
In crisi la produzione della 500 elettrica a Torino: nessuna rassicurazione sui prossimi mesi. Meno 34% per le immatricolazioni a settembre. Negli Usa si teme la class action.Continua l’agonia di Mirafiori. La fabbrica simbolo dell’automotive italiano sembra destinata a un inesorabile tramonto, diventata l’emblema della crisi profonda di Stellantis. Ieri il gruppo di Carlos Tavares ha comunicato il prolungamento della cassa integrazione per altre due settimane fino al primo novembre ma i sindacati temono la sospensione dell’attività fino a fine anno. L’impianto, fermo da metà settembre, avrebbe dovuto riaprire a metà ottobre ma la mancanza di ordini per la Fiat 500 elettrica, l’unico modello a batteria prodotto a Torino, ha costretto a cambiare programmi. È l’ennesima doccia gelata a 24 ore di distanza dal taglio delle stime del margine operativo e del free cash flow per il 2024 che hanno fatto scattare il crollo in Borsa. A fine giornata, ieri, la mazzata dei dati sulle immatricolazioni a settembre, -33,9% a 29.375, per il gruppo di Stellantis in Italia. Ad agosto il calo era stato del 32,4%. La quota di mercato, il mese scorso, è scesa al 24,1% rispetto al 32,6% di un anno fa. Nei primi nove mesi del 2024 le immatricolazioni sono calate del 5,8% a quota 365.286 contro le 387.665 dello stesso periodo del 2023 e la quota si è ridotta al 30,3% (dal 32,9% di un anno fa). In una nota, il gruppo ribadisce che «sta lavorando con determinazione per garantire la continuità di tutti i suoi impianti e delle sue attività» e ricorda «l’investimento di 100 milioni di euro per potenziare la produzione della 500 elettrica con una nuova batteria ad alto potenziale per renderla più accessibile». Poi sottolinea che «all’inizio del 2026 sarà anche avviata la produzione della Nuova 500 Ibrida, realizzata sulla base dell’attuale 500 elettrica». Stellantis deve far fronte alla crisi anche negli Stati Uniti che si stanno trasformando in un inferno per l’azienda. All’origine del profit warning lanciato lunedì scorso c’è proprio l’eccesso di scorte negli Usa. Nel primo semestre del 2024, le vendite sono diminuite del 16% colpendo in modo pesante tutti i marchi. Le Jeep hanno subito un crollo del 9%, mentre Ram addirittura del 26%. Anche Chrysler e Dodge hanno riportato flessioni rispettivamente dell’8% e del 16%.La Jeep, in particolare ibrida plug-in è stata travolta dal problema del rischio incendi, ovvero le vetture possono prendere fuoco con l’accezione spenta. La casa automobilistica sta richiamando oltre 194.000 Suv in tutto il mondo ma la maggior parte si trova nel Nord America, e ha esortato i proprietari a non ricaricare le auto (quando la batteria è esaurita diminuisce il pericolo di incendi) e a parcheggiarle all’aperto lontano da qualsiasi struttura. Stellantis stima che il 5% dei Suv abbia il problema e ha cercato di tranquillizzare i clienti dicendo che a breve il problema sarà risolto. Il tema delle scorte coinvolge anche i marchi dell’Alfa Romeo tant’è che i concessionari sono stati costretti ad offrire sconti fino a 15.000 dollari sull’Alfa Romeo Giulia pur di svuotare i magazzini. Questa situazione sta mettendo in difficoltà diverse concessionarie; una delle più grandi della California ha chiuso i battenti a causa della bassa domanda di veicoli del Biscione.Per far fronte a questa situazione, Stellantis ha avviato un piano di riduzione delle scorte negli Stati Uniti che prevede di asciugare l’inventario a 330.000 veicoli entro la fine del 2024, anticipando la scadenza inizialmente prevista per il primo trimestre del 2025.Intanto si mantiene alta la tensione con i sindacati. L’United auto workers (Uaw), la maggiore sigla dei metalmeccanici, ha presentato denunce federali contro Stellantis in merito al possibile spostamento del Suv Dodge Durango da una fabbrica di Detroit a una in Canada.Inoltre ha minacciato lo sciopero accusando Stellantis di aver infranto le promesse contrattuali. La situazione complessiva di difficoltà a cominciare dal taglio delle stime del profitto potrebbe scatenare di nuovo gli azionisti Usa con una class action, portando l’azienda in tribunale. Sarà interessante sentire cosa avrà da dire Tavares in audizione a Montecitorio l’11 ottobre.
Il signor Yehia Elgaml, padre di Ramy (Ansa)
A un anno dal tragico incidente, il genitore chiede che non venga dato l’Ambrogino d’oro al Nucleo operativo radiomobile impegnato nell’inseguimento del ragazzo. Silvia Sardone: «Basta con i processi mediatici nei loro confronti, hanno agito bene».
È passato ormai un anno da quando Ramy Elgaml ha trovato la morte mentre scappava, su uno scooter guidato dal suo amico Fares Bouzidi (poi condannato a due anni e otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale), inseguito dai carabinieri. La storia è nota: la notte del 24 novembre scorso, in zona corso Como, i due ragazzi non si fermano all’«alt» delle forze dell’ordine che avevano preparato un posto di blocco per verificare l’uso di alcolici nella zona della movida milanese. Ne nasce così un inseguimento di otto chilometri che terminerà solamente in via Ripamonti con lo schianto dello scooter, la morte del ragazzo e i carabinieri che finiscono nei guai, prima con l’accusa di omicidio stradale in concorso e poi con quelle di falso e depistaggio. Un anno di polemiche e di lotte giudiziarie, con la richiesta di sempre nuove perizie che sembrano pensate più per «incastrare» le forze dell’ordine che per scoprire la verità di quel 24 novembre.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.





