2023-12-18
Morandi 1890-1964. L' omaggio di Milano al grande artista bolognese
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Giorgio Morandi.Natura morta, 1939. Olio su tela Milano, FAI - Fondo per l'ambiente italiano ETS - Collezione Gian Ferrari, Villa Necchi Campiglio © Giorgio Morandi, by SIAE 2023
A oltre trent’anni dall’ultima rassegna meneghina, Giorgio Morandi torna a incantare pubblico e critica con una grande mostra a Palazzo Reale, dove (sino al 4 febbraio 2024) un corpus espositivo di circa 120 opere, provenienti da importanti istituzioni pubbliche e da prestigiose collezioni private, ripercorre l’intera carriera del grande artista bolognese, figura fra le più note e apprezzate del panorama artistico del XX secolo.Una pittura apparentemente semplice quella di Giorgio Morandi. E (anche) per questo inconfondibile. Bottiglie, vasi, ciotole, piatti i suoi soggetti preferiti. Neutre le tinte, con qualche «azzardo» di colore: l’arancione per esempio. Oppure il blu, il rosso, il giallo e il verde. Il tutto, oggetti e colori, rappresentati con ordine, senza affastellamenti nè esagerazioni. Direi quasi con «metodicità », come metodica era la sua vita, trascorsa tutta fra Bologna (dove nacque nel 1890 e morì nel 1964) e Grizzana, piccolo borgo dell’Apennino bolognese, luogo d’ispirazione privilegiato e soggetto di alcuni dei suoi più celebri capolavori. Un solo viaggio all’estero, a Winterthur, in Svizzera, nel 1956, in occasione di una personale organizzata dal locale Kunstmuseum: in compenso, a viaggiare, perlui e più di lui, erano le sue opere. Si, perché Giorgio Morandi, nonostante l’esistenza monacale, scandita quasi esclusivamente dalla compagnia delle sorelle e dalle rare (e poco gradite) visite di qualche amico (uno su tutti, il noto collezionista d’arte Luigi Magnani), fu da subito artista noto ed apprezzato: persino Giorgio De Chirico, così poco incline ai complimenti e, soprattutto, ad ammettere la bravura di altri suoi colleghi, diceva che (Morandi ) «guarda un gruppo di oggetti sopra un tavolo con l’emozione che scuoteva il cuore al viaggiante della Grecia antica allorquando misurava boschi e valli e monti ritenuti soggiorni di divinità bellissime e sorprendenti ». Ed effettivamente, per rendere poetici un gruppo di oggetti sopra un tavolo, bisogna «regalargli un’anima », altrimenti la scena non funziona. Morandi questo lo ha fatto: ha regalato vita, una vita interiore, ai suoi soggetti inanimati, che per questo incantano. Le opere di Morandi, così stranianti e oniriche, pur nella «banalità » dei soggetti rappresentati, vanno oltre la realtà, sono «altro» rispetto al reale. L’arte di Morandi è un’arte fortemente introspettiva, quasi sacra, che cela qualcosa di divino. Nessuna concessione all’inutile e al superfluo. La forma serve solo a contenere la sostanza. Quella di Giorgio Morandi non è «semplice »arte. E’ filosofia. La sua filosofia di vita…E a questo grande artista, così profondo nella sua apparente semplicità, a trent’anni di distanza dall’ultima rassegna Milano dedica una grande retrospettiva, tra le più importanti e complete degli ultimi decenni.La Mostra a Palazzo RealeIdeato e curato da Maria Cristina Bandera ( Direttore della Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi di Firenze), il percorso espositivo, suddiviso in ben 34 sezioni, segue un criterio cronologico dagliaccostamenti inediti, che documentano l’evoluzione stilistica e il modus operandi di Morandi, sia nella variazione dei temi, che delle tecniche (pittura, acquaforte e acquerello): a metà percorso, vera sorpresa per il visitatore, una suggestiva installazione video, riproponela camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di una radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955). Un percorso oserei dire « perfetto », che traccia con chiarezza e linearità tutta la parabola artistica di Morandi, dai contatti giovanili con le avanguardie (con il cézannismo soprattutto) agli anni conclusivi: nel mezzo, la sua personale lettura della metafisica, il ritorno alla tradizione, l’incisione, la pittura tonale (con quel colore declinato in infinite gradiazioni, che diventa espressione di luce), l’acquarello. Racchiusa in questa mostra tutta la cifra stilistica di questo artista, solitario (per scelta) ma non isolato, che riteneva non vi fosse« nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale».Era sua convinzione – dichiarava nel 1955 - che «le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile, che è un mondo formale, siano inesprimibili a parole. Il compito dell’arte è quello di far cadere quei diaframmi, quelle immagini convenzionali che si frappongono tra l’artista e la realtà». Pretesto per far cadere quel diaframma, per disvelare ciò che della realtà è astratto, il suo universo simbolico, ripetitivo solo in apparenza, ma con una variazione di temi ripresi lungo tutta una vita «penso di essere riuscito a evitare questo pericolo (di ripeterm)] – dichiarò nel 1960 - dedicando più tempo a progettare ciascuno dei miei dipinti come una variazione sull’uno o l’altro di questi pochi temi».
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