2023-01-18
Mossa di Rivera: il Tesoro blinda Mps
Alessandro Rivera (Imagoecnomica)
Il ministero impone il tetto dei 240.000 euro di stipendio a chi guiderà la banca salvata Una soglia bassa che complica l’uscita di Luigi Lovaglio. Non gradita al dirigente del Mef.Nel suo genere, un piccolo capolavoro. Il Tesoro ha infilato nella Manovra 2023 un codicillo tutto numeri e rimandi che ha l’effetto di far passare a chiunque anche solo la fantasia di diventare amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena. È stato infatti deciso di estendere dal primo gennaio 2023 alle banche salvate il tetto di stipendio di 240.000 euro, che per un istituto di credito, per di più quotato, è clamorosamente fuori mercato. Per l’attuale capo azienda, Luigi Lovaglio, si tratta di una garanzia in più. Ma soprattutto il codicillo consentirà all’attuale direttore generale del Mef, Alessandro Rivera, già regista di tutti i salvataggi di Rocca Salimbeni, di mantenere un discreto controllo sulla banca senese, anche se dovesse cambiare poltrona. Il siluro a un possibile cambiamento di governance a Siena, che in astratto il nuovo governo potrebbe anche volere (lo Stato ha il 64% di Mps), è nascosto in nove righe. Si tratta dell’articolo 1, comma 420 della Finanziaria, che recita: «All’articolo 17, comma 2, lettera b), del decreto legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Per gli incarichi conferiti a decorrere dal primo gennaio 2023, il trattamento economico annuo non può in ogni caso superare quello determinato ai sensi dell’articolo 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». Non c’è manco la parola «banche». Il campo di applicazione è il decreto Salva banche di fine 2016, voluto dall’allora premier, Paolo Gentiloni , e preparato dall’allora ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con Rivera. Con quel provvedimento d’urgenza si creò dal nulla un fondo da 20 miliardi che servì innanzitutto a far sopravvivere proprio il Monte dei Paschi di Siena. Dunque, il comma parla di banche salvate dallo Stato. E stabilisce che dallo scorso primo gennaio, chi avrà un incarico in uno di quegli istituti non potrà guadagnare più di un dirigente pubblico in posizione apicale, ovvero i famosi 240.000 euro lordi annui. La norma avrebbe potuto essere scritta «in chiaro», a beneficio dei deputati e dei cittadini, e avrebbe potuto godere anche di un po’ di pubblicità perché in fondo si presenta più che bene. La collettività ha messo una decina di miliardi già solo sul Monte dei paschi e quindi si può decidere che i manager mandati dallo Stato non guadagnino cifre iperboliche. Peccato che già oggi Lovaglio, arrivato lo scorso febbraio e regista di un aumento di capitale da 2,5 miliardi, guadagni 466.000 euro, una somma di un buon terzo sotto la media di mercato. Insomma, introdurre dal primo gennaio scorso il limite dei 240.000 euro equivale a far sì che se un domani il Tesoro o Palazzo Chigi volessero trovare un sostituto per l’ottimo Lovaglio farebbero una fatica incredibile, perché nessuna persona dotata di buon senso si andrebbe a sedere su una poltrona che scotta (si pensi solo alle pendenze legali) per guadagnare quelle cifre. Lovaglio, per altro, a metà settembre ha beneficiato di un cambio di statuto della banca, voluto sempre dal Tesoro di Rivera, che ha tolto il limite dei 70 anni d’età per il presidente, dei 75 anni per i consiglieri e dei 67 anni per il consigliere delegato. Il manager ex Credito Valtellinese è del 1955 e al prossimo rinnovo sarebbe arrivato con più di 67 anni.Insomma, il combinato disposto di questi due interventi, quello sull’età e quello sugli stipendi, rende sostanzialmente insostituibile l’attuale amministratore delegato del Monte. La mente di questo meccanismo difensivo è quella di Rivera, sul cui incarico in Via XX Settembre c’è un braccio di ferro in corso da settimane. Se dovesse essere spostato su qualche altra poltrona, almeno Rivera non dovrà guardarsi le spalle da Siena e nessuno sconfesserà la sua lunga gestione del dossier. Gestione che è stata criticata apertamente da Giorgia Meloni, il 29 dicembre, con queste dure parole: «La situazione Mps è stata gestita abbastanza pessimamente». Però, con una certa raffinatezza.
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