
A distanza di cinquant’anni, la storia è ormai nota. Sergio Ramelli è uno studente dell’istituto Molinari di Milano. È un ragazzo come tanti. Gioca a pallone e tifa Inter. Ha i capelli lunghi, come molti suoi coetanei di sinistra. Anche se lui, però, milita nel Fronte della gioventù del Movimento sociale italiano. È coraggioso, Sergio. Riceve diverse minacce, è costretto a cambiare scuola. Ma non si ferma. Scrive un tema sulle Brigate rosse che gli costerà un’aggressione (il 13 marzo 1975) che lo porterà alla morte dopo 47 giorni di agonia (il 29 aprile di quello stesso anno). A distanza di cinquant’anni la sua figura dovrebbe ormai essere ricordata da qualsiasi partito politico. Un morto di destra dovrebbe valere come uno di sinistra. A distanza di cinquant’anni, il sindaco di Nardò, Pippi Mellone (Lega), ha deciso di dedicare una scuola a Ramelli.
Una scelta quasi logica, certamente dovuta e coraggiosa, per ricordare lo studente ucciso dall’odio rosso. La motivazione fornita dalla giunta è limpida: «L’intitolazione della scuola a Sergio Ramelli intende offrire alle giovani generazioni un’occasione di riflessione sui principi costituzionali di libertà di pensiero, pluralismo democratico e convivenza civile, riaffermando che il confronto delle idee deve svolgersi sempre nel rispetto reciproco e nel ripudio di ogni forma di violenza». Nessuno scontro, quindi. Nessuna voglia di prevalere. L’unico intento era quello di ricordare un morto e denunciare il clima di violenza di quegli anni. Cose che a quanto pare non piacciono alla Cgil di Maurizio Landini, che, tra uno sciopero e l’altro (ora fermi, causa festività), ha parlato di sdegno per questa decisione. «Nardò vive l’onta di una toponomastica che presta il fianco al revisionismo storico. Una città che è medaglia d’oro al merito civile per aver accolto i reduci dei campi di sterminio nazifascisti non merita questa ulteriore umiliazione», ha scritto il sindacato. Che poi ha proseguito così il suo comunicato: «Resta un mistero come possa rispondere ai valori costituzionali, come si legge nel provvedimento della giunta, l’idea di intitolare una scuola a un giovane neofascista, giacché la nostra Costituzione è intrinsecamente antifascista». Per la Cgil, poi, «non si ravvisa alcun senso civico ed educativo nell’intitolare un luogo della cultura e dell’educazione a un personaggio divisivo, come il povero Sergio Ramelli».
In realtà sarebbe vero proprio il contrario. La scuola dovrebbe essere il luogo dove tutte le idee trovano cittadinanza, indipendentemente dal loro colore. Sergio, poi, era nato nel 1956 e il fascismo non sapeva nemmeno cosa fosse. Era un ragazzo di destra, certo. Di una destra che veniva dal fascismo, sicuramente, ma che stava facendo i conti con esso. Che cercava nuovi simboli e nuove idee. E che spesso costò le botte (e talvolta anche la morte) ai «cuori neri». Era un ragazzo come tanti, certamente non divisivo. La sua fedina penale era intonsa, a differenza di quella di tanti che poi a sinistra fecero carriera. E che oggi continuano a odiare gli avversari. Perfino se sono morti. Nella notte di Natale, per esempio, è stata vandalizzata per l’ennesima volta la targa che ricorda Norma Cossetto, la giovane partigiana massacrata dai partigiani slavi nel 1943. La sua targa è stata coperta di terra e fango. E non è la prima volta che accade. Anzi...
Certo, Ramelli sarà forse stato «povero», come lo definiscono quelli della Cgil. E forse pure la Cossetto. Ma coloro che si ostinano a prendersela con dei morti sono solamente dei poveretti.






