2019-07-13
A far salire il titolo l'andamento dello spread ma anche l'attesa dell'apertura del dossier. A fine mese il Mef nominerà il dirigente incaricato della pratica che chiuderà la partita delle fusioni del credito.Nel silenzio dei media il titolo del Monte dei Paschi di Siena in un solo mese è salito di quasi il 65%. Passando da una quotazione intorno all'euro e un centesimo per arrivare ieri a rasentare l'euro e 70 centesimi. Ai più il rally può sembrare poca cosa. Un prezzo comunque molto basso visto che al momento dell'ingresso del Tesoro nella compagine azionaria i valori erano prossimi ai 4,5 euro. Eppure la corsa è un indice importante per capire che cosa stia annusando il mercato. Innanzitutto c'è un tema di rischio. La banca è praticamente pubblica (il Tesoro ha più del 70% del capitale) di conseguenza il crollo improvviso dello spread rispetto al bund tedesco si è ribaltato pari pari sul prezzo dell'azione. Più il Tesoro, guidato da Giovanni Tria, colloca a prezzi convenienti e rendimenti congrui più il titolo si gonfia. Tuttavia questa non può essere l'unica spiegazione. Anche perché non è avvenuta la medesima cosa negli passati. Ecco che dietro al rally compare la scadenza di ottobre, data oltre la quale il Tesoro è tenuto a uscire da Mps. Bisogna ricordare che l'intervento è per norma temporaneo per via dei paletti previsti dalla ricapitalizzazione precauzionale. Fino a poche settimane fa però il dossier non è mai stato aperto dalgoverno che si era limitato (nel giugno del 2018) a dichiarazioni di massima. Come anticipato ieri dal quotidiano Mf, il dossier adesso esiste e il Tesoro è consapevole della scadenza anche se al 99% chiederà all'Europa di consentire una proroga di almeno sei mesi. L'idea di vendere fa sperare al mercato che il titolo possa salire e anche senza tornare alle quotazioni di tre anni fa comunque raddoppiare. In realtà siamo solo all'inizio. Perché un conto è aprire il dossier un altro è sapere che cosa fare o dove andare. Come riporta il quotidiano finanziario le vie d'uscita potrebbero essere tre. Un'asta pubblica, una sequenza di accelerated bookbuilding o la fusione con una banca nazionale o estera. Entro fine mese il Mef dovrà trovare il sostituto di Antonino Turicchi, il quale non ricopre più la titolarità delle deleghe alle controllate. La scelta del successore sarà fondamentale per la partita di Mps perché assieme ai vertici dell'istituto porterà avanti il processo di privatizzazione e al tempo stesso scelte di fondo che riguarderanno gli ultimi step delle pulizie interne. La pulizia dell'attivo potrebbe anche passare attraverso un'altra cessione di incagli da 8 miliardi di euro. In ogni caso la privatizzazione di Mps sarà il punto di termine del consolidamento del sistema bancario italiano. Motivo per cui le notizie uscite ieri sulla banca Carige, da tempo in profonda crisi, vanno prese con le pinze. Si tratta dell'uscita allo scoperto del potenziale partner. «Il piano di salvataggio per Carige con Cassa centrale banca nel ruolo di partner industriale dovrebbe essere definito entro il 25 luglio», ha detto al riguardo il presidente del Fitd, Salvatore Maccarone, a margine dell'assemblea annuale dell'Abi. Quanto all'entità della ricapitalizzazione, Maccarone ha aggiunto: «Non sappiamo ancora le dimensioni esatte dell'aumento di capitale».In sostanza se il piano andasse in porto e la Bce concedesse il parere positivo, Genova potrebbe dire di aver trovato un partner industriale, ma nessuno in questo momento è in grado di escludere che il nuovo gruppo trovi poi un ulteriore porto sicuro nelle braccia di una banca di grosse dimensioni. Perché il sistema bancario dovrebbe accettare la partecipazione obbligatoria al rilancio di Carige senza aver alcun successivo beneficio? Avrebbe senso se poi l'anno prossimo uno dei grossi gruppi bancari italiani possa avere accesso a Mps a condizioni da valutare con interesse e a quel punto si chiuderebbe il cerchio. L'Italia sembra destinata ad avere non più di quattro grandi istituti. Due sono Intesa e Unicredit (che ieri ha fatto sapere di valutare una eventuale subholding per operazioni straordinarie), gli altri saranno il frutto del risiko e dell'acquisizione di Mps. Non siamo in grado di prevedere se nella partita ci saranno anche giocatori esteri, sebbene gli attuali prezzi facciano pensare che da oltre confine ci sia interesse. Così come non sappiamo se il Tesoro deciderà di blindare i confini finanziari del Paese o lasciarli aperti.
        John Grisham (Ansa)
    
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
        Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
    
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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