2024-12-11
La discesa in campo di Mister Fisco è iniziata con il libro prefato da Re Sergio
Ernesto Maria Ruffini (Getty Images)
Un po’ Renzi, un po’ Prodi, un po’ Vaticano e un po’ Colle. Così il capo dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini cerca sponde ovunque.Ha certamente più sponsor che elettori. Ma la sua discesa in campo è la più annunciata dell’ultimo periodo. Il centro-sinistra da tempo sta cercando un federatore che unisca i portatori dei valori del cristianesimo sociale con la sinistra-sinistra rappresentata da Elly Schlein. Un nuovo Romano Prodi capace di battere un avversario più ostico persino di Silvio Berlusconi, l’underdog Giorgia Meloni.Il direttore dell’Agenzia delle entrate (Ade) e della riscossione Ernesto Maria Ruffini, palermitano, 55 anni, è tutto meno che un perdente. Lui è un predestinato: è figlio dell’ex ministro dc Attilio Ruffini, nipote del cardinale e arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini. Il nonno era, invece, Giuseppe La Loggia, ex governatore della Regione Sicilia. Suo fratello maggiore è il giornalista Paolo, ex vicedirettore del Messaggero e dal luglio 2018 prefetto del dicastero per la Comunicazione della Santa sede. Insomma Ruffini ha ottimi agganci al di qua e al di là del Tevere, e può contare su fan del calibro del concittadino Sergio Mattarella (sono entrambi morotei, mentre Attilio Ruffini era doroteo) e di Prodi, arrivati a vergargli le introduzioni a libri poco letti, ma molto presentati come Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi e L’evasione spiegata a un evasore. Ruffini procede in un fascio di luce come un predestinato, ma non si comprende come possa diventare popolare un uomo che ha guidato per anni gli esattori d’Italia e ha dichiarato urbi et orbi che «il Fisco non può essere amico». Ebbene sì il nuovo Ulivo sembra puntare su colui che a lungo è stato l’incubo di milioni di italiani con le sue cartelle esattoriali. L’uomo che, sembra di sentirlo Matteo Salvini, ha messo per anni le mani nelle tasche degli italiani. Ma poi quanto è empatico questo Ruffini? All’Ade si ricordano ancora il meme diffuso da alcuni dipendenti quando, per la prima volta, un governo (quello gialloblù) ebbe il coraggio di farlo schiodare dalla poltrona: divenne virale negli uffici che aveva guidato un bel «Ciaone» (copyright del renziano Ernesto Carbone) stampato sopra la sua foto. I suoi aedi gli appuntano sul petto due medaglie, che lui rivendica come grandi successi, la fatturazione elettronica e il 730 precompilato. Innovazioni per cui si sarebbe meritato l’investitura di Renzi e la poltrona dell’Ade: «Voglio vedere se realizzi le due cose che hai detto», gli avrebbe detto l’ex sindaco di Firenze prima di incoronarlo. E il Messaggero, house organ del nostro, ci informa che lui, il prode Ruffini, «le realizzò».taglio del nastroIn verità, pare che queste innovazioni siano frutto di un lungo lavoro di sperimentazione iniziato prima del suo arrivo alla guida dell’Ade, in particolare con la direzione di Rossella Orlandi. Lui ha avuto solo la fortuna, e non è poco, di trovarsi al posto giusto al momento giusto, quello del taglio del nastro. Meno strombazzata un’altra novità che più che un vero cambiamento è stato un furbo restyling. Nell’ottobre del 2016 il fu Rottamatore, in tv, rifilò a Lucia Annunziata questo motto: «Cucù Equitalia non c’è più». Dal giugno 2015 al luglio 2017 ad di quest’ultima e poi anche presidente era stato proprio Ruffini, prima di diventare commissario della nascente Ade-Riscossione che ha assorbito Equitalia. In realtà da allora è cambiato poco. L’agenzia degli esattori che, nel 2016 era diventata un ente pubblico economico sottoposto all’indirizzo operativo e al controllo dell’Ade, ha mantenuto la sua mission. Solo che sito e logo sono diventati praticamente identici a quelli della controllante Ade. Stessi colori, stessa grafica. L’unica differenza è che molti italiani, non distinguendo l’effigie dell’Ade da quella dell’Ade riscossione, finiscono per gettarsi tra le sue braccia senza la necessaria prudenza. Un giochetto delle tre carte che agli elettori non potrà non essere ricordato.Nonostante lo strapuntino da capo dei vampiri del Fisco, da tempo, il cattolico Ruffini prepara la discesa in politica. Il suo manifesto programmatico è il libro scritto nel 2022 con prefazione del presidente in carica, il quale si sciolse in questo encomio: «È un libro che ci invita a fidarci del futuro». Soprattutto del suo, di Ruffini. Il quale, anche in questo caso, ebbe fortuna. Infatti, Mattarella ha come sua regola di non accettare lauree honoris causa e di non fare, durante il settennato, prefazioni a libri, con un’unica eccezione: quella riservata all’ex presidente del Senato Piero Grasso, già suo «vice». Ma la richiesta di Ruffini arrivò mentre il capo dello Stato stava per lasciare il Quirinale e quando ci fu il cambio di rotta e la conferma sul Colle (29 gennaio 2022) il libro era ormai concluso o addirittura «già stampato» (la prima edizione porta la data del febbraio 2022). «Quella prefazione è stata un caso, come una laurea accettata a Parma e programmata per la primavera del 2022. Avrebbe dovuto uscire con Mattarella senatore a vita» confermano dal Colle. Sempre dal Quirinale precisano che il palermitano e «democristiano» Ruffini fa parte «dell’ambiente del presidente, è conosciuto e stimato dal Quirinale, ma il capo dello Stato non promuove e non appoggia operazioni di carattere politico e partitico».calendaUn esperto di cose quirinalizie e di storia della Dc aggiunge: «Queste cose le hanno fatte presidenti “hegeliani” come Francesco Cossiga e Giorgio Napolitano. Si tratta di iniziative velleitarie, non c’è spazio per i cattolici intesi come partito, è un’operazione nostalgia, c’è molto reducismo. Diverso è dire, come fanno Renzi e Carlo Calenda che al centro, con lo spostamento della Schlein a sinistra, ci sono delle praterie». Dalla pubblicazione del libro con la prefazione di Mattarella, Ruffini ha iniziato un’instancabile attività di presentazione del tomo in ogni villaggio d’Italia. Tanto che chi cercava il direttore al venerdì non di rado si sentiva rispondere: «È in tournée». Un viaggio in giro per il Paese che ha preparato la discesa in campo, annunciata dai giornali amici a colpi di retroscena.Il 20 novembre ha iniziato il Messaggero: «E per la “gamba” centrista spunta la carta Ruffini». L’articolo era un’agiografia che ricordava i trascorsi dell’avvocato tributarista nello studio del ministro prodiano Augusto Fantozzi. Da lì sarebbe diventato un habitué della Leopolda renziana, sino al grande salto all’Ade, dove avrebbe ottenuto incassi record (31 miliardi di entrate nel 2023, di cui 24,7 erariali).Per confermare la sua bravura i «ruffiniani» ti ricordano che l’avvocato è stato confermato al suo posto anche con i governi Gentiloni, Conte II e Draghi e che è così bravo che neppure la Meloni e il viceministro Maurizio Leo hanno voluto privarsene.Solo il governo gialloblù osò accantonare una simile riserva della democrazia, sostituendolo con un generale della Guardia di finanza, Antonino Maggiore. Lui sembrò prenderla bene e al solito Messaggero spiegò: «Quanto a me è la legge sullo spoils system che consente all’esecutivo di fare le proprie scelte in piena autonomia. Sono pronto a un cordiale passaggio di consegne con il mio successore». i gesuitiNelle settimane successive ha deciso di far valere lo stesso il suo contratto triennale (risolto con circa due anni di anticipo) avviando un contenzioso con il ministero dell’Economia e delle finanze per avere almeno il ristoro delle mensilità non percepite (di un contratto da 240.000 euro annui). Il Mef rispose che la norma sullo spoils system era legittima e il Tribunale di Roma gli diede ragione respingendo il ricorso e condannando Ruffini a risarcire 3.500 euro di spese legali.Non sappiamo se il direttore abbia fatto appello, di certo già a dicembre, cinque mesi dopo, le agenzie annunciavano il ritorno in pompa magna di Ruffini al fianco del ministro del nuovo governo giallo-rosso Roberto Gualtieri.Ma torniamo ai giorni nostri. Dopo il presunto scoop del Messaggero sulla «gamba centrista», Ruffini diramò un comunicato in cui provava a smentire il retroscena, pur confermando il suo posizionamento nel campo avverso rispetto a quello che governa il Paese: «Non so l’origine di questi articoli. Quel che so è che sono solo un servitore dello Stato totalmente impegnato con lealtà e dedizione nel servizio che sto svolgendo. I miei interessi culturali, civili e storici non sono mai stati un segreto per nessuno. Da essi, mi sembra di capire che qualcuno abbia tratto letture improprie».Dopo tre settimane è tornata alla carica La Stampa ricordando «il primo passo del suo probabile ingresso in politica», ovvero la partecipazione a «un convegno sull’impegno dei cristiani nella società italiana». L’appuntamento del 9 dicembre si intitolava Dopo Trieste. In cammino per andare dove? ed era realizzato nel solco della cinquantesima edizione (intitolata Al cuore della democrazia) delle settimane sociali, un appuntamento fisso patrocinato dalla Chiesa italiana per discutere di temi di attualità.Per il Messaggero l’evento dell’università Lumsa sarebbe stato «organizzato proprio per lui», Ruffini. Il quotidiano ricorda anche che il convegno è stato allestito da due ex margheritini doc come Giuseppe Fioroni, ex ministro del governo Prodi, e Guido D’Ubaldo e rimarca la significativa presenza di «padre Francesco Occhetta, sublime gesuita, uno dei pensatori più profondi del mondo cattolico attuale». La Stampa rilancia, definendo il religioso «una delle più forti voci “bergogliane” in Italia». Superfluo dire che Ruffini ha studiato come Draghi al liceo Massimo, scuola della Compagnia di Gesù.I media snocciolano i nomi di una possibile rete di cattolici pronti a impegnarsi con Ruffini o, quanto meno, in sintonia con lui, tutte personalità presenti all’evento: la neo governatrice dell’Umbria Stefania Proietti, Bruno Tabacci, due vecchi pesi massimi della Dc come Angelo Sanza e Giuseppe Sangiorgi. Ma Ruffini godrebbe de la stima, oltre che di Mattarella e Renzi, anche di Dario Franceschini.Stampa e Messaggero ci regalano alcune delle frasi pronunciate da Ruffini (che in privato confermerebbe la sua «salita» in campo) due giorni fa: «La politica non va intesa come un talent show. O come un gioco di società. Ed è anche sbagliata l’idea che possa esserci un salvatore della patria o di una parte politica. Io non sono un salvatore» avrebbe detto. Salvo poi concedere: «Il Paese appartiene a tutti e siamo tutti chiamati a occuparcene. Non bisogna restare seduti a fare da spettatori. Questo è un lusso che non ci si può permettere se si vuole bene al Paese».Nell’occasione Ruffini ha criticato la perenne divisione in guelfi e ghibellini, spiegando che «nessuno ha la ricetta perfetta, si fa tutti insieme». Un ecumenismo con cui punta a conquistare il centro alla fine della sua lunga marcia.
Jose Mourinho (Getty Images)