- Nonostante la condanna del regista Le Moli, la Regione conferma l’accreditamento e il sostegno al Teatro Due. Almeno otto le vittime, ignorate anche dal Centro per le donne. Nella Fondazione un ex assessore dem.
- Indagato per maltrattamenti e lesioni alla moglie Missiroli, primo cittadino di Cervia. La replica: «Accuse infamanti». Ma il centrodestra chiede le dimissioni.
Lo speciale contiene due articoli.
A Parma c’è un teatro storico, il Teatro Due, che è anche un ente di formazione accreditato. E c’è un regista, Walter Le Moli, che era anche formatore per gli aspiranti attori. Lì, ha stabilito una sentenza, dal 1998 si sarebbero consumate delle molestie «a contenuto sessuale». Fino al luglio 2021, quando il consigliere regionale di Parità rompe il muro di omertà e fa scoppiare il caso. La denuncia era partita da un’associazione, Amleta, che aveva scritto anche alla stessa fondazione Teatro Due (guidata dal presidente Oberdan Forlenza e dalla direttrice Paola Donati, candidata nella lista Civici per De Pascale alle elezioni regionali) e a vari assessori regionali, tra i quali Elly Schlein, all’epoca vicepresidente della Regione rossa guidata da Stefano Bonaccini.
A fine luglio gli atti vengono trasmessi alle autorità. Il regista viene allontanato dopo la segnalazione. Il Tribunale del lavoro, nel 2024, riconosce i fatti denunciati e condanna la Fondazione Teatro Due, imponendo un «piano di rimozione delle discriminazioni basate sul sesso consistite in molestie e violenze sessuali». Ben otto attrici testimoniano in udienza. Le versioni convergono. Si trattava di «discriminazione collettiva». Tra le dinamiche «risapute», scrive il giudice del lavoro, «vi era l’abitudine del regista di arrivare con alcune ore di ritardo rispetto all’orario di inizio del corso, costringendo i partecipanti a restare fino a tarda serata, per poi invitare alcune attrici a cena fuori». Nel ristorante il regista «era solito», si legge in sentenza, «avere atteggiamenti sessualmente espliciti nei confronti delle commensali, spesso anche contro la loro volontà». Il giudice fa leva sullo «squilibrio di potere» nella relazione con le corsiste. E in alcuni casi sarebbe riuscito a convincerle «a seguirlo presso la sua abitazione, con la scusa di voler provare monologhi e scene teatrali, per poi costringerle ad avere rapporti sessuali». Infine, il giudice sentenzia: «Si ritiene che nell’ambito del corso di formazione si siano verificate discriminazioni continue e sistematiche nei confronti delle persone di sesso femminile», che la fondazione «non ha contrastato in modo adeguato e sufficiente». Tutti sapevano e nessuno era mai intervenuto. La sentenza viene confermata in appello. La Regione Emilia-Romagna, però, nello stesso perimetro temporale, continua a tenere in piedi accreditamento per la formazione e anche i finanziamenti. Nonostante due anni prima la giunta abbia stilato un regolamento per l’accesso ai contributi. E tra i criteri, questo regolamento, prevede proprio il rispetto della parità di genere.
Segue una seconda sentenza, sempre del giudice del lavoro, depositata a fine novembre, che ha risarcito con 100.000 euro due corsiste. Questa volta la condanna è per il regista e per la fondazione. Le vittime sono due studentesse che hanno frequentato un corso di alta formazione teatrale finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. «Il regista ha agito di nascosto, fuori dai luoghi del teatro e la prima denuncia in Procura (i fatti però al momento della denuncia erano prescritti, ndr) è stata quella della Fondazione», ha sostenuto il cda della fondazione annunciando appello. Argomenti che, però, non avevano convinto il Tribunale.
In mezzo, come una crepa che si allarga, c’è anche un’ulteriore notizia: il Centro antiviolenza di Parma, secondo quanto racconta una delle attrici, non avrebbe accettato di seguirla in tribunale. «Diceva che il sistema giuridico italiano ci avrebbe massacrate. Quindi noi ci troviamo davanti alla sentenza che parla chiaro, però prima ci siamo trovati davanti persino a un’avvocata di un centro antiviolenza che non voleva portare avanti questa causa», ha spiegato la vittima a Parma Today. E la presidente del centro, Samuela Frigeri, siede anche nel consiglio generale della Fondazione Cariparma che finanzia (insieme ad altre fondazioni bancarie) da tempo il Teatro Due (anche nel 2024 ha concesso 80.000 euro di contributi). Non è un dettaglio. È un cortocircuito.
La vicenda finisce al centro di un’interrogazione del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Priamo Bocchi. La sua domanda è lineare: dopo la condanna, che cosa ha fatto la Regione? E soprattutto: intende revocare l’accreditamento della Fondazione Teatro Due come ente di formazione e sollecitare le dimissioni dei vertici (nel cda siede un ex assessore del Pd, Simona Caselli)? Bocchi aggiunge i numeri del bilancio 2024 per rendere il quadro impossibile da sminuire: la fondazione avrebbe ricevuto fondi pubblici per 3,1 milioni di euro, «a fronte di 1,77 milioni di costo del personale e poco più di 563.000 euro di ricavi». C’è poi l’elenco dei contributi: ministero della Cultura (per oltre 1 milione di euro), Regione Emilia-Romagna (per 480.000), Comune di Parma (per 360.000). E c’è anche il profilo istituzionale del regista, ricostruito da Bocchi: «È stato membro del Cda di Reggio Parma Festival dal 2015 al 2021 e confermato nel 2021, fino alle dimissioni presentate il 18 febbraio 2022». L’assessore regionale dem alla Cultura, Gessica Allegni, ha risposto che «verranno effettuate delle verifiche». Parole giudicate da Bocchi «insoddisfacenti». Perché quando in una sentenza è scritto che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, il tema non è più solo il regista. Non è più solo il teatro. Ma è tutto ciò che ruota attorno. Gli accrediti, i finanziamenti, i consigli di amministrazione, le fondazioni bancarie. E i luoghi nati per dire alle donne «denunciate», che poi, quando si passa dal manifesto alla carta bollata, rischiano di diventare l’ennesima porta chiusa.
Violenze, sindaco piddino nei guai
La cronaca ha giocato ai democratici un brutto scherzo, di quelli che - quando ti dichiari paladino assoluto della difesa delle donne - non vorresti davvero mai subire. Mattia Missiroli, sindaco di Cervia - eletto nel 2024 grazie al Pd di Elly Schlein e a tutti gli alleati del campo largo - è indagato per maltrattamenti e lesioni alla moglie dalla quale si sta separando e la donna ha presentato come prove anche foto e alcuni video. In un periodo storico come questo, a prescindere dall’esito delle indagini la domanda politica è ovvia: è politicamente opportuno secondo i sedicenti massimi esperti della parità di genere - ovvero dem, femministe e compagnia bella - che un sindaco indagato per questo tipo di reato rimanga alla guida della città?
In attesa di una risposta - che nella serata di ieri ancora non era arrivata - passiamo alla cronaca. Mattia Missiroli, architetto di professione, ha 44 anni e, già prima di diventare sindaco era noto per aver participato al reality Campioni ambientato nel mondo del calcio e in onda tra il 2004 e il 2006. Architetto di professione, si è formato politicamente in ambito Pd, è sposato dal 2009 e ha due figli, ma a quanto pare le cose, in questo periodo, con la consorte non vanno per il meglio. Lo scorso 5 dicembre la donna si è presentata in pronto soccorso a Ravenna per farsi medicare alcune lesioni a un braccio, segni non del tutto banali considerato che le sono costate sette giorni di prognosi. Quando i medici le hanno chiesto come se li fosse procurati la donna ha affermato di essere caduta a terra dopo una forte spinta. A quel punto il personale dell’ospedale ha attivato il protocollo previsto in questi casi. Così, senza aver mai formalmente denunciato il marito, ma grazie alla celerità del codice rosso, la moglie di Missiroli è stata nei giorni successivi chiamata e ricevuta più volte in questura. E sarebbe in quei colloqui che la donna avrebbe descritto altri momenti di vita domestica caratterizzati da insulti e alcuni gesti violenti, allegando come prove le foto di un labbro rotto e alcuni video.
Secondo la Procura, quanto riportato dalla donna sarebbe stato sufficientemente grave da prevedere la custodia cautelare in carcere, ma il gip ha respinto la richiesta, derubricando l’accaduto a fatti episodici. Il primo cittadino, proprio nei giorni scorsi, avrebbe lasciato l’appartamento in cui viveva con moglie e figli ma sulla misura restrittiva, a quanto pare, la Procura sarebbe in procinto di presentare ricorso.
Missiroli, dal canto suo, ha respinto tutte le accuse definendole «gravi e infamanti», si è detto certo di «poter presto dimostrare la propria innocenza» e, attraverso il suo avvocato, Ermanno Cicognani, ha fatto sapere di «non aver mai avuto in 16 anni di matrimonio comportamenti violenti nei confronti della moglie» sottolineando, invece, come «la separazione in corso coinvolge aspetti che possono prestarsi a strumentalizzazioni».
La domanda iniziale resta aperta, ma secondo Fdi la risposta è una sola: il sindaco deve dimettersi. «Quanto avvenuto getta una luce sinistra su un’istituzione che non può permettersi di essere lambita da simili ombre», hanno dichiarato con una nota congiunta esponenti locali e nazionali del partito di Giorgia Meloni. «L’aspetto dell’opportunità politica non può essere sottaciuto. Il Pd ha fatto della tutela delle donne una bandiera da sventolare in ogni dove, ci aspetteremmo dunque che fosse proprio il partito a chiedergli di fare un passo indietro».



