2024-12-08
Milizie jihadiste a Damasco, Assad lascia la Siria
I ribelli sono entrati nella capitale e hanno preso il controllo del palazzo presidenziale. Mosca ha confermato che l'autocrate e la sua famiglia sono fuggiti dal Paese. Il premier Muhammad al-Jalali mantiene per ora il suo incarico alla guida del governo per assicurare il passaggio di consegne.Le milizie a guida jihadista comandate da Al Jolani sono entrate a Damasco, la capitale siriana, e hanno preso il controllo del palazzo presidenziale di Bashar al-Assad. Dopo le voci circolate ieri in merito alla fuga del presidente siriano insieme alla sua famiglia, in un primo momento smentite, poche ore fa è arrivata la conferma da parte del ministero degli Esteri russo il quale ha comunicato che Assad ha lasciato la Siria, senza fornire riferimenti su dove si trovi e specificando che Mosca non ha partecipato a trattative relative alla fuoriuscita del presidente. Inoltre, si legge nella nota diffusa dalla Russia, «a seguito dei negoziati tra Assad e alcuni partecipanti al conflitto armato sul territorio della Siria, Assad ha deciso di lasciare la carica presidenziale e ha lasciato il Paese, dando istruzioni per effettuare pacificamente il trasferimento del potere».I ribelli guidati da Al Jolani, che hanno preso il controllo anche dell'aeroporto internazionale, della radio e della tv pubblica e hanno aperto le porte del carcere di Sednaya, considerato il simbolo del potere di Assad, hanno dichiarato il «Paese non più prigioniero del potere». Secondo le ultime notizie raccolte da fonti qualificate, Il premier siriano, Muhammad al-Jalali, manterrebbe la carica per assicurare il passaggio di consegne.Contestualmente, le milizie filo-turche guidate da Hayat Tahrir al-Sham (Hts) stanno occupando le postazioni militari evacuate dalle Forze governative siriane nel Sud del Paese. Secondo fonti dei media arabi, le Forze governative siriane avrebbero iniziato il ritiro dalla base aerea T-4, situata nei pressi dell’antica città di Palmira, nel governatorato di Homs.Conosciuta anche come Tiyas, la base rappresenta un punto strategico per il traffico di armi e droga (ad esempio il captagon) destinate a Hezbollah in Libano, trasportate attraverso voli cargo iraniani che atterrano frequentemente sia al T-4, sia all’aeroporto internazionale di Damasco. Secondo l’intelligence israeliana, gli armamenti vengono stoccati nei magazzini della base prima di essere trasferito in Libano. Negli ultimi anni la base aerea T-4 è stata più volte bersaglio dei raid aerei israeliani. Funzionari dell’amministrazione Biden, ieri, davanti all’avanzata delle fazioni jihadiste, ritenevano sempre più probabile la caduta del regime di Assad. E il fatto che gli insorti siano avanzati fino alla capitale incontrando pochi ostacoli è la dimostrazione che anche l’esercito siriano aveva capito che ha le ore fossero contate. Decine di militari governativi hanno deciso di disertare e di arrendersi alle autorità druse locali nella città di Suwayda, capoluogo della regione meridionale siriana al confine con la Giordania e roccaforte della comunità drusa. Le Forze di difesa israeliane (Idf), che stanno costantemente seguendo quanto accade in Siria, hanno reso noto che è stato deciso «un ulteriore rafforzamento delle proprie posizioni sulle alture del Golan, lungo il confine con la Siria, in risposta all’avanzata dei ribelli sunniti nella regione. L’aumento delle forze rafforzerà le difese regionali e preparerà le truppe a una serie di potenziali scenari». Ieri sera il governo israeliano si è riunito e lo farà anche oggi per discutere della situazione, mentre cresce la preoccupazione che i ribelli possano avanzare fino al confine meridionale della Siria, in prossimità delle alture del Golan. In ogni caso a Gerusalemme nessuno credeva alla possibilità che Bashar al-Assad riuscisse a riprendere il controllo del Paese.Il titolare della Fernesina, Antonio Tajani, ha assicurato che la situazione degli italiani è «sotto controllo». Comunque, dal punto di vista politico, in Siria è il caos più totale, con i tre ministri degli Esteri, Abbas Araghchi per l’Iran, Serghei Lavrov per la Russia e Hakan Fidan per la Turchia, che si riuniscono - come scrive l’agenzia iraniana Irna - nel cosiddetto «formato Astana», da una riunione del 2017 nella capitale del Kazakistan, che fu convocata per garantire il futuro equilibrio politico-strategico nel Paese, oggi è in frantumi. Sul tavolo le posizioni sono divergenti, con gli iraniani che hanno espresso sostegno completo al governo siriano del presidente Assad e hanno accusato Israele e Stati Uniti di appoggiare i ribelli jihadisti, e i turchi che sono l’anima di questa rivolta, come ha ammesso più volte Recep Tayyip Erdoğan, che ieri ha affermato: «Nessuno più dei fratelli siriani merita la pace e di vivere in serenità dopo tanto sangue e sofferenza. In Siria c’è una nuova realtà, tutte le minoranze etniche e religiose hanno ora il diritto di sentirsi siriani alla stessa maniera». I russi invece non vogliono il regime change, nel timore di perdere le loro basi in Siria, ma nessuno sa cosa abbia in mente Putin, che potrebbe aver deciso di non sostenere più Assad, da lui ritenuto un debole. In questo caso le parole di Sergej Lavrov sarebbero solamente di circostanza: «È inammissibile permettere a un gruppo terroristico di prendere il controllo della Siria in violazione degli accordi esistenti, a partire dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha ribadito con forza la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità della Repubblica araba siriana».Il pensiero del presidente eletto degli Usa, Donald Trump, presente ieri alla cerimonia di riapertura di Notre Dame a Parigi, è chiaro: «La Siria è un disastro, ma non è nostra amica, e gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra lotta. Lasciamo che la situazione si sviluppi. Non lasciamoci coinvolgere».