2018-09-21
Morta la vedova del terrorista rosso che fece un impero sulla pelle dei librai
Inge, l'ex moglie di Giangiacomo Feltrinelli, aveva un debole per i dittatori. E con i suoi megastore ha messo all'angolo i piccoli negozi.Dalla Germania di Weimar al successo imprenditoriale nell'editoria, passando attraverso il comunismo rivoluzionario in connubio con Giangiacomo Feltrinelli, il miliardario rosso che morì facendosi saltare in aria vicino a un traliccio dell'Enel dopo essere passato in clandestinità: la vita di Inge Feltrinelli ha percorso tutta la gamma dei colori della sinistra passando dall'estrema sinistra rivoluzionaria fino alla svolta «liberal» e diciamo pure «radical chic» degli ultimi anni. Lo studente universitario non politicizzato che negli anni Duemila entra in un negozio della catena Feltrinelli per acquistare un libro o un dvd o per sedersi al tavolo del bar interno alla megalibreria forse neppure immagina a quali pulsioni ideologiche si sia legato in anni passati il nome Feltrinelli. E men che meno lo saprà se si limita a leggere i necrologi che la grande stampa ha dedicato in queste ore a Inge Feltrinelli: commemorazioni che generalmente tendono a rappresentare Inge e Giangiacomo come dei brillanti «Sandra e Raimondo» dell'editoria, tralasciando quei piccoli particolari di piombo… il fiancheggiamento attivo di gruppi e movimenti che sfociarono nella lotta armata. Eppure da vecchie fotografie ingiallite emergono dettagli inquietanti: i volantini «rivoluzionari», le pagine di Tri Continental – la rivista di Feltrinelli, che oltre alla analisi marxista invitava a passare all'azione e spiegava pure come – il pugno chiuso di Toni Negri, il commissario Calabresi che scopre il cadavere di Giangiacomo e chiama Inge per il riconoscimento… Se Franca Rame e Dario Fo si «limitavano» a organizzare il «soccorso rosso» di chi aveva superato la linea rossa della teoria per passare alla prassi, Giangiacomo Feltrinelli aveva l'irrefrenabile pulsione a diventare «nuovo partigiano» nella folle convinzione che nell'Italia del pieno sviluppo industriale si potessero ripetere le gesta del Che e di Fidel Castro. Inge Feltrinelli in questo fu «moglie all'antica» e mai smise di difendere la memoria del marito e mai palesò dubbi per certe prese di posizione che influenzarono la scelta di centinaia di giovani italiani di passare alla lotta armata. Passata la stagione «rivoluzionaria» (e terroristica) ha continuato a spargere dubbi sulle circostanze della morte del marito. Come se una forza estranea all'utopismo dottrinario marxista avesse spinto Giangiacomo a posizionare le cariche di tritolo al traliccio di Segrate. La vedova Inge seguì sempre un doppio binario che conciliava consolidate convinzioni ideologiche e un deciso fiuto per gli affari. Così mentre celebrava la morte del marito morto per «combattere la Gladio italiana» si adoperava affinché la casa editrice uscisse dal vicolo cieco dell'estremismo di sinistra rilanciandola come il punto di riferimento di una nuova sinistra. «Non siamo più una casa editrice politicizzata come un tempo, perché il contesto è cambiato. Ma restiamo radicali», dichiarò in tempi recenti Inge. «The Queen of the Publishing», è stata definita, regina dell'editoria, con quella comprensione della civiltà dell'immagine che le derivava dall'aver esordito come fotografa. In verità ancor prima di darsi alla fotografia aveva sfiorato una delle tragedie più grandi del secolo. Nata in Germania da padre ebreo negli anni di Weimar aveva tre anni quando Hitler salì al potere. Suo padre si rifugiò in America e lei ebbe come padrino un cavalleresco ufficiale tedesco non irrigidito dall'ideologia nazista. Inge si fece largo nel bel mondo occidentale grazie alla fotografia e a un fiuto per il giornalismo di inchiesta e anche mondano. Nel dopoguerra conosce l'editore Alex Springer, va a Madrid a raccontare in immagini quel mondo chiuso che era la Spagna franchista. Si ritrova nel salotto della pronipote del banchiere J. P. Morgan. La ritroviamo a fotografare Picasso, Gary Cooper, Greta Garbo e a ricevere le attenzioni galanti di Hemingway e Fidel Castro. Con una certa civetteria ricorderà sempre di aver risposto picche a quei celebri don Giovanni «per l'educazione di brava ragazza tedesca che avevo ricevuto», mentre dichiarò francamente di aver subito il fascino di John Kennedy. In che modo questa attrazione per la mondanità occidentale si conciliava alle nostalgie francamente staliniste del marito Giangiacomo? Sono misteri che neppure a leggere tutti i libri pubblicati dalle edizioni Feltrinelli si riuscirebbe a decifrare. Della estrema sinistra Inge nutriva la passione per il complottismo, che spesso induceva a chiudere tutti e due gli occhi di fronte alle realtà più crude. La morte di Feltrinelli? «Certo non è stato un incidente», insisteva, «fu un delitto politico. Giangiacomo fu assassinato; anche se non so da chi. Era un uomo scomodo. Era tenuto d'occhio da cinque servizi segreti, compresi il Mossad e la Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra». La casa editrice Feltrinelli per tutti gli anni Settanta fiancheggia, accarezza, incoraggia i gruppi che si spingono più avanti nei proclami «rivoluzionari». E sono gli anni delle Br, poi di Autonomia Operaia, del professor Toni Negri… Molti rimasero sul terreno, altri finirono in carcere. La casa editrice Feltrinelli, guidata con piglio manageriale degna del capitalismo rampante da Inge superò gli anni Settanta senza rimorsi, anzi con la convinzione di interpretare sempre le istanze progressive della società. La regina del «publishing», mentre i regimi comunisti d'Europa entravano in crisi, rilanciava la Feltrinelli secondo gusti sempre più liberal, trasformava l'immagine del Che in uno straordinario brand di mercato, creava una catena di megastore capace di fagocitare le piccole librerie militanti e di aprirsi al nuovo pubblico borghese. A sinistra vi è chi ha accusato la Feltrinelli di essersi comportata come una azienda capitalista tesa a massimizzare i profitti e a eliminare la concorrenza di altre sigle ideologicamente affini senza troppi scrupoli.Non senza ragione.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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Il presidente e ad di Philip Morris Italia dal Forum Teha di Cernobbio: «La leva competitiva è cruciale per l'Italia e l'Europa».