Chi ha fatto una sola dose può infettarsi e infettare. E con una carica virale uguale a quella dei non vaccinati. Eppure il governo gli rilascia un documento tanto discriminatorio quanto scientificamente senza fondamento.
Chi ha fatto una sola dose può infettarsi e infettare. E con una carica virale uguale a quella dei non vaccinati. Eppure il governo gli rilascia un documento tanto discriminatorio quanto scientificamente senza fondamento.«Covid: Iss, il 99% morti da febbraio non aveva completato dosi». Questo è il titolo che è stato rilanciato dalle principali agenzie di stampa martedì, che riportavano il report periodico sui decessi dell'Istituto superiore di sanità. E, in particolare, che «fino al 21 luglio sono 423 i decessi Covid positivi in vaccinati con ciclo vaccinale completo» e rappresentano l'1,2% di tutti i decessi Covid positivi avvenuti dallo scorso 1 febbraio. Ieri mattina in edicola e sui siti l'informazione mainstream ha copincollato il messaggio. Ed ecco i titoloni: «Iss: da febbraio solo l'1,2% di morti per Covid era vaccinato con 2 dosi», «Quasi il 99% dei deceduti non aveva completato il ciclo vaccinale», «Da febbraio a oggi il 99% dei morti era senza la doppia dose». Sui social network i liristi del green pass obbligatorio hanno fatto subito partire i cori: «Si ammala solo chi non è vaccinato, serve altro?» E via con l'hashtag #GreenpassObbligatorio. Ma è proprio così? Con il pass ricevuto dopo la prima dose gli italiani hanno davvero, come ha detto Mario Draghi, la «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose»?Partiamo da una premessa: dai dati scientifici disponibili sappiamo che il vaccino protegge dalla malattia grave, non dall'infezione (soprattutto con la variante Delta in circolazione). Tanto che il Cdc americano ha raccomandato anche ai vaccinati con doppia dose di indossare le mascherine. Di certo, i vaccini diminuiscono la probabilità di infettarsi dal virus e la probabilità di trasmetterlo, se nonostante tutto ci si infetta, riducendo così il numero di decessi e di ricoveri in terapia intensiva. Andiamo ora a vedere il report dell'Iss e in che modo sono stati impacchettati i dati. La parte più ripresa è stata quella della tabella sulla copertura vaccinale degli over 12 (al 3 luglio) e i casi di Covid diagnosticati, ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti negli ultimi 30 giorni divisi per stato vaccinale e classe d'età. «Se le vaccinazioni nella popolazione raggiungono alti livelli di copertura si verifica l'effetto paradosso per cui il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi può essere simile tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati. Per esempio, nella fascia di età 80+, dove la copertura vaccinale è alta, si osserva che il numero di ospedalizzazioni fra vaccinati con ciclo completo e non vaccinati è simile. Dall'altra parte, il tasso di ospedalizzazione negli ultimi 30 giorni nei non vaccinati è circa dieci volte più alto rispetto a quello dei vaccinati con ciclo completo», scrive l'Iss. Se si accorpano le fasce di età vediamo però anche altro: a inizio luglio in Italia avevamo il 71% di positivi tra i non vaccinati, che erano il 46% del totale; il 18,5% di positivi tra i vaccinati solo con la prima dose (che erano il 25,5% del totale) e il 10,5% di positivi tra i vaccinati con ciclo completo, che erano il 28,5% del totale. Insomma l'efficacia del vaccino nel prevenire il contagio si vede paragonando queste percentuali: il 46% non è vaccinato e si becca il 71% dei contagi. Chi è completamente vaccinato (28,5% della popolazione) si becca «solo» il 10,5% dei contagi (alla faccia della «garanzia» di Draghi). Altro punto: da febbraio solo l'1% dei morti Covid era vaccinato del tutto, sottolinea l'Iss. La vaccinazione di massa totale è però partita ad aprile, prima è stata data la priorità a personale sanitario, docenti, fragili e anziani (il 18 aprile risultavano somministrate 15 milioni di dosi, ora siamo sopra quota 60 milioni), i vaccinati completi erano solo una minima parte e morivano centinaia di persone al giorno. Per evitare distorsioni forse sarebbe stato meglio confrontare le fasce di ospedalizzati non vaccinati, ospedalizzati con primo ciclo, ospedalizzati con ciclo completo alla rispettiva percentuale di non vaccinati, primo ciclo e completi sul totale della popolazione.C'è poi un effetto ottico-statistico che va considerato. Quando si sarà vaccinato il 100% della popolazione, tra gli infetti troveremo il 100% di vaccinati: la composizione del campione di partenza, da cui traiamo i soggetti infetti, determina cioè la percentuale finale di vaccinati in qualunque campione di popolazione guardiamo. La percentuale di vaccinati tra gli infetti influenzerà a sua volta la percentuale di vaccinati tra gli ospedalizzati e i morti. Detto in altri termini, più sale la quantità di vaccinati e più sale la percentuale di infetti che sono vaccinati. Senza dimenticare che rimarrà sempre una piccola percentuale di popolazione vaccinata che non sarà coperta (i vaccini somministrati oggi non garantiscono il 100% di efficacia, che cambia dalla prima alla seconda dose e anche in base alle varianti del virus). Non solo. Con il green pass il rischio zero non esiste, anche perché il certificato vaccinale da esibire è quello ricevuto dopo la prima dose, non dopo il ciclo completo. Se i vaccinati possono essere positivi e contagiare, escludere i non vaccinati dalla vita sociale come se fossero i soli untori non ha fondamento dal punto di vista epidemiologico. Più che estendere l'obbligatorietà del certificato verde sarebbe stato quindi più utile garantire a ogni vaccinato, dopo 15 giorni dalla seconda dose, un test sierologico per verificare il livello di anticorpi prodotti. Non a campione, ma a tutti. Monitorando anche come e quanto le varianti possono «bucare» i vaccini, visto che sul fronte del tracciamento e del sequenziamento dei casi siamo ancora in alto mare.
2025-11-27
Immigrazione: «I Paesi Ue vogliono collaborare a prescindere dall'estrazione politica»
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato Sara Kelany, (Fratelli d'Italia) membro del Parlamento e capo del dipartimento italiano per l'immigrazione a margine dell'evento Europe and migration: The Italian Approach Transcending Ideologies al Parlamento europeo di Strasburgo.
Friedrich Merz, Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Bordata alla triade Londra-Parigi-Berlino. Il capo del Ppe ce l’ha con Friedrich Merz. E lo mette contro Ursula von der Leyen.
Davanti alle telecamere si stringono la mano. Ma dietro le quinte, se ci sono da spartirsi quote di potere reale, si guardano in cagnesco. Stiamo parlando di Manfred Weber, Ursula von der Leyen e Friedrich Merz: tutti figli della stessa casa madre, quella Cdu che per decenni è stata la potente «balena bianca» teutonica, ma che Angela Merkel ha lasciato letteralmente in macerie. Macerie su cui i conservatori tedeschi vorrebbero iniziare a ricostruire. Eppure il tridente, a quanto pare, non gioca per la stessa squadra.
Vladimir Putin e Steve Witkoff (Ansa)
Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.
Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.






