
Il comandante Gdf smentisce ruoli nella caccia ai responsabili. Ma specifica: «Nessun generale in servizio».Il 30 dicembre, meno di tre settimane fa, il premier Giuseppe Conte di fronte ai microfoni dei giornalisti replicava alle richieste di Matteo Renzi sulle deleghe ai servizi segreti con un non si può fare. «C'è una legge che dice che il presidente del Consiglio affida la delega a una personalità di chiara importanza a cui assegna il compito strategico di gestire l'intelligence, che non è la polizia personale di qualcuno», commentava Conte aggiungendo che «la legge del 2007 attribuisce al presidente la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale. Domanda: perché si chiede a un presidente del Consiglio di liberarsi dei suoi poteri? Altrimenti cambiamo la legge». Ieri, nel suo lungo discorso alla Camera per chiedere la fiducia, lo stesso Conte ha cambiato registro. «Nei prossimi giorni chiederò alle forze di maggioranza di completare il confronto già avviato per concordare il patto di fine legislatura», aggiungendo che «viste le nuove sfide che mi attendono e gli impegni sul piano internazionale non intendo mantenere la delega all'agricoltura e mi avvarrò anche della facoltà, che la legge mi accorda, di designare un'autorità delegata per l'intelligence di mia fiducia». Che cosa è accaduto nel frattempo? È intervenuta la necessità di cedere alle richieste nel tentativo di portare a casa il Conte ter. E non ci riferiamo alle richieste di Matteo Renzi, ma di quelle degli alleati dem. Perché la battaglia di Italia viva, sebbene abbia fatto più rumore, si è inserita nell'agone per ultima dopo mesi di pressioni e moral suasion da parte dell'opposizione e pure del Pd. Innanzitutto bisogna sottolineare un fatto: il passo indietro di Conte poteva essere fatto prima, rimanendo come ovvio nell'ambito della legge statutaria del 2007. Cedere le deleghe a una persona di fiducia come ovvio, ma all'interno di una decisione condivisa con i partiti della maggioranza. Perché come è sempre accaduto in passato, la scelta del sottosegretario con delega avveniva all'interno del partito di riferimento del premier. Conte, però, non ha un partito, il che non gli consente comunque di scegliere un persona in totale autonomia. E ciò riporta il tema sulle scelte future. La decisione di fare un passo indietro sembra dunque un chiaro messaggio al Pd, il quale negli ultimi mesi, sempre all'interno della sfera dei palazzi, ha più volte contestato il blitz di fine luglio che ha modificato i termini di rinnovo dei direttori. Ha contestato le modalità di avvio della fondazione sulla cybersecurity. Una modalità inizialmente mirata ad accentrare le decisioni dentro il Dis e Palazzo Chigi, lasciando pericolosamente al di fuori del perimetro le altre agenzie e pure Copasir e Cisr. Infine, a frapporre Pd e Conte si sono inserite anche le nomine dei vice direttori, poi di fatto saltate, nonostante il lungo periodo di vacatio. A questo punto Conte dovrebbe sapere che non basteranno le parole di ieri per riavvicinare il Pd e gli altri alleati. Anche se il gioco del Conte ter dovesse stare in piedi, il premier dovrà garantire che il nome del delegato contenga pure il concetto di collegialità invocato nei mesi e nelle scorse settimane. Non resta dunque che vedere cosa accadrà oggi e se il premier riuscirà a rimanere al suo posto. In tal caso la scelta del sottosegretario con delega dirà tantissime cose. L'idea di Luciana Lamorgese avrebbe agli occhi della maggioranza un doppio vantaggio. Primo, quello di liberare un ministero. Secondo di individuare un figura apprezzata da Sergio Mattarella, ma anche molto vicina a Marco Minniti. In pratica, un ritorno al passato con la benedizione del Colle. Più problematica sarebbe l'ipotesi di delegare Alessandro Goracci, attuale capo di gabinetto di Conte che ieri risultava se non autore editor del discorso in Aula del premier. Carlo Goracci, il padre di Alessandro, ha lavorato per anni a stretto contatto con Ugo Zampetti, consigliere di Mattarella. Un solido rapporto di stima che però non garantirebbe al Pd la conoscenza di tutte le strutture e i gangli che uniscono apparati di intelligence e strutture dell'Interno. Il terzo nome in ballo, invece, sembra non avere possibilità di decollare. Si tratta del sottosegretario Mario Turco con delega alla programmazione economica. dalla sua nomina si è però concentrato quasi esclusivamente sugli investimenti cinesi o sullo sviluppo di Taranto. Un background che suona un po' troppo sinofilo per la parte atlantista del governo e pure per i cugini d'Oltreoceano. Perché non va dimenticato che la leva principale usata per scardinare le deleghe in capo a Conte deriva dal cambio di inquilino alla Casa Bianca e dai possibili sviluppi del caso Barr. Senza contare il nome di Gennaro Vecchione, capo del Dis, il cui nome è emerso nei retroscena sulla caccia ai «responsabili». Articoli pesanti smentiti in gran parte dalla nota ufficiale del comandante generale della Gdf, Giuseppe Zafarana: «Le notizie circa il presunto coinvolgimento di generali della Gdf in attività volte ad ampliare la maggioranza di governo sono prive di fondamento», ha precisato il generale dopo aver informato Gualtieri che nessun generale in servizio nel Corpo ha posto in essere attività di tal genere». Un modo per mettere la mano sul fuoco per i propri uomini ma non per gli uomini di tutti.
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