
Ok dal giudice di Islamabad, ma la consegna dell’uomo all’Italia è a rischio per la mancanza di accordi bilaterali con il Pakistan.La richiesta di rilascio su cauzione per Shabbar Abbas, il padre di Saman, la diciottenne pakistana assassinata la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021 a Novellara perché si era opposta a un matrimonio combinato, è stata definitivamente rigettata dal giudice della Corte distrettuale di Islamabad, che, dopo circa 30 udienze, ha contestualmente espresso parere favorevole all’estradizione. Shabbar è accusato di omicidio volontario dalla Procura di Reggio Emilia, insieme alla moglie Nazia Shaeen (ancora latitante), allo zio Danish Hasnain (considerato l’esecutore materiale) e a due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Ieri il giudice di Islamabad ha certificato la validità dei documenti giudiziari d’accusa inviati in Pakistan dagli inquirenti italiani, che erano stati duramente contestati dal difensore di Shabbar, l’avvocato esperto di procedura penale pakistana Akhtar Mehmood, che le aveva tentate tutte pur di farli dichiarare nulli.Dopo aver sostenuto «l’infondatezza» degli elementi a carico del suo assistito e la «falsità», così l’ha definita, «della versione fornita dalle autorità italiane (contenuta nell’ordinanza che dispone il giudizio davanti alla Corte d’assise, che contiene i capi d’imputazione dai quali deve difendersi Shabbar, ndr)», ha anche eccepito l’irregolarità della documentazione e la mancanza di alcuni atti in originale, citando a più riprese «l’extradition Act del Pakistan», ovvero le norme che regolamentano i casi di estradizione. E ha usato tutte le leve giuridiche possibili per trattenere Shabbar in Pakistan. Consapevole che si trattava del primo caso in cui veniva applicata una procedura di estradizione di questo tipo e forte del fatto che non ci sono trattati firmati da entrambi i Paesi. Esiste però l’estradizione di cortesia, una consuetudine internazionale che spesso molti Paesi adottano. Ora Shabbar potrà impugnare il documento davanti all’Alta Corte di Islamabad. Nel frattempo si attende la decisione finale del gabinetto del ministro della Giustizia pakistano sulla richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. E questo sembra essere l’ultimo scoglio per la consegna dell’imputato (che nel frattempo ha deciso di partecipare al processo in videoconferenza).«Quello della Corte pakistana è un parere tecnico, ora vedremo la decisione dello Stato pakistano. Noi speriamo di vedere Shabbar Abbas in Italia prima della sentenza», afferma l’avvocato Barbara Iannuccelli, legale di parte civile nel processo di Reggio Emilia, che aggiunge: «Riguardo ai tempi è difficile fare pronostici, ma speriamo che la decisione del Pakistan sia a breve perché in Italia il processo è ancora nel vivo». Il giudice pakistano ha anche disposto che Shabbar rimanga a disposizione delle autorità italiane nel carcere di Adyala per il collegamento in videoconferenza con Reggio Emilia, dove il dibattimento in Corte d’assise, riprenderà il 14 luglio con l’ascolto in aula dei testimoni citati dalla parte civile. La scorsa settimana, in udienza, è stata ascoltata una assistente sociale che ha parlato dello stato d’animo del fratello di Saman, da poco maggiorenne, fornendo dei dettagli sul contesto familiare: «Il fratello di Saman voleva cambiare nome e cognome. Quando fu arrestato il padre disse che era giusto perché doveva rispondere di ciò che ha fatto, mentre ha parlato della madre come di una vittima di tutta la situazione». Sulla fuga con lo zio Danish verso la Francia, nei giorni successivi al delitto, quando venne fermato a Ventimiglia dalla polizia e portato poi, in quanto minorenne, in una struttura protetta, «disse che seguì lo zio perché gli furono promessi festeggiamenti dopo il Ramadan».Infine, l’assistente sociale ha ricordato le parole con le quali il ragazzino aveva raccontato il pressing che avrebbe subito dai parenti: «In alcune telefonate i genitori gli avevano detto di tornare in Pakistan e di ritrattare su quanto detto agli inquirenti (aveva descritto il padre come un violento, ndr)». Un carabiniere del Ris, invece, ha descritto per la prima volta la buca nel casolare in cui poi è stato rinvenuto, lo scorso novembre, il cadavere di Saman: «Per scavare a quella profondità, servivano un lavoro fisico consistente e capacità tecniche». Un’attività che, secondo l’accusa, avrebbero potuto compiere lo zio e due cugini, tutti braccianti agricoli. In famiglia, però, ora le linee difensive sembrano essersi divise. Ieri il difensore di zio Danish, l’avvocato Liberio Cataliotti, ha accolto con favore l’impegno delle istituzioni per far rientrare in Italia Shabbar: «Credo che alla giustizia si sia assicurato, non voglio dire un colpevole perché non sono un pubblico ministero, ma certo un protagonista principale della vicenda e credo che questo per la verifica della verità processuale sia un risultato prezioso». E ha aggiunto: «A questo punto mi stupirei se altrettanto non avvenisse per la moglie». Le autorità pakistane, però, finora non hanno risposto alla richiesta di estradizione e la donna, coperta dai parenti, è ancora latitante.
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