2022-07-28
Allarme miocarditi post siero. Il rischio aumenta di più per i giovani tra 18 e 24 anni
Studio francese su «Nature» evidenzia la crescita di infiammazioni cardiache dopo la seconda dose. Finalmente pubblicato il nuovo report Aifa sugli effetti avversi.Sempre più atteso e a intervalli sempre più dilatati (all’inizio era mensile, poi trimestrale, ieri è uscito dopo tre mesi abbondanti) è stato finalmente pubblicato da Aifa il dodicesimo Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid-19, documento istituzionale che fornisce informazioni ufficiali su una farmacovigilanza che nel nostro Paese è passiva, ossia non attivata di default dalle istituzioni, bensì dal cittadino. Gli italiani in questi diciannove mesi passati dalla prima iniezione, il 27 dicembre del 2020, hanno incontrato parecchie difficoltà - nel più auspicabile dei casi, burocratiche - a segnalare eventi avversi, dei quali Aifa ci dà oggi l’ultima fotografia. Il tasso di segnalazione rimane stabile a 100 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate (ossia 1 segnalazione ogni 1.000 dosi) e anche la distribuzione è più o meno uguale a quella del precedente rapporto: 34,4% da medici e 15,4% da farmacisti. In aumento quelle dei cittadini: se nel nono report solo il 31,5% riusciva a portare a termine la segnalazione, oggi questa percentuale è salita al 37,8%. Aumentano anche le sospette reazioni avverse gravi, che sono passate dal 17,8% dell’undicesimo rapporto, relativo ai primi tre mesi del 2022, al 18,1%. Parlando di persone, e non di numeri, occorre ricordare che il 18,1% corrisponde a ben 24.992 cittadini. Chi stabilisce qual è il nesso di causalità? Un algoritmo, quello dell’Oms, che lo ha riconosciuto nella quasi totalità delle segnalazioni di eventi avversi gravi, 22.992 su 24.992, delle quali sono risultati correlabili alla vaccinazione 7.506 casi. Ciò significa che, al di là dei 29 decessi ufficialmente riconosciuti come correlati e delle complessive 916 segnalazioni di morte (di cui 772 con nesso di causalità), altre 7.506 persone hanno subito danni gravi correlabili alla vaccinazione.Ci sarebbe molto da dire sul fatto che questi decessi accertati vengono ricacciati nel novero di una statistica infinitesimale - «circa 0,2 casi ogni milione di dosi somministrate» recita asetticamente il Rapporto Aifa - ma il fine di queste elaborazioni percentuali qual è? È, o dovrebbe essere, quello di stabilire se per la collettività il gioco vale la candela e se i benefici superano i rischi. È un triste fatto che i criteri con i quali, fino a prima della pandemia, venivano somministrati i farmaci, soprattutto a giovani e adulti sani, stanno cambiando. Ogni medico di famiglia, prima di prescriverli, si poneva tre domande: 1) Serve? 2) Funziona? 3) Fa male? Che i vaccini servano a questa fascia di popolazione praticamente non colpita dal virus, guardando le statistiche di mortalità del 2020, 2021 e metà 2022, sembra proprio di no. Ricordiamole: nel 2020 (senza vaccini, con paracetamolo e con ceppo originario/Delta) la mortalità da/per Covid ha fluttuato dallo 0,0002% della fascia 0-9 anni (4 bambini deceduti, con altre patologie) allo 0,0129% della fascia 50-59 anni, passando per lo 0,0001% della fascia 10-19 anni. Nel 2021 (con vaccino), stessa percentuale per la fascia 0-9 anni, leggermente più alta per la fascia 50-59 anni (0,0386%), passando per lo 0,0002% nella fascia 10-19 anni. Nella prima metà del 2022, mortalità uguale (0,0002%) per la fascia di età che va da 0 a 9 anni e leggermente più bassa per i 50-59 (0,0255%) passando per lo 0,0002% di mortalità registrato nella fascia da 10 a 19 anni. Dei bambini, giovani e adulti sani deceduti, la maggior parte aveva da una a tre patologie concomitanti. Come analizzare, allora, l’ennesimo studio su miocarditi e pericarditi post vaccinazione, pubblicato su Nature, che testimonia un’incidenza statisticamente non significativa, ma sempre di troppo per un giovane sano? Mentre per questa fascia il rischio di morire per Covid è praticamente inesistente - perché la malattia ha colpito bambini e ragazzi già affetti da altre malattie - un solo caso di miocardite o pericardite, che può colpire anche giovani sani, è già di troppo. Per Aifa, il tasso di segnalazione di miocardite corrisponde a circa due casi ogni 1.000.000 di dosi somministrate (non parliamo di persone, ma di dosi), soprattutto giovani maschi tra i 12 e i 29 anni. Pericardite: Aifa riporta quattro casi ogni 1.000.000 di dosi somministrate, soprattutto in adulti tra i 30 e i 50 anni. In entrambi i casi, solo il 50% riporta come esito la risoluzione o il miglioramento della sintomatologia. Il restante 50%, che verosimilmente era sano, deve fare i conti con una qualità della vita irrimediabilmente peggiorata. Riguardando i dati della mortalità per Covid in queste fasce di età, non sono stati pochi gli italiani che hanno deciso di non cedere alla pressione esercitata in Italia con il green pass, e non hanno vaccinato i loro figli minori. Dopo lo studio dell’Aifa francese, pubblicato la settimana scorsa, in cui veniva confermato un rischio di patologie cardiache più alto dopo la seconda dose, anche lo studio uscito su Nature riporta le stesse evidenze: la prima è che queste patologie insorgono con i vaccini a mRna (Pfizer e Moderna). Lo studio ha analizzato tutti i 1.612 casi di miocardite e 1.613 casi di pericardite verificatisi in Francia da maggio a ottobre 2021 e ha riscontrato un aumento dei rischi di miocardite e pericardite durante la prima settimana post-vaccinazione, in particolare dopo la seconda dose, soprattutto in giovani tra 18 e 24 anni vaccinati con Moderna. Il numero di miocarditi in eccesso per 100.000 dosi somministrate a maschi adolescenti dai 12 ai 17 anni è stato di 1,9 per la seconda dose Pfizer, mentre per i giovani adulti dai 18 ai 24 anni ha raggiunto 4,7 con la seconda dose Pfizer e addirittura 17 con la seconda dose Moderna, dati leggermente diversi da quelli riportati da Aifa. «Per la miocardite, le stime per la seconda dose Moderna sono costantemente più alte». Nota: il maggior rischio con Moderna era già stato segnalato da Ema ai primi di dicembre del 2021, ma in Italia nello stesso mese, a causa di difficoltà di approvvigionamento Pfizer, le somministrazioni di Moderna ai giovani dai 12 ai 19 anni sono allegramente aumentate - anziché diminuire - passando, rispetto a Pfizer, da un quinto alla metà. Evidenze robuste sulle miocarditi erano note già da aprile, dopo lo studio di coorte realizzato in quattro Paesi nordici su un campione di ben 23 milioni di ragazzi dai 12 ai 24 anni. Lo studio aveva inoltre evidenziato che il rischio di miocardite era più alto nei giovani vaccinati rispetto a quelli non vaccinati. Chissà se a settembre si continuerà a bypassare le evidenze in nome di ingiustificabili inadeguatezze sanitarie.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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