2022-11-02
La minaccia ai medici: persecuzioni in corsia
Per coloro che hanno rifiutato le iniezioni, il reintegro sarà una trincea: dal Gimbe al governatore Vincenzo De Luca, fioccano gli appelli a demansionarli. Il sindacato Anaao: «Stiano fuori dai reparti a rischio». E la sinistra insiste: «Siano diffusi i nomi dei renitenti».È il nuovo gioco di società tra i «benpensanti pandemici»: suggerire una (per ora metaforica) lettera scarlatta per identificare il medico non vaccinato. Ecco Giancarlo Loquenzi, Radiouno Rai): «Reintegrate pure i sanitari sospesi perché contrari al vaccino, ma, per favore, chiedete loro di indossare una spilletta “no vax”: vorrei poterli riconoscere (tanto ne saranno fieri, no?)». Ancora più categorico il direttore del Gr1 Rai Andrea Vianello: «Reintegrare i medici no vax sarebbe offensivo verso il periodo terribile che abbiamo vissuto e distruggerebbe con un gesto solo il lavoro cruciale di educazione civile e sanitaria compiuto in questi due anni». Lo scavalca in oltranzismo il governatore campano Vincenzo De Luca, che già vede materializzarsi un pericolo di strage: «È una decisione che toglie sicurezza e tutela ai pazienti ricoverati e ai loro familiari». E ancora: «È una decisione che rischia, se si diffonde il contagio fra i medici, di fare avere ancora meno personale in servizio, altro che più medici». E poi, in ordine sparso, la Fondazione Gimbe («Il reintegro dei sanitari non vaccinati contro Covid-19 e le “sanatorie” per i no vax rappresentano un’amnistia anti-scientifica e diseducativa»), la deputata Pd Lia Quartapelle («Io francamente, da paziente, voglio sapere se il medico che mi segue si è vaccinato o no»), la pagina delle lettere del Corriere della Sera («Medici no vax, ingiusto equipararli agli altri»). E a seguire una cascata di altre voci: chi per escludere, chi per demansionare, chi per stigmatizzare. Dinanzi a questa valanga, sorgono spontanee alcune domandine di verifica. Come reagirebbe la sinistra progressista se qualcuno osasse pretendere - dal medico che ha di fronte - il dettaglio delle sue preferenze sessuali, o notizie sulla sua eventuale sieropositività? La risposta è fin troppo facile: si griderebbe giustamente alla discriminazione, alla violenza reazionaria. Altro test di verifica. Che direbbero sinistra e sindacati se un tale, in un colloquio di lavoro, si sentisse preliminarmente chiedere non solo i dati sanitari, ma pure la password della sua casella di posta elettronica, l’elenco dei siti Internet visitati negli ultimi quindici giorni, e lo «storico» della carta di credito degli ultimi tre mesi? Anche qui, la sollevazione sarebbe - giustamente - unanime.E invece stavolta, con assoluta nonchalance, si dà per scontato (in violazione delle leggi e del buon senso) che la privacy possa essere travolta, e che dati sensibili possano essere pretesi e magari perfino volantinati. E si dà per scontato che possa essere massacrato anche un minimo di razionalità e di buon senso: i lettori della Verità non hanno bisogno che sia loro ricordato che è stato miseramente smentito il presupposto «logico» e «scientifico» del green pass e delle restrizioni introdotte in questi anni, e cioè che il vaccino servisse a prevenire il contagio. Restano indimenticabili al riguardo le sortite di Mario Draghi sul green pass («garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose») e di Sergio Mattarella («Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, perché quell’invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui»). Oggi sappiamo che quelle parole - discutibili già allora - non avevano base scientifica. E semmai hanno contribuito, nella discussione pubblica, alla demonizzazione di cittadini che erano e sono come gli altri e che però furono additati come untori. È lunare che sia proprio il sindacato, quello che dovrebbe tutelare i lavoratori, a invocare limitazioni nei confronti dei renitenti: «Non assegnare medici e sanitari non vaccinati», ha tuonato infatti l’Anaao Assomed, «ai reparti con pazienti fragili maggiormente a rischio». Ma che senso ha discriminare nuovamente un medico che ha le medesime possibilità di contagiare ed essere contagiato di qualunque altro medico? O che senso ha precludersi la prestazione di un medico valido in ragione delle sue opinioni, abitudini e scelte personali? Poniamo che ci sia uno pneumologo o un cardiologo fumatore: ciò dovrebbe automaticamente portarci a ritenere che non sia in grado di diagnosticare o curare malattie respiratorie o cardiocircolatorie? Per puro gioco intellettuale, la posizione di quelli che insistono nella discriminazione sarebbe comprensibile se almeno si trattasse di fautori di una sorta di privatizzazione integrale della nostra società, con relativo diritto di tutti - a quel punto - a «discriminare». Del tipo: voglio (se sono un genitore) sapere le opinioni politiche degli insegnanti di mio figlio, oppure voglio (se sono un pasticcere) conoscere le opinioni sui temi eticamente sensibili delle persone per cui preparo le torte di nozze. A chi scrive (liberale con sempre più forti venature libertarie), per paradosso, un sistema del genere potrebbe anche andar bene, in astratto. Ma dubitiamo che ciò possa valere per chi grida ossessivamente: «Uguaglianza e diritti». Salvo però dimenticarsene in una sola occasione: nel caso della vaccinazione Covid.