazzati più caucasici che afroamericani. Tuttavia questi ultimi, in proporzione, delinquono maggiormente e si scontrano con le pattuglie. Spesso nere. La morte di George Floyd, l'afroamericano disarmato rimasto ucciso a Minneapolis durante un controllo di polizia, ha incendiato il dibattito politico americano. Gran parte del Partito democratico è andato all'attacco di Donald Trump, accusandolo di fomentare razzismo e divisione. Il presidente statunitense è stato inoltre da più parti tacciato di essere una sorta di responsabile morale per quanto accaduto. Eppure, a ben vedere, le cose non stanno esattamente così.Quello della violenza della polizia è un vecchio e innegabile problema che affligge svariate aree degli Stati Uniti. Una violenza che - per quanto inaccettabile - non è necessariamente legata al razzismo, come spesso si sostiene con una certa superficialità. Come nota il database del Washington Post, in termini assoluti il maggior numero di vittime della polizia americana è di pelle bianca. Negli ultimi quattro anni sono infatti rimasti uccisi 2.426 caucasici, a fronte di 1.269 afroamericani e 892 ispanici. Tuttavia, sempre stando al Washington Post, il tasso di probabilità che un afroamericano ha di rimanere ucciso da un poliziotto è superiore a quello riguardante un bianco. Su 1 milione di bianchi 12 sono considerati a rischio, mentre su 1 milione di afroamericani la stima sale a 30. Questo squilibrio non è però automaticamente riconducibile al razzismo. Uno studio congiunto dell'Università del Michigan e dell'Università del Maryland, pubblicato a luglio scorso, ha infatti rilevato che i cittadini neri cadono soprattutto per mano di agenti afroamericani. E questo accade - ha spiegato il professor Joseph Cesario - perché i poliziotti afroamericani e ispanici sono assegnati sovente ad aree urbane con la stessa composizione demografica. A una conclusione sostanzialmente simile era arrivata anche un'analisi del dipartimento di polizia di Filadelfia condotta nel 2015. Ciò non significa che non possano aver luogo singoli casi di poliziotti mossi da odio razziale, ma non si può tuttavia parlare di razzismo sistemico.Il quadro va considerato nel suo insieme e nella sua complessità. Se la polizia americana si macchia spesso di violenze e soprusi, bisogna anche ricordare che - come nota sempre il Washington Post - in molti casi, le vittime degli agenti (bianche, nere o ispaniche) risultino comunque armate di pistola o coltello. Statistiche alla mano, un significativo segmento della popolazione afroamericana riscontri profondi problemi di natura socioeconomica: un elemento che, almeno in parte, può spiegare la ragione per cui ci sia un considerevole tasso di criminalità tra i neri. Secondo quanto riferito quattro giorni fa dal Wall Street Journal, erano afroamericani i responsabili del 53% degli omicidi e del 60% dei furti commessi negli Stati Uniti nel 2018. Un dato significativo, visto che i neri costituiscono appena il 13% della popolazione americana. In questo senso, è sempre stata convinzione di Trump che proprio sulla dimensione socioeconomica si dovesse far leva, per aiutare concretamente le minoranze etniche. Non è un caso che, prima della crisi economica legata al coronavirus, il tasso di disoccupazione tra gli afroamericani fosse progressivamente diminuito tra il 2017 e i primi mesi del 2020. Secondo Statista.com, nel 2019 il tasso era al 6,1%: il dato più basso da (almeno) il 1990. E se adesso quei risultati sono stati bruciati dalla crisi del Covid-19, è altrettanto vero che i dati - diffusi ieri dal Bureau of Labor Statistics - hanno mostrato dei segnali incoraggianti (con 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro). Chi accusa Trump di ostilità verso gli afroamericani sbaglia completamente bersaglio. Non solo perché, durante la sua presidenza, le loro condizioni economiche sono migliorate. Ma anche perché - sotto un profilo meramente elettorale - il presidente non può fare soltanto affidamento sui bianchi per essere rieletto a novembre. Vale tra l'altro la pena di ricordare che chi punta oggi il dito contro la Casa Bianca per il caso Floyd dimentica che tragedie similari sono avvenute anche ai tempi di Barack Obama: si pensi soltanto a Freddie Gray, Eric Garner, Greg Gunn, Alton Sterling e Terence Crutcher.Infine, non si possono trascurare le responsabilità politico-amministrative per la violenza nelle forze dell'ordine: responsabilità che non riguardano la Casa Bianca. Negli Stati Uniti, difatti, sono i sindaci a nominare i vertici della polizia cittadina. Ricade pertanto anche su di loro la responsabilità per l'assenza di riforme volte a introdurre maggiori controlli e trasparenza nelle forze dell'ordine. In tal senso è degno di nota che, dal 1978, Minneapolis (la città di Floyd) ha avuto solo sindaci democratici. Inoltre - secondo Mapping Police Violence - tra le città più colpite da violenze di polizia negli ultimi anni figurano Phoenix, San Antonio, Dallas, Houston e Los Angeles. Ora, Los Angeles ha primi cittadini democratici dal 2001, Houston dal 1982 e Dallas dal 2011. A San Antonio è invece dal 2001 che non ci sono sindaci repubblicani, mentre l'amministrazione di Phoenix è democratica dal 2004 (con due brevi interim repubblicani per un totale inferiore all'anno). È quindi evidente che la questione riguarda strettamente anche i democratici americani: un partito che, al di là di una difesa astratta dei diritti civili, spesso non è in grado di tradurre nella pratica amministrativa quei princìpi di cui si fa sovente banditore.