2024-12-14
Al «moderato» Jolani cade la maschera: polizia morale in Siria e sharia con la forza
Il jihadista in un video: «Tutti seguano la legge islamica, pena il bastone». Si disfa dell’influenza iraniana e caccia i palestinesi.Il nuovo regime siriano è un concentrato di ambiguità. Innanzitutto crescono i dubbi sulla patente di moderazione che sta cercando di autoattribuirsi. Negli ultimi giorni, sta infatti circolando un breve video sottotitolato in lingua inglese e dalla datazione incerta (forse risalente al 2023), in cui il leader di Tahrir al-Sham, Mohammad Al Jolani, usa delle parole non poco inquietanti. «Il ministero dell’Interno avrà una polizia morale guidata da religiosi e mullah. Alle persone verrà detto di obbedire alla sharia senza usare i bastoni. Se usassimo i bastoni, ciò mostrerebbe la nostra incapacità di trasmettere la sharia alle persone. L’Islam è la vera religione, è già forte», ha detto, per poi aggiungere: «Risponderemo con la forza a coloro che cercheranno di impedirci di implementare la sharia». Si tratta di dichiarazioni che, sebbene forse non recentissime, rendono meno solide le rassicurazioni del premier del nuovo governo, Mohammed Al Bashir, il quale ha garantito il rispetto dei diritti di tutti i gruppi religiosi. Nel mentre, Al Jazeera riportava ieri che potrebbero essere in corso le esecuzioni dei funzionari legati al regime di Bashar Al Assad. Insomma, la moderazione del nuovo governo siriano sembrerebbe ancora tutta da dimostrare. D’altronde, ricordiamo che l’organizzazione di Jolani intratteneva storicamente legami con Al Qaeda.Dall’altra parte, ieri il quotidiano libanese Al Akhbar ha riportato che la stessa Tahrir al-Sham avrebbe intimato alle varie fazioni della cosiddetta «resistenza palestinese», operanti in Siria, di deporre le armi e di chiudere i loro campi d’addestramento. Si tratta di un colpo inferto soprattutto all’influenza regionale iraniana. Non dimentichiamo infatti che Teheran spalleggia e finanzia vari gruppi paramilitari presenti in territorio siriano. D’altronde, più in generale, l’offensiva che ha portato al crollo di Assad, oltre a essere principalmente guidata da Tahrir al-Sham, aveva ricevuto de facto la benedizione di Turchia e Qatar: due Paesi che, nonostante negli scorsi anni avessero rafforzato i loro legami con il regime khomeinista, hanno approfittato della sua recente debolezza per favorire l’abbattimento di Assad: quell’Assad che era il principale alleato mediorientale degli ayatollah.Tutto questo ci fa capire che la situazione resta ambigua. Da una parte, Usa e Israele sono soddisfatti del crollo del brutale regime baathista. Dall’altra, temono che a Damasco si sia appena insediato un governo legato al sunnismo radicale, anche perché Ankara e Doha sono storici sostenitori della Fratellanza musulmana. Che Israele si fidi poco è d’altronde testimoniato anche dal fatto che, negli ultimi giorni, ha bombardato i siti militari di Assad, per impedire che le sue armi più pericolose finissero nelle mani di Tahrir al-Sham. Uno scetticismo bipartisan è stato espresso anche da vari senatori statunitensi, che hanno detto di voler attendere prima di compiere qualsiasi passo volto a revocare le sanzioni alla Siria. In tutto questo, il Jerusalem Post sottolineava che presto potrebbero sorgere delle tensioni tra il nuovo governo siriano e i curdi, i quali temono che il regime di Jolani possa non rispettare i diritti delle minoranze. Del resto, i curdi sono già ai ferri corti con la Turchia: proprio ieri, il Daily Sabah riportava che l’Esercito nazionale siriano, notoriamente spalleggiato da Ankara, ha sottratto al Pkk una diga strategica nei pressi di Aleppo.Ma attenzione: emerge infatti un’ulteriore incognita, che riguarda il rapporto tra Jolani e quelli che de facto sono i suoi patroni. Siamo davvero sicuri che Turchia e Qatar riusciranno a controllarlo? Sì, perché il rischio è che, dopo tutto lo sforzo compiuto, possano ritrovarsi a che fare con una serpe in seno o, peggio, con una scheggia impazzita. Ankara vuole incrementare la propria influenza sulla Siria, mentre Doha punta ad approfittare della situazione per tornare centrale nei negoziati tra Israele e Hamas. Né il presidente turco, Tayyip Erdogan, né l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, hanno quindi interesse a un nuovo regime siriano che, per così dire, «esca dal seminato».Uno scenario, quest’ultimo, che costituirebbe un rischio anche per la Russia. Secondo Bloomberg News, Mosca è in trattativa con Damasco per mantenere il controllo delle proprie basi a Tartus e Latakia. In particolare, stando all’agenzia di stampa Tass, «la parte russa ha ottenuto garanzie di sicurezza temporanee, quindi le basi militari funzionano normalmente». Tuttavia, ieri pomeriggio, il Financial Times riportava che, secondo immagini satellitari, Mosca starebbe ritirando almeno una parte delle sue forze dalla Siria. Non è escluso che si tratti di un addio totale, anche se, ragionavano esperti interpellati dal quotidiano britannico, è ancora presto per dirlo. L’unica cosa certa è che questi movimenti evidenziano preoccupazione da parte del Cremlino. La domanda è: per quale ragione? Mosca teme nuovi scherzetti da Erdogan? Oppure ritiene che il sultano non sia in grado di garantire patti eventualmente stipulati tra la Russia e il nuovo governo siriano? Torna quindi a far capolino lo scenario, assai inquietante, della scheggia impazzita. E di certo non c’è da star tranquilli.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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