2025-09-08
Con la maxi diga sul Nilo l’Italia rafforza il suo ruolo in Africa
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
Domani l’Etiopia inaugura l’opera costruita da Webuild, che inverte la narrazione catastrofista sulla regione. Ma l’Egitto la contesta, con la sponda di Trump.Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli: «Le imprese beneficeranno del nostro dinamismo. Quest’anno investiremo oltre 980 milioni. Il Piano Mattei è la cornice per ricomporre le tensioni tra Addis Abeba e l’Eritrea».Lo speciale contiene un articolo e un'intervistaÈ la più grande diga in Africa, forse la più imponente opera d’ingegneria costruita dalla fine del colonialismo. Il nome Gerd, Grand Ethiopian Renaissance Dam, è monumentale come la sua potenza idroelettrica: 5.150 megawatt pari a 5 reattori nucleari. Situata nel Nord dell’Etiopia, in un’area fonte di flussi migratori, è ormai il principale bacino di energia pulita del continente africano.Acque del Nilo Azzurro, principale affluente del Nilo, che nasce in Etiopia dal lago Tana e deve il nome al limo di cui si gonfia durante la sta-gione delle piogge fertilizzando il deserto fino al Cairo. Un «dono degli dei» per gli antichi egizi e le cose non sono cambiate, visto che tuttora il rifornimento idrico dell’Egitto dipende dal Nilo per il 97%.Per un costo di 5 miliardi di dollari, la diga è stata costruita con l’ampia partecipazione della popolazione etiope e «It’s my dam» è uno degli slogan più in voga in Etiopia tra quanti hanno acquistato bond emessi dal governo. Un’opera di orgoglio etiope oltre che italiano visto che è stata realizzata da Webuild, ex Salini-Impregilo, portando lavoro e know how a più di 20.000 operai africani. Con grandi prospettive di sviluppo per il secondo Paese più popoloso in un continente per il 43% senza corrente elettrica e dove, per la Banca mondiale, entro il 2050 100 milioni di persone si muove-ranno a causa di povertà e siccità. Una storia che rompe la narrazione negativa sull’Africa come terra di tragedie e sventure da dove l’unica opzione per masse di disperati è scappare a bordo di qualche barcone.Forse proprio per questo la diga arriva all’inaugurazione di domani 9 settembre avvolta nel silenzio mediatico. O nelle polemiche, perché al centro di un caso geopolitico. L’Egitto accusa la diga di rappresentare «una minaccia esistenziale» e di sottrarre acqua alle sue campagne. Al netto di oscillazioni fisiologiche nella fase di riempimento dell’invaso, oggi che è finita non vi è alcuna evidenza delle paure ventilate dal Cairo, che rivendica il controllo del Nilo in nome di vecchi accordi coloniali. Il primo nel 1929 con la Gran Bretagna, seguito da una firma nel 1959 per la spartizione dell’acqua esclusivamente tra Egitto e Sudan.Accuse respinte dall’Etiopia che, oltre a lamentare la paradossale esclusione dall’utilizzo delle acque nonostante contribuisca all’intera portata del Nilo per più dell’80%, ribadisce una serie di benefici per l’intera regione. Non solo in termini di produzione di energia elettrica, vi-sto che già dal 2022 rifornisce di corrente Sudan, Kenya e Gibuti, ma anche nel contenimento delle piene, specialmente quelle di cui ha sempre sofferto Khartoum, dove il Nilo Azzurro incrocia il Nilo Bianco. Come confermato peraltro dallo stesso Sudan. Nel tentativo di trovare una quadra, lo scorso ottobre era entrato in vigore il Cooperative Framework Agreement (Cfa), trattato per l’uso delle acque del Nilo, ma nonostante l’adesione di Rwanda, Sud Sudan, Uganda, Tanzania e Repubblica democratica del Congo, un netto «no» è stato ribadito da Sudan ed Egitto. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha comunque tirato dritto fino al completamento della diga, motivo per cui per il Cairo la Gerd è «illegale» e, nonostante l’invito, non sarà presente al taglio del nastro. A difesa di Sudan ed Egitto, proprio in questi giorni è scesa in campo anche la Lega Araba che, pur riconoscendo le esigente di sviluppo dell’Etiopia, preme per un accordo.Inutile dire che la tensione è alle stelle. Nonostante le attese di un’inaugurazione in pompa magna (sui siti etiopi ad un certo momento era rimbalzato persino il nome di Putin come special guest), all’ultimo è stata cancellata la partecipazione di gran parte della stampa e del pubblico. Una decisione arrivata venerdì per questioni di sicurezza e che vedrà ridotta al minimo anche la partecipazione di Webuild, con il solo amministratore delegato Pietro Salini.A nulla infatti è servito uno degli ultimi discorsi tv di Abiy dove ha ribadito che la diga è un simbolo di cooperazione regionale, «non certo una minaccia per i nostri fratelli e sorelle egiziani e sudanesi». Una logica di squadra quanto mai necessaria per lo sviluppo economico dell’Africa ma che non sembra convincere del tutto neanche il premier, visto che da almeno due anni ripete la necessità per l’Etiopia di un accesso al mare, anche attraverso mezzi «non convenzionali», suscitando allarme nei Paesi vicini.Prima firmando un controverso memorandum con la regione separatista somala del Somaliland, poi puntando al porto di Assab, in Eritrea, tema riproposto da Abiy neanche una settimana fa in un gioco di parallelismi tra la secolare lotta dell’Etiopia per il Nilo e il suo attuale status di Paese senza sbocco al mare. «Il Mar Rosso era nelle nostre mani 30 anni fa. Quella storia è stata un errore di ieri. Domani verrà corretto», ha affermato. Pretese che hanno dell’assurdo se si considera che anche dopo la separazione dell’Eritrea nel 1991, l’Etiopia ha sempre potuto utilizzare i porti eritrei di Massawa e Assab per attività commerciali senza variazioni di costi e servizi.Quanto ad errori storici, si deve se mai all’allora primo ministro etiope Meles Zenawi, durante il tentativo di occupare l’Eritrea con la guerra del 1998, la decisione di spostare le attività commerciali a Gibuti, nella speranza di penalizzare economicamente l’appena nata Eritrea. In seguito, con l’accordo di pace tra i leader eritreo ed etiope firmato nel 2018 in Arabia Saudita, era stata messa nero su bianco la riabilitazione delle strade in entrambi i Paesi proprio per facilitare l’accesso degli etiopi ai porti eritrei. Promesse di cui fu simbolicamente testimone anche Giuseppe Conte, primo leader europeo nel Corno d’Africa dopo la pace. Per questo le dichiarazioni del primo ministro sembrano tradire intenti bellici di vera e propria occupazione territoriale. Difficile dire quanto reale sia il rischio di una guerra, data la pesante situazione di default economico da cui l’Etiopia sta cercando faticosamente di risollevarsi, le trattative con Fondo monetario e Banca Mondiale per la ristrutturazione del debito con tanto di inasprimento della politica fiscale, il costo della vita alle stelle in una città come Addis Abeba, che grazie a flussi di capitali esteri, sebbene il 30% degli abitanti viva in povertà, assomiglia sempre di più a New York. Inoltre, da più di due anni l’Etiopia è attraversata da profonde spaccature con una sanguinosa crisi nella regione Oromo e soprattutto in quella Amhara dove il premier Abiy si sarebbe macchiato di sterminio etnico e dove i miliziani Fano sono ormai organizzati in una vera e propria resistenza. Un contesto delicato dove il tema dell’accesso al mare sembra dunque funzionale a restituire unità al Paese puntando su orgoglio nazionale e presunti nemici esterni. Strategia che per ora ha sicuramente rafforzato l’asse tra Somalia, Eritrea, Egitto e Paesi della sponda arabica che si affacciano sullo strategico stretto di Bab el Mandeb dove transita il 12% del commercio mondiale.Linea verso cui sembra propendere anche Donald Trump. Dopo che nel 2020 aveva accusato la Gerd di minacciare la sicurezza dell’Egitto, giusto un mese fa, se da un lato ha ribadito la volontà di adoperarsi per una risoluzione pacifica, dall’altro ha lanciato una stoccata all’Etiopia sollevando il dubbio che la diga sia stata realizzata grazie all’aiutino di qualche suo predecessore. Un assist quindi per l’Egitto, Paese quanto mai fondamentale per il suo allineamento con Israele contro l’Iran. Non resta dunque che vedere come gli Usa reagiranno alla cerimonia d’inaugurazione della «diga della discordia» che, al di là degli intrighi geopolitici, andrebbe vista in primis come opportunità di sviluppo dell’Africa. Ammesso che interessi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/maxi-diga-sul-nilo-litalia-2673969381.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-continente-per-noi-e-una-priorita-ora-competiamo-coi-giganti-asiatici" data-post-id="2673969381" data-published-at="1757325773" data-use-pagination="False"> «Il continente per noi è una priorità Ora competiamo coi giganti asiatici» Interesse nazionale, da entrambe le parti, e sviluppo economico, sono la ricetta con cui il Piano Mattei si inserisce nella complessità africana. Ne è convinto il viceministro degli Affari Esteri e alla Cooperazione Edmondo Cirielli, che raggiungiamo dopo il viaggio in Etiopia ed Eritrea.Oltre alla cooperazione, entrano in gioco le aziende, pubbliche o private come Webuild. Il Piano Mattei si inserisce nel progetto della Gerd?«Le imprese sono attori indispensabili nella prospettiva del Piano Mattei. Con Webuild in Etiopia stiamo dimostrando di essere uno dei pochi Paesi occidentali a realizzare grandi infrastrutture all’estero, riuscendo a competere anche con i giganti asiatici. La Gerd non rientra nel Piano Mattei, ma le imprese sicuramente beneficiano dell’eccezionale dinamismo nelle nostre relazioni con Addis Abeba».Lei ha detto che quando è arrivato, sebbene la cooperazione allo sviluppo ammontasse a 1 miliardo di euro, nei cinque anni precedenti non erano mai stati impegnati più di 500 milioni all’anno. Come mai?«Mancava una visione strategica. Con il Piano Mattei l’Africa è tornata tra le priorità dell’agenda politica italiana. L’anno scorso abbiamo deliberato più di 800 milioni di euro per iniziative di cooperazione nella sola Africa e per quest’anno abbiamo programmato oltre 980 milioni».In Etiopia, Paese chiave del Piano Mattei, ci sono diversi progetti in essere di cui ha parlato anche il premier con cui a luglio si è recato ad Addis Abeba. Dalla bonifica del Lago Boyle alla riqualificazione di Jimma in Oromia, fino allo sviluppo della filiera del caffè. In Eritrea invece, si è recato con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Su quali settori dell’economia si è puntato?«Oltre a finanziamenti per cultura e salute, ad esempio 5 milioni andranno all’Ospedale Orotta di Asmara per un progetto gestito da Aics, tra i settori più promettenti ci sono quello ittico e l’agricoltura. Per un progetto di irrigazione di territori aridi in partenariato con Undp verranno investiti 3,5 milioni di euro».L’interesse nazionale è uno dei principi guida dell’Eritrea che ha da sempre rifiutato ingerenze esterne. Non a caso è uno dei tre Stati africani a non avere debiti con il Fondo monetario. Politica che però ha portato ad un certo isolazionismo. Lei come ha trovato il Paese?«Ho visto un Paese dalla storia particolarmente complessa, che ha grande voglia di crescita. Ho visto tanto potenziale, oltre che una grande apertura nei confronti dell’Italia. Asmara ci considera un interlocutore privilegiato tra i Paesi occidentali e questo anche perché nessuno meglio di noi può capire con quale attenzione l’Eritrea guardi alla sua indipendenza e alla sua sovranità nazionale, politica ed economica».Lo scorso 30 luglio, Donald Trump ha inviato una lettera al presidente eritreo Isaias Afwerki dove ha detto di voler ristabilire un rapporto rispettoso con l’ Eritrea «invertendo le attività negative e dannose causate dall’amministrazione Biden in tutto il mondo». Un cambio di passo che sembra sposare il cambio di paradigma verso l’Africa di cui si è fatto portavoce il governo Meloni con il Piano Mattei?«Il Piano Mattei sta “facendo scuola” su entrambe le sponde dell’Atlantico. Così come a livello europeo, grazie alle crescenti sinergie con il programma Global Gateway. Apprezziamo molto l’apertura del presidente Trump verso Asmara, e saremmo pronti a collaborare con Washington su eventuali triangolazioni in settori di comune interesse».Da qualche tempo il primo ministro etiope Abiy Ahmed esprime la necessità di un accesso al mare anche con la forza. Dichiarazioni che rischiano di destabilizzare l’intero Corno d’Africa. Come vede la situazione?«L’Etiopia è il secondo Paese più popoloso d’Africa e per la stabilità della regione è fondamentale che lo ottenga per fini commerciali e con mezzi pacifici. Abbiamo accolto con favore l’accordo raggiunto a fine 2024 tra Etiopia e Somalia, con la mediazione della Turchia. Come Italia, siamo da tempo impegnati nel sensibilizzare gli attori coinvolti contando sul ruolo chiave dell’Unione Africana».In un’ottica di stabilità nell’area, un incontro tra i leader etiope ed eritreo sarebbe utile. Esistono iniziative diplomatiche in tal senso con la mediazione del ministero degli Esteri italiano?«Sviluppo socio economico e stabilità politica sono inseparabili. Rafforzare la collaborazione con Addis Abeba e rilanciare quella con Asmara nella cornice del Piano Mattei, è la via più efficace alla ricomposizione delle tensioni. Al momento non esistono iniziative per un incontro Abiy-Afewerki con la nostra mediazione, ma assicurando la presenza di entrambi all’ultimo vertice Italia-Africa abbiamo dato prova di un convening power unico a livello europeo e occidentale».
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».