2022-10-21
Quando Mussolini cercava di farsi una «sua» massoneria filo fascista
Nel riquadro, Arturo Reghini (Getty Images)
Un saggio esplora il tentativo, messo in atto tra il 1926 e il 1929, di dar vita a una loggia «nazionale» e vicina al regime, pare col parere favorevole del Duce. Il compito fu affidato a Reghini, ma Evola mandò all’aria tutto.I rapporti tra fascismo e massoneria vengono in genere liquidati in due modi: da una parte, ricordando la campagna che mise fuori legge le logge nel 1925, dall’altra elencando i confratelli in camicia nera, veri o presunti, con uno sguardo tra l’aneddotico e il complottista. Pochi sanno del progetto, portato avanti a lungo e poi abortito, di dar luogo a una specifica affiliazione «a vocazione nazionale» e fedele al regime, pare con l’assenso di Mussolini stesso. A far luce su questa vicenda è ora lo studioso Fabrizio Giorgio, nel suo Ignis cova sotto le ceneri, appena uscito per i tipi de L’arco e la corte, con la collaborazione della Fondazione Julius Evola. Al centro della ricostruzione di Giorgio, suffragata da un colossale lavoro di scavo archivistico su fonti per lo più inedite, c’è la figura di Arturo Reghini, matematico ed esoterista di primo piano, nonché massone. Reghini era convinto che le origini della massoneria fossero pitagoriche e italiche, laddove invece le logge di ispirazione anglosassone legate al liberalismo e al cosmopolitismo rappresentavano, ai suoi occhi, un pervertimento e una deviazione dell’istituzione. Il programma politico-spirituale reghiniano si può riassumere nella formula dell’«imperialismo pagano» (stesso titolo di un noto saggio di Evola): un’idea «ghibellina» e romana, fortemente anticristiana, che si sollevasse contro tutte le ideologie moderne e riportasse in auge un’élite sapienziale di natura esoterica. Come gran parte del mondo tradizionalista nei primissimi anni Venti, Reghini credette di individuare nel fascismo il movimento che avrebbe avviato la restaurazione imperialistico pagana. La virata anti massonica a metà del decennio, quindi, lo trovò fortemente polemico. L’intellettuale non cessò, tuttavia, di accarezzare il sogno di una possibile influenza «pagana» sul regime per indirizzarne discretamente le sorti. Giorgio ritiene che questo progetto sia stato portato avanti su tre livelli: quello «magico», quello politico e quello culturale. Sul primo livello operavano sodalizi come il famoso gruppo di Ur, costituitosi nel 1927, che intendeva suscitare con appositi riti delle forze primordiali e far sì che esse contribuissero a indirizzare il regime in una determinata direzione. Il secondo livello era appunto quello legato alla ricostituzione di una massoneria «nazionale», mentre il terzo, quello culturale, doveva svolgersi «in chiaro», con la propaganda degli ideali imperialistico pagani attraverso saggi e riviste. Il tentativo di costituire una massoneria filofascista prese corpo verso la meta del 1926, auspice il conte Giacinto Celano Puoti, camicia nera della prima ora, amico di Mussolini e zio di Roberto Farinacci, il ras di Cremona. Una prima battuta di arresto si ebbe per il mancato arrivo di millantati finanziamenti che sarebbero dovuti giungere dall’Argentina. Nella primavera del 1927, il progetto prese nuovamente corpo e, verso la fine di quell’anno, sembrò sul punto di concretizzarsi. Giorgio è maniacale nel rintracciare informative di pubblica sicurezza relative alla vicenda, da cui emerge con chiarezza un’importante rete di protezione, il cui punto apicale era probabilmente Mussolini stesso, favorevole al progetto (cosa di cui qualche informatore, nelle veline, si rammarica apertamente). Di sicuro il coinvolgimento di Mussolini appare coerente con alcuni fatti noti e con ciò che sappiamo della sua personalità. Evidenziamo solo quattro punti: innanzitutto, Mussolini credeva all’esistenza di alcuni «poteri forti», ma non ne deplorava moralisticamente l’esistenza, bensì li riteneva un normale elemento del paesaggio politico, di cui cercare di servirsi alla bisogna; la volontà di avere una carta massonica da giocare, magari con i confratelli esteri, va in questo senso. Secondo: per non farsi condizionare troppo dai Patti Lateranensi, allora in gestazione, il Duce puntava ad avere un «contropotere» anticlericale da poter aizzare alla bisogna. In terzo luogo, il semplice fatto che questo progetto, che richiese contatti febbrili e il coinvolgimento di decine di persone, non sia stato fermato, malgrado la polizia politica annotasse ogni mossa, è indice di una protezione di altissimo rango. Infine, l’idea dell’imperialismo pagano (côté esoterico a parte) sembrava particolarmente in armonia con quella che era l’ideologia mussoliniana profonda. Ma se c’era il placet di Mussolini, perché la cosa non andò in porto? Il progetto fallì per il concatenarsi di vari fattori, ma Giorgio ritiene che un ruolo determinante lo abbia giocato la personalità a cui Reghini aveva affidato il terzo livello dell’azione, quello culturale: Julius Evola. Il pensatore tradizionalista avviò infatti in quei mesi una intensa polemica giornalistica contro il cristianesimo, peraltro portata avanti su riviste facenti capo a gerarchi come Edmondo Rossoni, Giuseppe Bottai, Leandro Arpinati, tutti rigorosamente massoni. La cosa ebbe un’eco vastissima e coinvolse persino il Vaticano, creando qualche malumore nei più discreti sodali di Evola. Tutto precipitò nel 1928. La goccia che fece traboccare il vaso fu, come spesso accade, banale: un articolo di Giulio Parise, membro del gruppo di Ur e allievo di Reghini, cassato da Evola per la rivista omonima. Ne nacque una diatriba che portò alla fine della rivista, ad accuse e contro accuse, con tanto di intervento degli avvocati. Quando però Evola reagì con un violentissimo articolo su Roma fascista in cui denunciava le trame massoniche di Reghini e ne chiedeva l’esclusione da ogni carica pubblica, tutto andò in frantumi. Il progetto della massoneria fascista venne archiviato, Evola venne isolato da gran parte del mondo esoterico e si lanciò, pochi mesi dopo, nell’avventura della rivista La Torre, che abbandonava ogni velleità «magica» e si calava nel dibattito culturale fascista, seppur con posizioni sui generis. La massoneria avrebbe invece riaperto i battenti in Italia solo dopo la guerra, ma non certo su linee spirituali reghiniane.