2018-10-21
Moscovici ci prepara il regalo di Natale: Web tax per frenare le nostre imprese
Doveva essere l'imposta contro i colossi della Rete. Abbassare la soglia dei 7 milioni di ricavi però limita l'ecommerce italiano.La tassa sul digitale, digital tax, potrebbe arrivare come regalo di Natale. Pierre Moscovici, commissario europeo per gli affari economici e monetari dell'Unione europea, ha infatti spiegato come si deve raggiungere un accordo entro Natale «perché dopo si entrerà in un altro momento caratterizzato dalla Brexit e dalle elezioni europee». Le elezioni del nuovo Parlamento, previste per maggio 2019, sono infatti molto temute da Bruxelles perché si ha la certezza che molti progetti, messi in cantiere, saranno smantellati. Uno di questi è proprio la digital tax. Questa tassa non andrebbe infatti a colpire solo i colossi del digitale, ma anche tutte quelle società tradizionali che vendono dati prodotti dagli utenti. Non è poi così difficile che una società di abbigliamento o di giocattoli usi, per il proprio business, i dati che producono gli utenti su Internet. E questo perché nell'economia digitale - ha spiegato la Commissione - il valore è molto spesso creato da una combinazione di algoritmi, dati degli utenti, funzioni di vendita e conoscenza. Un utente può dunque - involontariamente - contribuire alla creazione di valore per una società condividendo le sue preferenze su un forum, mettendo like a un prodotto della società e così via. Questo implica dunque che la digital tax, così come strutturata, sarà una tassa che colpirà non solo i giganti del Web (Amazon, Google e Facebook), ma anche tutte quelle società che operano in Europa. Sarà dunque un'altra tassa che andrà a pesare sulle imprese nazionali. Inoltre, la seconda settimana di ottobre sono state proposte delle modifiche al testo originale della Commissione, per allargare lo spettro di imprese che verranno coinvolte nella digital tax. Si parla dunque di ampliare i dati del fatturato medio annuo. Inizialmente la Commissione proponeva di imporre la tassa solo a quelle società con ricavi annui superiori a 7 milioni di euro, all'interno di uno Stato membro, o con più di 100.000 utenti in un esercizio fiscale o con 3.000 contratti commerciali per servizi digitali conclusi tra l'impresa e utenti aziendali in un esercizio fiscale. Ampliare la soglia significa dunque includere anche tutte quelle piccole e medie imprese (Pmi) nazionali che con le soglie prestabilite dalla Commissione, in parte, si salvavano. In Italia, per esempio, le pmi hanno un fatturato annuo che si aggira fra un milione e il miliardo di euro. Per evitare che la tassa ricada anche su questi soggetti è stato dunque chiesto alla Commissione di scrivere, all'interno del testo che dovrà essere votato, di escludere le piccole e medie imprese nazionali dalla digital tax. E questo perché si è consapevoli che un'ulteriore tassa sulle piccole imprese nazionali potrebbe essere fatale per la loro sopravvivenza. Inoltre, è stato anche chiesto alla Commissione di chiarire il concetto di «presenza digitale significativa». Dovrebbe dunque presentare, prima del voto finale, delle linee guida per aiutare le autorità nazionali e le imprese a definire la presenza di attività digitale significativa nelle operazioni aziendali. Questo vademecum risulta dunque essere di vitale importanza, per evitare che le Autorità nazionali decidano, in modo discrezionale, imponendo una tassazione non corretta a una società piuttosto che a un'altra. Queste modifiche dovranno dunque essere approvate in un primo momento dalla Commissione, poi dal Parlamento e infine (ancora) dalla Commissione che approverà il testo finale. C'è inoltre da considerare, che essendo una direttiva fiscale, tutti e 28 gli Stati membri devono dare il consenso. Basta infatti che anche un solo Stato si opponga al progetto fiscale e non sarà possibile concludere l'iter. Questa clausola non è da sottovalutare perché già quando la tassazione era stata fissata al 3% (prima proposta della Commissione) c'era stata l'opposizione di: Malta, Irlanda, Olanda e Lussemburgo. Il motivo era puramente economico. La digital tax prevede infatti una «ridistribuzione» della ricchezza fra tutti gli Stati membri. Cosa che ad oggi non avviene, dato che alcuni Paesi europei offrono condizioni fiscali particolarmente vantaggiose alle multinazionali. Con la nuova tassa sul digitale queste giurisdizioni andrebbero a perdere importanti entrate nazionali. Nonostante questo, nell'ultimo Ecofin di ottobre, si erano cominciati a fare dei piccoli passi avanti. Il Lussemburgo aveva infatti dichiarato di essere favorevole alla digital tax e la Francia aveva proposto all'Irlanda di rimborsargli le «perdite» fiscali derivate dalla digital tax. Si stava dunque cercando di trovare un punto di incontro, per accelerare il processo normativo. Peccato che una settimana fa si sia deciso di cambiare le carte in tavola e di alzare la posta in gioco, aumentando la tassazione dal 3% al 5%. Si è inoltre anche sostenuto di voler ottenere il voto finale entro dicembre. La strada che dunque si può percorrere, se si vuole ottenere a tutti i costi il voto entro fine 2018, è una sola. Il depotenziamento della digital tax. Si potrebbe dunque pensare di abbassare l'aliquota del 5% o di ridistribuire i ricavi della tassazione in modo diverso rispetto a quanto stabilito inizialmente. Quest'ultimo punto potrebbe essere l'unica leva da usare, per convincere definitivamente i Paesi contrari.
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