2025-11-04
        «La separazione delle carriere dà completa attuazione alla Carta»
    
 
        Valerio de Gioia (Imagoeconomica)
    
Il magistrato Valerio de Gioia: «Non capisco la netta chiusura di certi colleghi: il testo non mortifica le toghe. Sono favorevole al sorteggio del Csm: limiterà lo strapotere delle correnti. Pm sotto il governo? Nella riforma non c’è scritto».Valerio de Gioia, classe 1973, è consigliere della prima sezione penale della Corte di Appello di Roma, attualmente fuori ruolo come consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché contro ogni forma di violenza di genere. Entrato in magistratura a 25 anni, ha svolto tutta la sua carriera come giudicante senza passaggi a quella requirente. Insomma, un giudice a 24 carati. Autore di oltre 200 libri giuridici, è una voce credibile nel giudicare la riforma proposta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il suo faro è l’articolo 111 della Costituzione, una norma assorbita dalla legge costituzionale 2 del 1999 che stabilisce che la prova deve formarsi in dibattimento, nel contraddittorio delle parti, «davanti a un giudice terzo e imparziale». Per lui la tanto vituperata (dalla maggioranza dei suoi colleghi) separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri «non fa altro che dare completa attuazione ad un principio costituzionale che vede il processo penale fondato su un sistema accusatorio e di amministrazione della giustizia ispirato alle regole del giusto processo. Niente di più». Con La Verità de Gioia, all’inizio dell’intervista, puntualizza: «Non sono un tifoso della separazione delle carriere, ma le mie argomentazioni sono una risposta a chi non vuole neanche lontanamente ipotizzarla. La netta chiusura da parte di alcuni deve fare riflettere. In questa riforma non vedo elementi di mortificazione della funzione del magistrato, vedo, anzi, un vantaggio per il recupero di una piena credibilità della categoria».A chi parla di riforma «punitiva» nei confronti dei magistrati, lei ricorda una delibera del Parlamento europeo relativa al rispetto dei diritti umani nell’Unione europea, che ha affermato la necessità di «garantire l’imparzialità dei giudici distinguendo tra la carriera dei magistrati che svolgono attività di indagine (examining magistrates) e quella del giudice al fine di assicurare un processo giusto (fair trial)».«È così. Consideri anche che il Consiglio d’Europa, nel 2000, in una sua raccomandazione, ha espressamente invitato gli Stati membri ad agire “affinché lo status giuridico, la competenza e ruolo procedurale dei pubblici ministeri siano stabiliti dalla legge in modo tale che non vi possano essere dubbi fondati sull’indipendenza e imparzialità dei giudici”, evidenziando lo stretto rapporto tra il ruolo del pubblico ministero nell’ordinamento penale e l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici».Come lei spiega spesso, Giovanni Falcone riteneva che il giudice dovesse essere «una figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti», obiettivo impossibile se lo stesso giudice e il pm hanno «formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili». E avvertiva che chi, come lui, pensava che giudici e pm dovessero essere «due figure strutturalmente differenziate nella carriera», veniva, ora come allora, «bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato»…«E aveva ragione da vendere. In un sistema di parità tra le parti, le argomentazioni del pubblico ministero non devono avere un valore privilegiato rispetto a quelli della difesa. Dare, in via pregiudiziale e anche inconsciamente, un maggior peso alla tesi del pubblico ministero rispetto a quelle dell’avvocato, perché è un collega, mina pericolosamente l’imparzialità che il giudice deve sempre avere soprattutto in un sistema che, vale la pena ribadirlo, pone in capo all’accusa la prova della sussistenza di un fatto di reato e della responsabilità dell’imputato. Perché, lo ricordo, non spetta a quest’ultimo di provare la propria innocenza».Lei, in un’intervista ha spiegato che «i due cavalli di battaglia» di coloro che demonizzano la riforma (perdita della cultura delle garanzie che vengono assicurate dal giudice e asservimento della pubblica accusa all’esecutivo) «non hanno una solida base logico-giuridica». Che cosa intende esattamente?«Ritengo che il rischio che attualmente corriamo è che, più che ad essere il pubblico ministero contagiato dalla cultura del giudice, con tutte le garanzie che ne conseguirebbero, possa il giudice essere contaminato da quella della Procura, da quel “pregiudizio” che un soggetto, che secondo la Carta costituzionale, deve essere sempre terzo e imparziale, non dovrebbe mai avere. E in questo mi sembra che i numeri delle riforme dei provvedimenti cautelari e di condanna dei primi gradi di giudizio mi diano ragione. Quanto alla paventata prospettiva di un asservimento dei pubblici ministeri all’esecutivo, non ve ne è traccia nel disegno di legge di riforma costituzionale che, tra l’altro, prevede l’accesso alla magistratura requirente per concorso, non certo per nomina del governo, e conferma le attuali modalità di progressione in carriera. Come ho già detto in altre sedi, le riforme del processo penale non vanno viste solo con gli occhi del magistrato, ma anche con quelli del cittadino che, a torto o a ragione, un domani può assumere la veste dell’imputato. E a quell’uomo il giudice, non più “collega” di chi lo accusa, apparirà maggiormente credibile».Nel vecchio codice Rocco, nato ai tempi del fascismo, il pm era una specie di giudice aggiunto: poteva arrestare, intercettare e formare la prova. Nel 1989 è entrato in vigore il codice Vassalli che, in ottica garantista, ha tolto poteri all’accusa e l’ha fatta diventare una delle parti del processo alla pari dell’avvocato e dell’imputato. Nonostante questa apparente rivoluzione, il pm è rimasto nella stessa parrocchia dei giudici e ne condivide ordinamento e stato giuridico: come è possibile? «Perché il percorso di riforma non è stato completato. Non basta eliminare i simboli della “superiorità” del pubblico ministero che, un tempo, era seduto in alto al fianco del giudice e, adesso, in basso, accanto all’avvocato, che si raggiunge la parità sostanziale tra le parti».Dopo l’introduzione del già citato codice Vassalli, moltissimi pm sono entrati in politica (solo per citarne qualcuno Antonio Di Pietro, Piero Grasso, Luigi De Magistris, Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato, Federico Cafiero De Raho, Michele Emiliano, solo per citarne alcuni) e sono diventati protagonisti sui giornali. Perché non è accaduta la stessa cosa con i giudici? Con la riforma cambierà questa tendenza?«I pubblici ministeri hanno da sempre una maggiore visibilità, nel bene e nel male. Non penso che la riforma sia in grado di invertire questa tendenza».Un fulgido esempio di questo primato, Piero Grasso, ex capo della Procura antimafia poi assurto al soglio di presidente del Senato, ha definito la riforma «costosa, ipocrita, inutile e dannosa».«Non condivido quanto detto da Grasso, non a caso ex pm, che sostiene che così si rischia di trasformare il pm in un organo di parte, indebolendo l’indipendenza della magistratura. La riforma intende rafforzare la posizione di “parte” che il pubblico ministero deve avere nel processo completando, finalmente, un percorso iniziato nel 1999. L’indipendenza della magistratura, poi, non è solo quella dai poteri esterni, che non viene messa in discussione, ma anche quella da poteri interni».Nell’attuale sistema molti capi corrente provengono dalle Procure e sono loro a scegliere i rappresentanti delle toghe al Csm e nei consigli giudiziari e a impartire direttive sulle progressioni di carriera e sui procedimenti disciplinari…«L’autonomia delle due categorie eliminerà questa stortura».Sino a oggi i pm hanno avuto una grande influenza sulle sorti di voi giudici…«Io non posso avere come pubblico ministero un collega che sta al Consiglio giudiziario, perché questo genera imbarazzo, visto che deve valutare le mie eventuali istanze, i miei incarichi extragiudiziari ed esprimere un parere sulle mie valutazioni di professionalità. Con la riforma tutto questo verrà meno».Che cosa pensa del sorteggio per selezionare i membri del Csm?«Sono favorevole. Il sorteggio, che avverrà tra magistrati di acclarata professionalità, conterrà lo strapotere che, un tempo, le “correnti” hanno esercitato».Che idea ha, invece, dell’Alta corte disciplinare?«Sono assolutamente favorevole. Si attua una più marcata “separazione” tra chi avvia il procedimento disciplinare e chi deve giudicare il magistrato, fugando così ogni dubbio circa le “ragioni” alla base del provvedimento e restituendo serenità a chi ha sempre operato nel rispetto delle regole. Di fronte a questa Corte terza, chi ha la coscienza a posto, non avrà retropensieri e sospetti sull’origine e la correttezza dei procedimenti».Secondo lei quale sarà l’esito del referendum?«Credo che verrà confermata la scelta del governo perché va nella direzione dell’esigenza di chi fruisce del “servizio giustizia”. Non è una battaglia che vede contrapposti avvocati, politici e magistrati, ma è una riforma nell’interesse del cittadino».
        (Ansa)
    
Lo ha detto il Commissario europeo per l'azione per il Clima Woepke Hoekstra a margine del Consiglio europeo sull'ambiente, riguardo alle norme sulle emissioni di CO2 delle nuove auto.