2018-04-25
Nasce la tresca filo europeista fra Pd e 5 stelle
Si chiude un forno, si apre un ristorante. Ovviamente stellato. Roba da clientela Vip. Di Maio e il Pd stanno apparecchiando il tavolo per la grande abbuffata che piace nei Palazzi che contano. Gli italiani chiedevano cambiamento? Qui si mette in forno la continuità. Volevano decidere a casa propria? Dovranno continuare a inginocchiarsi agli chef di Bruxelles. Addio eliminazione della Fornero, addio reddito di cittadinanza: al primo posto dell'accordo (se sarà concluso) ci saranno il filo europeismo, la stabilità dei conti pubblici e la ripulsa dell'orrido populismo. In effetti: perché continuare a prestare attenzione a quel che vogliono gli italiani? Al massimo loro possono votare. A patto che il voto non conti nulla. O quasi.Pd e 5 stelle, durante le consultazioni dal presidente Roberto Fico, tubano come due piccioncini. Trottolino amoroso dududadada. Il reggente democratico Maurizio Martina esce dallo stato catatonico in cui sembrava precipitato (e in cui fa precipitare gli ascoltatori ogni volta che parla) per lanciare un messaggio cinguettante a Luigi Di Maio. Di Maio subito lo raccoglie. I 5 stelle chiudono la porta in faccia una volta per tutte a Matteo Salvini e al centrodestra. E questo basta, al Pd, per dire: «Pofferbacco, ma allora cambia tutto. Quello che valeva ieri, oggi non vale più». E così via alle trattative sulla base di tre condizioni che sono, per l'appunto: europeismo spinto, addio al populismo e stabilità dei conti pubblici. Roba che potrebbero far venire l'itterizia a chi ha votato 5 stelle. Non certo ai dirigenti, che ormai sembrano disposti a rinunciare a tutte le loro proposte più radicali e forse persino a un pezzo della loro storia. Pur di non rinunciare a Palazzo Chigi. Che ci volete fare? Palazzo Chigi dev'essere una calamita. Uno s'avvicina e zac, viene subito attirato, accalappiato, non riesce più a liberarsi. Ma a che serve arrivare a Palazzo Chigi se in cambio bisogna rassegnarsi a continuare le politiche degli ultimi governi? È per questo che gli italiani hanno votato il 4 marzo? Per riavere il Pd nella stanza dei bottoni? Una riedizione di Gentiloni? Magari con la Boschi nascosta in qualche sottosegretariato? Epperò ve l'avevamo detto, le premesse del «contrordine, grillini» erano già tutte nel documento preparato dal professor Giacinto Della Cananea, già allievo di Sabino Cassese e amico intimo dei figli Vip: un insieme di indicazioni assolutamente vaghe in mezzo alle quali sparivano le proposte tradizionali del programma 5 stelle (a cominciare proprio dal reddito di cittadinanza) e saltavano fuori invece improvvise forme di continuità con le proposte del Pd (a cominciare proprio dal reddito di inclusione). Sim sala bin, il gioco è fatto: c'eravamo tanto mandati affanculo. Ma era solo gelosia. E quelli del Pd? Anche per loro suona improvviso il «contrordine, compagni». C'eravamo sbagliati. 50 giorni a praticare le terre scomode dell'Aventino. 50 giorni di dibattiti all'insegna del «fate voi», «tocca a loro», «noi che c'entriamo?». 50 giorni dedicati alle ardite pratiche del voyeurismo istituzionale («Vediamo un po' Lega e 5 stelle come lo fanno strano»). E adesso all'improvviso cambia tutto: è bastato che Di Maio fischiettasse un po' per accorrere ai suoi piedi come cani da riporto, scodinzolando felici: «Non fatelo strano, famolo insieme». Ma non doveva toccare agli altri? Il dialogo non era impossibile? Gli elettori non avevano chiesto al Pd di stare all'opposizione? Tutto questo non vale più? Per la verità qualche mal di pancia nel Pd c'è. I renziani sono in subbuglio, hanno lanciato l'hastag #nonnelmionome, contestano la svolta di Martina. E può essere che nelle prossime ore lo costringano a fare marcia indietro. Ma può anche essere che Renzi invece scelga, dopo tanto silenzio, il colpo di teatro: il rientro sulla scena, come salvatore della patria, l'uomo che permette la nascita del governo, lo statista dotato di sensibilità istituzionale, colui che non resta insensibile ai richiami di Mattarella, di Napolitano, della finanza, degli imprenditori e del sacro impero europeo. Salvando così, insieme, il suo ruolo e le cadreghe ben retribuite dei suoi fedelissimi, che ormai hanno paura del voto come Buffon dei tiri all'ultimo minuto. D'altra parte se Renzi potrà dire che i 5 stelle vanno in continuità con i governi del Pd (Della Cananea docet), che non si farà il reddito di cittadinanza ma si amplierà il reddito di inclusione (come voleva lui), che non si chiuderanno le porte agli immigrati ma si procederà a cooperare con l'Europa (come voleva lui), che non si abolirà la legge Fornero ma si metterà al primo posto la stabilità dei conti pubblici (come voleva lui), perché non dovrebbe starci? Così l'intesa Pd-5 stelle potrebbe regalarci anche questa bella sorpresa: il rientro in gioco del Bulletto di Rignano che si attovaglia al tavolo preferito. Quello dei poteri forti. Mentre gli elettori, come sempre, restano esclusi dal banchetto. Poi dicono che gli italiani non credono più alla politica. Poi dicono che gli italiani ce l'hanno con la politica. Continuo ad essere convinto che sia la politica ad avercela con gli italiani. Il 4 marzo gli elettori hanno chiesto un cambiamento forte e radicale, ricette nuove, discontinuità. Quello che rischia di uscire dai palazzi, dopo 50 giorni di tira e molla, è invece un'intesa che va contro tutto quello che è stato chiesto nelle urne, che premia chi ha perso, che dimentica e punisce mezza Italia, che calpesta il voto dell'intero Nord, che non tiene conto delle esigenze e delle richieste delle zone più produttive del Paese. Si chiude un forno e apre un ristorante, è vero. Ma così il cibo che ci arriva in tavola rischia di far venire solo un gran mal di pancia. Forse direttamente un'intossicazione.
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