2021-07-01
Muti non è certo stanco della vita ma di chi penalizza la cultura in Italia
Riccardo Muti (Getty Images)
Il maestro, nella sua intervista al «Corriere», si dice stanco e per questo viene frainteso: il fardello deriva dall'osservare il suicidio della Patria. La musica, l'arte, il bello sono traditi da una politica che non li valorizza. dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell'arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato». Non vuole suicidarsi, il Maestro Muti, sta solo assistendo al suicidio della nostra Patria. Alla vigilia dei suoi 80 anni, con una vita spesa ai massimi livelli, di trionfo in trionfo, le sue parole non sono certo dettate da frustrazione. Ed è per questo che vanno accolte con umiltà e coraggio. Cinquant'anni fa, anche se con difficoltà enormi, un musicista poteva fare la sua strada: c'erano orchestre, c'erano i teatri, c'erano tante associazioni musicali appassionate e competenti. Oggi vediamo talenti senza alcuna possibilità di esprimersi: teatri chiusi o mal tenuti, con acustiche terrificanti per restauri maldestri, orchestre chiuse per mancanza di fondi, o, più onestamente, di interesse, perché i soldi quando si vuole si trovano sempre. Il progressivo, inesorabile, imbarbarimento culturale impedisce persino di apprezzare la serietà delle esecuzioni, il Maestro Muti osserva, e io lo sottoscrivo: «Il mio maestro, Antonino Votto, diceva che il direttore doveva aver respirato la polvere del palcoscenico. Invece le orchestre, i cori, i cantanti lamentano una mancanza sempre più evidente di informazioni musicali e drammaturgiche da parte dei direttori. Non si fanno neppure più prove serie. […] il costo esorbitante di scenografie e costumi, accanto alla scarsa competenza e autorevolezza dei direttori d'orchestra che - con le dovute eccezioni - lasciano i cantanti senza guida, mi preoccupano sul futuro dell'opera. L'Italia è piena di teatri del Settecento e dell'Ottocento ancora chiusi. L'ho detto a Franceschini: riapriteli, dateli ai giovani. Formate nuove orchestre: ci sono Regioni che non ne hanno. Aiutate le centinaia di bande che languiscono, ridotte al silenzio da un anno e mezzo, con il disastro economico delle famiglie. Dobbiamo fare molte cose, se vogliamo che il nostro patrimonio operistico, il più eseguito al mondo, non sia considerato occasione di piacevole intrattenimento ma fonte di educazione e cultura».Mi riconosco nelle parole del Maestro Muti, e mi fa male al cuore che chi ha dato tutta la vita per costruire qualcosa di bello, capace di consolare le anime, debba in vecchiaia sentire di non essere riuscito a lasciare un segno. Pochissimi hanno avuto l'autorità di realizzare azioni positive, come ha avuto il Maestro, e che lo dica lui, dovrebbe coprire di vergogna chi ha il potere governativo della cultura italiana. Un mondo da quattro soldi in cui contano solo i quattro soldi, nessuno investe in ciò che «forma» davvero l'uomo: nessun aiuto vero ai ragazzi che vogliano studiare musica, nessuno sbocco dopo il Conservatorio, nessun progetto di inserire nelle scuole una cattedra di Storia della musica che, in parallelo all'insegnamento della storia e della letteratura, apra la mente dei ragazzi alla complessità e alla bellezza delle potenzialità espressive umane. Ci sono giovani cresciuti solo con la musica da discoteca che, quando sentono Mozart, restano commossi, sentono che non sono suoni, ma qualcosa che entra nell'anima e le parla… Ma se nessuno fa arrivare questa esperienza ai giovani come potranno mai provarla? E come poter trasmettere queste tradizioni alle generazioni future? Nessuno può amare ciò che non conosce!È tempo di chiedere, ad alta voce, insieme, senza posa e senza sosta, che i governanti la smettano di inebriarci con vuoti discorsi e promesse di circostanza, astratti e ben sonanti. Finché non vediamo qualche segno concreto noi rifiutiamo di credere alla sincerità di chi proclama il bene comune e guarda solo ed esclusivamente al tornaconto economico. A loro ripeto anche io, come posso, che se si investe nella cultura anche essa dà un ritorno economico. Ma noi musicisti ci sentiamo spesso censurati, a fronte di una sete di bellezza che è inestinguibile e che è l'unico antidoto al male per poter sperare in un mondo più giusto e felice. Un grazie a Riccardo Muti per essere stato così franco.