2020-05-30
Minneapolis è un problema per i democratici
True
La morte di George Floyd sta infiammando la politica statunitense. La scomparsa dell'afroamericano, rimasto ucciso durante un controllo di polizia, ha determinato una situazione di guerriglia urbana nella città di Minneapolis. E i democratici sono andati all'attacco di Donald Trump, dopo che Twitter ha bollato un suo post come inneggiante alla violenza. Riferendosi ai disordini attualmente in corso a Minneapolis, il presidente aveva infatti affermato: «Quando inizia il saccheggio, inizia la sparatoria».In tal senso, il (probabile) candidato democratico alla Casa Bianca, Joe Biden, ha dichiarato: «Questo non è il momento per i tweet incendiari. Non è il momento di incoraggiare la violenza. Questa è una crisi nazionale - e ora abbiamo bisogno di una vera leadership». A scendere in campo contro il presidente è stata anche Hillary Clinton. «Il presidente degli Stati Uniti invoca violenza contro i cittadini americani», ha affermato l'ex first lady. Dura anche la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, che ha twittato: «George Floyd dovrebbe essere ancora vivo. La sua famiglia, i suoi amici e il popolo di Minneapolis meritano giustizia. E il presidente degli Stati Uniti non dovrebbe alimentare le fiamme del razzismo e incitare alla violenza contro i neri americani».Insomma, il Partito democratico è andato all'attacco di Trump, tacciandolo di fomentare odio e razzismo. Niente di particolarmente nuovo sotto il sole, visto che l'asinello ha già spesso in passato mosso simili accuse all'attuale inquilino della Casa Bianca. Eppure va sottolineato che, in questo caso, l'atteggiamento dei democratici sia forse volto a coprire un certo imbarazzo. Perché la morte di George Floyd potrebbe rivelarsi un problema principalmente proprio per loro.Non bisogna dimenticare che la polizia di Minneapolis abbia alle spalle una storia particolarmente controversa: si pensi soltanto che, secondo il Minneapolis Star Tribune, sia stata costretta a pagare - tra il 2006 e il 2012 - circa 14 milioni di dollari per accuse di cattiva condotta. Errori ed episodi controversi costellano il suo operato negli ultimi trent'anni, mentre - tra il 2012 e il 2014 - è risultata responsabile di un tasso di detenzione per gli afroamericani dieci volte superiore a quello dei bianchi. Lo stesso Derek Chauvin, l'agente che si mise in ginocchio sul collo di Floyd, ha ricevuto - nel corso della sua carriera - ben 18 denunce. Il punto è che, davanti a questa situazione, non sono né Trump né i repubblicani ad avere delle colpe. Ricordiamo infatti che, negli Stati Uniti, i capi della polizia cittadina vengano nominati dai sindaci. Ebbene, è dal 1978 che Minneapolis ha ininterrottamente sindaci appartenenti al Partito democratico. E, tra l'altro, non bisogna neppure trascurare che - negli ultimi nove anni - il Minnesota sia stato guidato da governatori democratici. Le responsabilità politico-amministrative di questa situazione ricadono quindi principalmente su un determinato partito politico: che non è quello repubblicano.Il dato è interessante soprattutto se letto alla luce dell'attuale campagna elettorale in vista delle prossime presidenziali. Al di là di un'astratta retorica politica sui diritti civili e delle facili accuse di razzismo contro Trump, il caso di George Floyd mette in luce l'oggettiva incapacità di una parte consistente del Partito democratico nel mettere concretamente in pratica i princìpi di cui spesso si riempie la bocca. Un fattore che potrebbe avere delle ripercussioni significative nel voto del prossimo novembre: molti afroamericani si stanno infatti sempre più rendendo conto della discrasia che caratterizza l'asinello tra il dire e il fare. Non sarà del resto un caso che, alle presidenziali del 2016, Hillary Clinton avesse perso cinque punti tra gli afroamericani rispetto a Barack Obama quattro anni prima. Così come non sarà un caso che, sempre nel 2016, Trump avesse (ancorché di poco) incrementato il voto in quell'area elettorale, rispetto a Mitt Romney nel 2012.Lo stesso Biden, che pure ha dalla sua gran parte del voto afroamericano, sta riscontrando sempre più problemi su questo fronte. Si pensi soltanto alla sua affermazione, la scorsa settimana, secondo cui gli afroamericani che votano per Trump non sarebbero neri: un'affermazione che gli ha attirato non poche critiche. Senza poi contare che, nelle ultime ore, il candidato democratico sia stato messo sotto pressione per scegliere una vice afroamericana. In particolare, ha perso quota il nome della senatrice (bianca) del Minnesota, Amy Klobuchar, finita sotto i riflettori per il suo ruolo come procuratore della contea di Hennepin dal 1999 al 2007: l'attuale senatrice è stata infatti accusata da più parti di non aver portato avanti all'epoca incriminazioni in casi di uccisione in cui fosse coinvolta la polizia.Del resto, il campanello d'allarme per Biden è evidente. Nonostante (come ricordato) possa attualmente contare sulla maggioranza del voto afroamericano, l'ex vicepresidente sta iniziando a registrare delle crepe su questo fronte. Giovedì scorso, il Washington Post ha pubblicato dei dati del Democracy Fund + UCLA Nationscape project, secondo cui Biden non sembra stia riuscendo a convincere, tra gli afroamericani, soprattutto i giovani. Una fascia, quest'ultima, in cui Trump sta invece - per quanto lievemente - guadagnando terreno. È scontato che l'attuale presidente non riuscirà a conquistare la maggioranza del voto afroamericano il prossimo novembre. Ciononostante a lui basta semplicemente incrementarlo e puntare anche sul fatto che molti elettori neri si astengano o dirottino le proprie preferenze su un partito minore. Basterà scegliere un'afroamericana come vice per permettere a Biden di scongiurare questo pericolo? Difficile dirlo. Ma l'eventualità che una mossa di questo genere venga percepita come mero maquillage politico è alta. E molti afroamericani sono stufi di essere elettoralmente strumentalizzati dai democratici.
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