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Negli States l’epidemia si allarga ma i dati dicono che è meno grave

Negli States l’epidemia si allarga ma i dati dicono che è meno grave
Donald Trump (Jabin Botsford/The Washington Post via Getty Images)
  • I casi registrati salgono a ritmo sostenuto e i positivi sono più di 1,8 milioni. I detrattori di Donald Trump ne fanno un argomento contro di lui, però l'incidenza del Covid-19 su terapie intensive e mortalità sta crollando.
  • Steve Bannon sostiene il ruolo chiave del nostro Paese: «Pechino ha un piano egemonico, ha pagato anche il Vaticano. Voi avete forza economica e siete la storia dell'Occidente».

Lo speciale contiene due articoli.


Si preannuncia un 4 luglio di fuoco per Donald Trump. Tutta colpa della crescita vertiginosa di casi di Covid-19 negli Stati Uniti, che nella giornata di giovedì hanno toccato un nuovo record, con un incremento pari a 55.274 unità nel giro di appena 24 ore. Una tendenza generalizzata, dal momento che ben 37 Stati su 50 hanno mostrato un trend in salita. Nella classifica dei «peggiori», in testa la Florida con 10.109 casi in più, seguita a ruota dal Texas (+8.076). Complessivamente, da inizio pandemia, gli americani risultati positivi al Covid sono 2.727.628, il numero più alto a livello mondiale. Sottraendo dal totale i guariti (781.970) e i decessi (121.487), il totale degli attualmente positivi negli Usa è pari a 1.824.171.

«I casi di coronavirus stanno risalendo di nuovo», titolava ieri il New York Times alludendo alla precedente impennata verificatasi intorno a metà aprile, «ma questa volta è diverso». Anche perché in primavera la metà dei contagi era concentrata nella Grande Mela. Oggi invece il virus è diffuso a macchia d'olio: si va dai 395.000 casi dello Stato di New York, ai 240.000 della California, fino ai 175.000 del Texas e ai 169.000 della Florida. Sulla scia della paura scatenata dalla diffusione dei nuovi dati, alcuni governatori hanno deciso di fare marcia indietro sulle riaperture. Spiccano per la durezza delle iniziative il repubblicano Greg Abbott (Texas) e la dem Laura Kelly (Kansas), entrambi firmatari di ordini esecutivi finalizzati all'introduzione dell'obbligo della mascherina in pubblico. Con la firma di Abbott e Kelly, sono 23 gli Stati che prevedono l'obbligo di indossare un dispositivo di protezione. Sulla costa del Pacifico, mercoledì il governatore della California Gavin Newsom ha disposto la chiusura dei bar in 19 contee, proibendo allo stesso tempo la ristorazione indoor in ristoranti, zoo e musei. Giovedì l'ammiraglio Brett Giroir, sottosegretario al Dipartimento della salute, ha espresso preoccupazione per la possibilità che i festeggiamenti in occasione dell'anniversario dell'indipendenza americana possano peggiorare la situazione nelle città in cui i casi sono in crescita, o viceversa innescare nuovi focolai dove invece la situazione risulta più tranquilla. Ma qual è il reale andamento dell'epidemia negli Stati Uniti? A dispetto dell'enorme mole di dati a disposizione - o forse proprio a causa di ciò - rispondere a questo interrogativo risulta oggi un'impresa quanto mai ardua.

Viste in prospettiva, le cifre apparentemente astronomiche risultano meno drammatiche di quanto sembri. L'incremento del numero dei casi è un fatto innegabile, nel numero tuttavia sono compresi gli asintomatici, per i quali ancora non si è stabilita con certezza la capacità di trasmissione del virus. Ma a questo dato fa da contraltare una mortalità ancora relativamente bassa (4,5% sul totale dei positivi), e comunque ancora inferiore a Belgio, Regno Unito, Spagna, Italia, Svezia e Francia. C'è poi il capitolo tamponi. Da metà giugno in poi, gli States viaggiano a una media che oscilla dai 500.000 ai 600.000 al giorno. Pochi? Molti? Sull'argomento il dibattito in corso all'interno della comunità scientifica, e di riflesso nell'agone politico, è quanto mai vivace. Tutto nasce con le dichiarazioni di Donald Trump, che un paio di settimane fa avrebbe chiesto alla propria amministrazione di «rallentare» con i tamponi, in quanto l'emersione di nuovi casi rappresenta una «arma a doppio taglio». Più test, infatti, significano più casi, e di conseguenza un crescente rischio di stigma. Un'uscita in totale dissenso con Anthony Fauci, virologo a capo della task force della Casa Bianca. Sul tema esiste un profondo dissenso tra gli esperti. C'è chi come l'economista Paul Romer chiede 30 milioni di tamponi al giorno, altri come Ashish Jha, direttore dell'Harvard's global health institute, che si accontentano di 900.000. Una cosa è certa: se il ritmo rimane questo, nell'arco di un mese i tamponi effettuati toccheranno quota 50 milioni, quasi uno ogni sei abitanti.

Un'altra questione calda riguarda il sovraccarico del sistema ospedaliero. Per i più pessimisti, l'ondata di contagi in atto rischia di provocare un collasso. Stando agli ultimi dati, le persone attualmente ricoverate sono 37.114, e quelle in terapia intensiva 5.609. Vale a dire, nel primo caso il 2% nel secondo lo 0,3% dei casi attualmente attivi. Nei giorni di Pasqua, queste percentuali erano molto più alte, rispettivamente l'11,7% e il 2,9%, con numeri assoluti arrivati a sfiorare quota 60.000 ricoveri ordinari e 15.000 in terapia intensiva. Sono 9 gli Stati con una percentuale di utilizzo di posti letto superiore al 70%, e dunque considerati più a rischio. Ma il dato che colpisce maggiormente è che, tra questi, solo l'Arizona presenta una percentuale di pazienti Covid superiore al 25% sul totale dei ricoveri, mentre tutti gli altri Stati rimangono sotto il 15% (la maggioranza inferiore al 5%). Nel marasma dei numeri, tutti sembrano concordare su un punto: l'epidemia si trova di fronte a un bivio. Se all'esplosione di casi non seguirà un'impennata nei decessi e nei ricoveri, dovremo riconsiderare molti aspetti di questa nuova e per certi versi misteriosa malattia.


«Italia perno della sfida alla Cina»

La Kallas pensa di aver vinto e detta le sue condizioni a Mosca
Kaja Kallas (Ansa)
L’Alto rappresentante di Bruxelles prosegue sulla linea dura, smentita persino da Kiev.

«Il problema per la pace è la Russia. Anche se l’Ucraina ricevesse garanzie di sicurezza, ma non ci fossero concessioni da parte russa, avremmo altre guerre, magari non in Ucraina ma altrove». Inizia così l’intervista di ieri al Corriere della sera dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, l’estone Kaja Kallas. La rappresentante della diplomazia di Bruxelles, in pratica, agita ancora lo spauracchio di una Russia pronta ad aggredire l’Europa non appena conclusa in qualche modo la guerra in Ucraina. Del resto, la minaccia russa serve proprio a giustificare una serie di grandi manovre in corso tra Bruxelles e le capitali europee, tra riarmo a tappe forzate, ritorno della leva e tentativi di utilizzo degli asset russi congelati in Europa.

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Il banchiere si ribella: non c’è solo la guerra...
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
Messina, numero uno di Intesa, parla agli studenti: «Se il conflitto diventa l’unico tema si perde il contatto con la realtà. Invece in Europa i rischi veri arrivano da povertà e disuguaglianza, non da un evento bellico che è una minaccia solo potenziale».

«Se la guerra diventa l’unico tema si perde il contatto con la realtà». Parla agli studenti e pensa all’Europa, Carlo Messina all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Luiss a Roma. Davanti alla classe dirigente del futuro, il ceo di Banca Intesa decide di abbandonare grafici e coefficienti, di tenersi in tasca proiezioni e citazioni da banker stile Wall Street per mettere il dito nella piaga di un’Unione Europea votata ottusamente al riarmo fine a se stesso. «La difesa è indispensabile, ma è possibile che la priorità di quelli che ci governano sia affrontare tutti i giorni il tema di come reagire alla minaccia di una guerra?».

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Casarini guida i migranti verso la rivolta
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Il dissidente diventato credente sbotta contro il fermo dell’Ong Humanity 1: «Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri». A Milano invece spuntano dei manifesti anonimi con un vademecum in più lingue per gli irregolari per evitare che finiscano nei cpr.

Da tempo, Luca Casarini preferisce il mare alla terra ferma. Tolta la tuta bianca che lo aveva reso famoso, ha iniziato a indossare il salvagente e a navigare attorno alle coste della Libia alla disperata ricerca di migranti da salvare. Da disobbediente è diventato credente, anche se solo in ciò che gli fa comodo, imbarcando un don Chichì, per dirla con Giovannino Guareschi, come Mattia Ferrari.

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Trattati «smontati» per i soldi a Zelensky, non se servono per sanità e pensioni
Christine Lagarde (Ansa)
Bruxelles si arrovella per aggirare le regole e dare agli ucraini i 90 miliardi confiscati. Un’elasticità mai dimostrata sul welfare.

È noto da tempo che le regole Ue, dai Trattati in giù, siano dotate di eccezionale flessibilità, in modo da essere applicate ai nemici e interpretate per gli amici. Ma ciò che sta accadendo pur di erogare un prestito (di fatto un sussidio) all’Ucraina rischia davvero di superare ogni limite di fantasia legale e finanziaria.

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