Le nuove leggi anti smog e la rivoluzione tecnologica in corso hanno accelerato il ricambio del parco mezzi e fatto uscire il settore dalle sabbie mobili. In tre anni Fca ha registrato +105%, Brembo +71% e Gm +40%.L'elettrificazione del mercato automobilistico sta portando cambiamenti epocali. Il 2018 verrà ricordato come l'anno in cui il mercato ha decretato la fine dei motori diesel, considerati troppo inquinanti dopo essere stati osannati come la soluzione che garantiva prestazioni e bassi consumi. Per questo i colossi del settore hanno tutti annunciato grandi cambiamenti. Di recente il numero uno di Fca, Sergio Marchionne, ha reso noto che nel giro di pochi anni arriveranno molti nuovi modelli a motore elettrico e che dal 2021 i propulsori diesel spariranno dall'offerta del gruppo italo americano. Lo stesso stanno già facendo gruppi come Volkswagen, Toyota (pioniera dell'ibrido) e persino l'iconica Jaguar, che da poco ha messo sul mercato un Suv elettrico. Senza considerare l'arrivo sul mercato di nuovi marchi come Tesla, che sta cercando di imporsi come primo marchio con un'offerta «a batteria». Le carte, poi, verranno rimescolate anche a livello normativo, con molti Paesi dell'Ue che stanno sempre più imponendo nuovi limiti all'inquinamento e dunque un ricambio molto più repentino del parco circolante. C'è poi tutto il tema della guida autonoma.Tutto ciò quindi comporterà grandi investimenti, ma anche una vera boccata di ossigeno per il settore che, di certo, negli ultimi anni non si è mostrato in grande spolvero. Secondo uno studio della società di consulenza Capgemini, la rivoluzione digitale potrebbe portare entro il 2023 ben 160 miliardi di dollari di fatturato nel settore. Nel report si afferma che entro cinque anni ognuno dei primi dieci produttori di auto potrebbe realizzare circa 4,6 miliardi di dollari o una crescita del 50% dei profitti operativi annui. Non è un caso che l'indice Euro stoxx automobiles&parts, che racchiude tutti i titoli europei del settore, in un anno abbia guadagnato l'8,8%.Su quali titoli puntare, quindi? Una delle azioni che ha dato maggiori soddisfazioni agli investitori è quella di Fca. Il gruppo guidato da Sergio Marchionne, secondo una selezione realizzata per La Verità dagli esperti della società di risparmio gestito Fia asset management, in Borsa in tre anni è cresciuto del 105,89%, con un balzo particolarmente significativo negli ultimi 12 mesi, quando ha messo a segno una crescita del 90,46%. Lo stesso si può dire per un altro colosso italiano come Brembo. Il titolo negli ultimi 12 mesi ha perso l'8,6%, ma in tre anni ha guadagnato il 71,15%. Bene anche General motors. Anche in questo caso, il titolo ha avuto una grande crescita negli ultimi 12 mesi. Chi ha investito nel colosso americano dell'auto in un anno ha guadagnato il 30,91%, valore che sale al 40,55% in 36 mesi. Hanno dato soddisfazioni agli investitori anche Michelin, titolo che in tre anni è cresciuto del 29,47% (solo dell'1,01% in 12 mesi), e Peugeot, in salita del 18,63% in tre anni e del 16,17% in uno.Il settore automobilistico a Piazza Affari (e non solo), dunque, sembra aver ripreso a correre, dopo anni in cui le vendite non andavano a gonfie vele. Attenzione, però, investire direttamente in titoli azionari può dare grandi soddisfazioni, ma permette anche di scottarsi. Per chi si vuole addentrare nel mondo degli investimenti a quattro ruote, il consiglio è sempre quello di farlo con l'aiuto di un consulente finanziario. In questo modo si dormiranno sonni decisamente più tranquilli.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





