2020-10-22
Multinazionali pronte alla mannaia. «In arrivo licenziamenti»
(Donato Fasano/Getty Images)
I giuslavoristi criticano la confusione alimentata dall'esecutivo sul blocco delle fuoriuscite di dipendenti: «Stanno penalizzando chi ha usato meno risorse pubbliche. Così le grandi imprese fuggiranno dall'Italia».Le multinazionali si preparano a usare le forbici in Italia. I radar sono accesi da settimane sull'evoluzione della norma che ha congelato i licenziamenti, unico caso in Europa, generando incertezza tra le big dell'industria. Come ha scritto ieri La Verità, però, il governo si avvia verso lo sblocco: dal 16 novembre le aziende che avranno utilizzato l'intero pacchetto di ammortizzatori richiesto e non faranno ulteriore domanda, potranno avviare le pratiche per i licenziamenti collettivi individuali. Quelle che non hanno mai usato la Cig dovranno invece attendere il primo gennaio 2021 per valutare eventuali scissioni di contratto. Mentre nel complesso, con l'avvio del 2021, si tornerà alle vecchie regole del mercato: no licenziamenti se si utilizza la Cig, sì ai licenziamenti collettivi o individuali per tutte le altre aziende nei limiti del codice civile e dei contratti.Cosa faranno a quel punto le multinazionali? Le grandi aziende si trovano in sofferenza e sono alla ricerca di soluzioni alternative per la cessazione dei rapporti che non possono più mantenere, mediante piani di incentivazione all'esodo, isopensioni (l'esodo dei lavoratori anziani) e accordi individuali. La conferma arriva da Fabrizio Spagnolo, partner dello studio legale Cms e responsabile del dipartimento del lavoro, che assiste numerose multinazionali e ha frequenti contatti con i colleghi spagnoli, inglesi, tedeschi e spagnoli. «Le esternalizzazioni delle funzioni, che in una situazione di normalità consentirebbero il riassetto organizzativo e la riduzione del personale, sono già state poste in essere, quindi molte realtà si trovano al momento a sopportare costi del lavoro senza reali benefici», spiega l'avvocato alla Verità. Sottolineando che bisogna cominciare a tenere conto della diversa situazione di ciascun settore: «Nel turismo e nella ristorazione, ad esempio, ci sono delle perdite di fatturato senza precedenti e il costo del lavoro nel bilancio costituisce una delle voci più gravose; ci sono anche settori che si stanno riprendendo, in cui tenere bloccate le aziende è controproducente. Occorre considerare infatti che alcune realtà hanno l'esigenza di cominciare a riorganizzarsi ed eventualmente assumere nuovi profili, ma finché permane il blocco non possono muoversi». Se per la Cgil, una volta tolto il «tappo» ai licenziamenti, saranno a rischio un milione di posti di lavoro, per le imprese questo divieto rischia di tradursi anche in un blocco alle nuove assunzioni. Proprio ieri sera si è tenuto un incontro tra i vertici delle tre principali sigle sindacati, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e quello dell'Economia, Roberto Gualtieri, che nei giorni scorsi si è detto disponibile a mettere nuovamente mano alle norme. Secondo Spagnolo, a pesare è proprio l'incertezza. «A oggi riceviamo indicazioni contrastanti. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha dichiarato che non è pensabile un ulteriore blocco dei licenziamenti. Ciononostante, ci sono voci di una proroga con un decreto ad hoc della cassa Covid per tutto il 2020, che è sempre stata abbinata al divieto di licenziamento. Il governo ha proposto ai sindacati di valutare soluzioni alternative come la conferma del blocco solo per i licenziamenti collettivi, oppure la possibilità di ricorrere ai licenziamenti individuali per ragioni economiche in presenza di politiche attive o di servizi di outplacement. Nella prima bozza di legge di bilancio 2021 si profila una nuova proroga della cassa integrazione assegno ordinari Fis tra 9 e 18 settimane nel 2021, che è quindi collegata al blocco dei licenziamenti». Non solo. Il divieto dei licenziamenti è ancora differenziato in relazione all'utilizzo della cassa integrazione Covid o dell'alternativo esonero contributivo. Inoltre, la normativa non consente agli esperti di fornire risposte con ragionevoli margini di certezza, forzando gli operatori a ricercare soluzioni prudenziali per evitare conseguenze catastrofiche in termini di rischio contenzioso. «Permane il dubbio, mai risolto dal legislatore, per esempio, su cosa accade a quelle imprese che non intendano ricorrere alla Cig del decreto agosto e non siano in condizioni di (o non vogliano) accedere all'esonero contributivo per non aver fruito di precedenti integrazioni salariali», spiega l'avvocato. Secondo un primo orientamento, il blocco non si applicherebbe ai datori che non si trovano nelle condizioni di usufruire della Cig o dell'esonero; secondo altri, sarebbe preclusa la possibilità di licenziare sino al 31 dicembre 2020 anche a chi non intende usufruire della Cig o non può accedere all'esonero. «Questa ultima posizione presenterebbe uno scenario paradossale, in cui il divieto penalizzerebbe maggiormente chi non utilizza risorse pubbliche», aggiunge Spagnolo. Per il quale restano anche i dubbi di incostituzionalità sul blocco, per contrasto con l'articolo 41 della Costituzione, giacché esso indicde pesantemente sulla libertà di impresa. «Eppure, le soluzioni prudenziali non lasciano molti spiragli alle possibilità che le imprese si ritengano esonerate dalle suddette restrizioni, soprattutto in considerazione delle difficoltà di dover dimostrare in giudizio l'impossibilità di ricorrere alla cassa Covid».