2024-08-10
La montagna può curare la ferita interiore
Valchiusella (@Ginevra Scaglione)
In Valchiusella, un festival propone meditazioni e riflessioni intime in un paesaggio incontaminato. Quest’anno era dedicato ai padri che non ci sono più. C’è chi si è commosso e non ce l’ha fatta a parlare, ma questo ricordo ristoratore ha fatto bene a tutti. Le montagne sono luoghi che ci portano spesso a pensare. Chi medita e cammina in solitudine conosce bene quanto la natura, i paesaggi, le distanze, concilino l’anima con l’arte antica della speculazione. Sarà forse la distanza col resto dell’umano. Sarà la nostra ombra rimpicciolita. Saranno le bellezze disordinate che incontriamo in questi mondi altri. Sarà il carattere selvatico della natura animale e vegetale che contrasta con la nostra amabile modernità.Mentre le mie dita digitano i tasti del computer, un temporale sta farfugliando sulla montagna accanto al paese dove risiedo, ai piedi delle Alpi Cozie. Soffia, e trambusta, ma qui, sul mio orto, in verità cade ben poca acqua, per il momento almeno. Soltanto poche ore fa mi trovavo a un centinaio di chilometri sulla cima di un monte, sotto un cielo limpido e innanzi ad un paesaggio vasto e mozzafiato, in una vallata che si chiama Valchiusella, e come suggerisce il nome trattasi di valle tendenzialmente stretta, forse come la mentalità di chi vi abita, quantomeno tradizionalmente. Qui ogni anno ad agosto si svolge un festival che porta nelle piazze film e documentari dedicati alla natura e alle attività umane connesse a paesaggio e ambiente. Uno schermo come i cinema all’aperto e alcune centinaia di sedie che raramente non vengono occupate. Di mattina e di pomeriggio si svolgono invece camminate, attività all’aperto, meditazioni, laboratori per bambini e incontri letterari. Ieri, ad un mese dalla scomparsa di mio padre, si è tenuto il primo incontro nel quale ho parlato di questa recente ferita. La profondità e la ramificazione sinceramente mi sono ignote, e forse mi resteranno ignote per lungo tempo, chissà, per sempre? Ci siamo ritrovati al bar di un paese, e qui siamo saliti con alcune macchine lungo stradine sempre più strette e sterrate fino all’ingresso di un breve sentiero che ci ha condotti a piedi su un pianoro, localmente noto quale Pian degli Alemanni. Una trentina di persone, pochi di più. Qui ci siamo guardati ben intorno e abbiamo ammirato, essì, anche fotografato, il panorama che si distendeva per il resto della valle e fin sulla pianura padana che si apre ai territori del biellese e del vercellese. Centri abitati, corsi di fiumi, stabilimenti industriali, pioppeti, foschie in lontananza dove la pianura ancora friggeva sotto la canicola estiva. Noi, al contrario eravamo al fresco, o meglio, al giusto. Lassù, beati, comodi, rilassati, pronti per dedicare un’ora o due a noi stessi e ai ricordi. Il programma dell’incontro recitava così: «Che cosa resta dei nostri padri quando i loro corpi si trasformano? Che cosa resta di loro dentro di noi? Che cosa resta di loro e di noi? Meditare nei boschi, abbracciare grandi alberi secolari, ascoltare sinfonie acquatiche, assoli alati, perlustrare il museo delle geometrie fogliari e corticali: quello che è stato può continuare e vivere nella natura che ci circonda… La scrittura, esercizio che insegue il disegno del filo delle nostre anime, ci può aiutare a comprenderlo. Portare un quaderno, una penna, abiti comodi, e i ricordi più cari». Ovviamente, è chiaro, non tutti i partecipanti l’avevano letto, molti sì ma non manca quasi mai chi arriva e dice, un po’ sorpreso, guardandosi intorno: Mah, non sapevo. Non ne avevo idea. Capita che qualcuno si faccia trascinare da amici o da mogli e mariti, e capita anche che ci si aggreghi per caso, all’ultimo, senza una ragione precisa.Abbiamo iniziato parlando di paesaggio e natura, discorrendo sulla natura della natura che vediamo ad esempio dal monte: opera delle attività umane che hanno disegnato e scolpito il paesaggio a nostra immagine e somiglianza, per così dire. E poi ci sono i boschi, le riserve, le selve, come quella sul cui limitare ci trovavamo; un intricato e disordinatissimo groviglio di frassini, acacie, castagni, rovi, betulle e sorbi. Anche questa una natura voluta dall’uomo, il grande architetto dell’Antropocene.Alcune poesie che radicano, respiri, silenzi, sguardi. E poi abbiamo iniziato, lentamente, cautamente, ad avvicinarci ai nostri ricordi, ai padri che molti dei presenti hanno perduto. Chi recentemente, chi da lungo tempo. Eppure certi tagli sembrano sempre così vicino, troppo vicino, vividi, sanguinanti, dolorosi. Con la calma di un bradipo che deve oltrepassare una strada ho letto qualche parola, iniziato a far emergere qualche situazione concreta. Dunque ho chiesto di prendersi del tempo, una decina di minuti, per ricordare, per riportare alla luce un ricordo del padre, un vivido ricordo bello che ci donasse un’idea di chi fosse quella persona. Non è stato facile parlare di me, ai presenti, e non è stato facile che loro si fidassero, di se stessi, degli altri, di me. C’è chi ha scritto, e c’è chi ha ricordato tratteggiando soltanto nella propria mente, una proiezione per così dire intima e ad un solo spettatore. E poi abbiamo letto, o meglio, hanno letto. Una signora ha cercato ma la voce si è spezzata, una seconda signora ha chiesto all’amica di terminare la sua lettura. Una ragazza si è chiusa a riccio. Le donne sono le prime a esporsi, a condividere, gli uomini, i maschi, arrivano dopo, ma arrivano. Altri invece hanno avuto la fermezza di leggere, di guardarsi intorno e di capire che sì, è così, è vero, noi e i nostri cari, siamo comunque sempre insieme, siamo qui, anche adesso, su questa cima occasionale, davanti a questo paesaggio in parte estraneo, in mezzo a queste persone che forse non rivedremo mai più. È stato emozionante restare insieme, per questa ora e mezzo, concretizzando gli spettri, le anime, le impronte di questi colossi della nostra esistenza, oramai vivi anzitutto in noi. Un dono poterli richiamare, e poterlo fare anche insieme ad altre persone. Poi ci siamo concessi venti minuti di rilassamento, di silenzio, per qualcuno è stata meditazione, per altri riposo, un calmare le acque, un riappropriarsi del proprio tempo. E alfine ci siamo concessi la lettura delle prime pagine di uno dei libri più strazianti e veri, concretissimo e drammatico per certi versi, poetico per altri: La presenza pura di Christian Bobin (AnimaMundi Edizioni), un testamento del celebre e amato filosofo e pensatore francese, recentemente deceduto; un dialogo tra sé e l’albero al di fuori della finestra del proprio studio, ma anche un ricordo degli ultimi mesi di vita del padre, malato di Alzheimer. Croce e delizia.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.