
Per 40 anni ha guidato lo Zimbabwe con la dittatura. Educato dai gesuiti, ha sposato il marxismo leninismo e l'anticolonialismo. Portando il Paese all'isolamento e alla fame.È morto ieri, all'età di 95 anni, l'ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Una figura controversa, in cui sono confluiti il ruolo di padre della patria e quello di spietato dittatore. Nato nel 1924, venne educato dai padri gesuiti, che gli impartirono una severa disciplina: elemento, questo, che lo accomuna almeno in parte a Iosif Stalin, frequentatore di un seminario ortodosso in età adolescenziale. Con il passare del tempo, Mugabe abbracciò il marxismo leninismo, cui associò - a partire dagli anni Sessanta - un attivismo politico di stampo anticoloniale.A seguito della guerra civile conclusasi nel 1979, divenne nel 1980 il primo premier dello Zimbabwe, che nel frattempo aveva abbandonato il nome di Rhodesia (assumendo quello odierno) e si era vista riconosciuta la propria indipendenza a livello internazionale, inaugurando una lunga stagione di potere. Inizialmente, Mugabe cercò di portare avanti una linea di pacificazione razziale e, nei primi mesi del suo governo, si assistette a una discreta crescita economica. Le tensioni interne non tardarono tuttavia ad esplodere e, già dal 1981, l'allora primo ministro avviò una campagna di ostilità verso i bianchi, accusandoli di tradimento e attività controrivoluzionarie: tanto che svariati funzionari bianchi vennero imprigionati e torturati, determinando una serie di pesanti conseguenze. In primis, la violazione dei diritti umani portò lo Zimbabwe ad un progressivo isolamento internazionale sul fronte occidentale: fattore, quest'ultimo, che determinò un avvicinamento di Mugabe alla Libia di Gheddafi. In secondo luogo, ebbe inizio l'emigrazione di molti bianchi (soprattutto verso il Sudafrica).Nel 1987, il parlamento modificò la costituzione e Mugabe assunse il ruolo di presidente dello Zimbabwe, concentrando nelle proprie mani un enorme potere. Cercò in tutti i modi di instaurare un regime monopartitico di stampo socialista, minacciando simpatizzanti e sostenitori delle forze politiche di opposizione (che venivano talvolta aggrediti o addirittura uccisi). Con il collasso dell'Unione Sovietica, edulcorò i propri riferimenti dottrinari al marxismo leninismo, aprendosi - in parte - a un sistema di libero mercato. Tutto questo non comportò comunque l'introduzione di una effettiva libertà nel sistema politico locale e anche l'economia continuò a riscontrare seri problemi: si pensi solo che, nel corso degli anni Novanta e Duemila, si registrò una netta riduzione dei salari medi, un'inflazione galoppante, una drastica diminuzione del prodotto interno lordo, oltre a un crescente tasso di disoccupazione.In questo contesto difficoltoso, esplosero delle tensioni sociali: moti di protesta contro l'aumento della pressione fiscale e a causa della scarsezza di cibo. Moti che il presidente non esitò a stroncare col pugno di ferro, mentre paranoicamente dava la colpa del disastro economico ai complotti delle potenze occidentali. A partire dal 1997, iniziarono a verificarsi sistematici attacchi ed espropri ai danni delle proprietà terriere in mano ai bianchi: Mugabe definì questi eventi come frutto di un fenomeno spontaneo di anticolonialismo, nonostante avesse finanziariamente foraggiato l'iniziativa. Il tutto venne non a caso sancito con un decreto del 2000, che autorizzava l'esproprio di terreni e fattorie senza alcun indennizzo per gli ex proprietari (indennizzo di cui, secondo Mugabe, si sarebbe dovuto occupare il governo britannico). Tutto questo, mentre l'isolamento internazionale proseguiva, nonostante nel 2015 il dittatore avesse ricoperto il ruolo di presidente dell'Unione africana. In generale, la situazione non è migliorata negli anni successivi, che hanno visto Mugabe al potere fino al colpo di Stato del 2017: evento che lo condusse alle dimissioni, assicurandogli tuttavia l'immunità, oltre che un risarcimento di 10 milioni di dollari.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






