2021-10-14
Migranti, party e violenti in libertà. Il ministro di uno Stato alla resa
Malgrado la protezione del Colle, l'ex prefetto si è rivelato inadeguato nella complessa gestione del Viminale. Aver offerto mano libera ai teppisti sperando di minimizzare i danni è la misura della sua incapacità politica.Il giorno della partenza della flotta britannica per riconquistare le Falkland, un deputato della Camera dei Comuni disse in aula: «Gli argentini sono per metà spagnoli e per metà italiani. Se prevarrà l'anima spagnola combatteranno, se prevarrà l'anima italiana si arrenderanno». Margaret Thatcher prese le distanze dall'insultante boutade, Luciana Lamorgese 39 anni dopo l'ha fatta propria. Ha visto Giuliano Castellino minacciare sfracelli dal palco e ha alzato immediatamente le braccia. Lo ha spiegato nel question time alla Camera: «La scelta di procedere coattivamente nei suoi confronti, quando ha espresso la volontà di indirizzare il corteo verso la sede della Cgil, non è stata ritenuta percorribile dai responsabili dei servizi di sicurezza perché c'era il rischio evidente della degenerazione dell'ordine pubblico». Nel silenzio dell'Aula, tonfo di braccia che cadono.Così lo Stato si è arreso per una questione di opportunità e per il calcolo (sbagliatissimo) secondo il quale lasciar sfogare Forza nuova sarebbe stato il male minore. Un errore imperdonabile che invece di alleggerire la posizione del Viminale e dei «responsabili dei servizi di sicurezza» la rende ancora più pesante, perfino imbarazzante. Sapevano che i violenti avrebbero agito e invece di isolarli si sono voltati dall'altra parte. Hanno fischiettato fino al momento dell'irruzione per poi dare ordine ai celerini di picchiare tutti, anche il 95% dei manifestanti pacifici. Poiché in questi giorni c'è chi si diverte a rievocate stagioni plumbee della nostra storia, va detto che neppure negli anni Settanta s'era mai vista una simile strategia dello struzzo. Una scelta politica, e della politica risponde il ministro. Ha avuto buon gioco Giorgia Meloni nell'obiettare: «Non siamo un Parlamento di imbecilli, lei sapeva e non ha fatto nulla». Lamorgese aveva paura dei disordini e i disordini ci sono stati. Voleva evitare il peggio e ha ottenuto il peggio. Temeva la moltiplicazione dei danni e delle tensioni, con la conseguenza che danni e tensioni (puntualmente avvenuti) hanno portato il Paese sull'orlo di una crisi di nervi a qualche giorno dai ballottaggi elettorali. La scelta democristiana del ministro più democristiano e indecisionista dell'esecutivo non poteva pagare perché girare le spalle alla realtà non paga mai. «Io speriamo che me la cavo», questo ha lasciato intendere nei dieci minuti dedicati al tema, come se una crisi di questa portata non meritasse di più. Era un question time, non l'informativa chiesta dal Parlamento; l'approfondimento arriverà con comodo, dopo le elezioni e a dieci giorni dai fatti. L'inquilina del Viminale, che secondo la narrazione mainstream lavora in silenzio con la luce accesa fino alle ore piccole dietro quella finestra all'ultimo piano (fa tanto Charles Dickens), avrebbe potuto evitare lo showdown politico e sociale unicamente arrestando in diretta chi stava minacciando le istituzioni. Non averlo fatto evidenzia un'aggravante: una volta deciso di «accompagnare» i violenti nella speranza di neutralizzarli grazie all'italico stellone (poteva piovere, potevano sbagliare strada o fermarsi ai tavolini di un bar), i famosi vertici avrebbero almeno dovuto rinforzare la sicurezza per proteggere la casa del sindacato e gli uomini della Digos. O una camionetta militare fa ancora troppo effetto Giuliani con la ricaduta di mistificazioni assortite? C'è un'ultima ombra e non è la meno inquietante: una simile ricostruzione rinfocola l'accusa di aver voluto alimentare una qualsivoglia strategia della tensione. Nonostante l'ombrello protettivo di Sergio Mattarella che l'ha imposta come tecnico in due governi successivi (Conte bis e Draghi), la ministra Lamorgese si sta rivelando fragile, inadeguata per una stagione d'acciaio almeno quanto Roberto Speranza. Da prefetto era abituata ad alzare il telefono e dislocare migranti in Val Brembana secondo i dettami dell'accoglienza diffusa, ma qui il gioco è un po' più complesso. Arrivata in contrapposizione al rodomontico predecessore (Matteo Salvini) aveva subito mostrato poca trasparenza con il pasticciato accordo di Malta per regolamentare l'immigrazione, molto pubblicizzato e mai applicato. I capisaldi erano due: redistribuzione dei clandestini in Europa e rotazione dei porti. È bastato un mese per comprendere l'inganno: la dislocazione oltre le Alpi era facoltativa e i porti che ruotavano erano Lampedusa, Pozzallo, Catania, Siracusa, Palermo, ancora Lampedusa. Un trionfo all'italiana, ce lo meritiamo Alberto Sordi.Lamorgese è convinta che per risolvere un problema sia necessario tergiversare, lasciarlo frollare. Così sabato a piazza del Popolo ha riproposto la strategia adottata in agosto per il rave sul lago di Mezzano, quando non volendo fermare i 3000 ragazzi autoconvocati per sfinirsi a suon di musica, ha deciso di farli accompagnare amorevolmente allo sballo illegale (un morto e decine di feriti) dalle forze dell'ordine. La polizia che aveva fermato i camper ricevette l'ordine di «monitorare ma non di bloccare». Decisioni incomprensibili, ricette curiali, minestre con il formaggino. Come se quella finestra dalla luce fioca non fosse all'ultimo piano del Viminale ma di un oratorio.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)