2023-06-07
La stampa «rossa» va in testacoda sull’amico di Tizian
Gianluca Meranda e Francesco Vannucci
«Repubblica» e «Domani» provano a difendere l’inchiesta anti Salvini, ma non spiegano il ruolo della «fonte» Gianluca Meranda.Il silenzio sul nostro scoop sul Metropolitan della cosiddetta stampa progressista si è rotto ieri, con due articoli usciti su Repubblica e Domani. Il quotidiano di Largo Fochetti, in mezzo a una paginata di nulla per difendere l’indifendibile si è dovuto arrendere: «Resta oscuro il vero gioco di Meranda (Gianluca, ndr), contemporaneamente attore della trattativa e della fuga di notizie» ha scritto. Peccato che questo massone e avvocato (in rigoroso ordine di importanza) nella vicenda del Metropol sia il personaggio chiave. È lui l’uomo che partecipa, anche come unico italiano, a molti dei 40 incontri propedeutici al cosiddetto affare del Metropol di cui parlano i magistrati di Milano, i quali per anni si sono preoccupati di portare avanti la narrazione della Lega complice di una corruzione internazionale. Nessuno ha mai messo in discussione che sia esistito il tentativo di realizzare l’affare da parte dei presenti alla riunione al Metropolitan, quello che è in discussione è solo e soltanto il coinvolgimento del leader della Lega e la destinazione delle provvigioni. Chiarito questo, va precisato che i 40 incontri sono un dogma che i giornalisti prendono per buono senza nemmeno andare a verificare il numero esatto (49), ma che noi, dalle carte (siamo gli unici che le stanno pubblicando), riteniamo che vadano rivisti al ribasso. Detto questo, altra fake news di Repubblica: sul quotidiano romano si legge che le trattative erano già iniziate ad aprile-maggio e che Tizian incontra Meranda solo a luglio.Premesso che le interlocuzioni tra Meranda & C. e un dirigente dell’Eni poi licenziato con gravi accuse iniziano tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, a luglio c’è una traccia certa di un contatto, ma proprio in quel mese Meranda definisce già suo «vecchio amico» Tizian in un messaggio inviato a un’altra leghista. Millanterie? Può darsi, ma il giornalista agli inquirenti ha ammesso di aver conosciuto a una festa e incontrato più volte Meranda, senza specificare, però, quando. E il silenzio sul punto non è di aiuto per fare chiarezza.Detto questo nessuno spiega perché Meranda partecipasse agli incontri per l’accordo del Metropol e contemporaneamente facesse foto e registrazioni da consegnare al cronista. A noi sembra il punto più importante e non una questione da risolvere in due righette come ha fatto Repubblica, pur riconoscendo il ruolo «oscuro». Non si capisce neanche perché al tavolo partecipasse un agente del Fsb, l’ex Kgb. Per Giovanni Tizian (all’epoca autore degli articoli su L’Espresso e oggi al Domani) lo faceva perché era un uomo dell’ideologo vicino ad Aleksandr Dugin, a sua volta figlio di una spia. Ci viene da obiettare che l’attività di intelligence non si tramanda di padre in figlio o per osmosi. Gli operativi dei Servizi non siedono a un tavolo in cui si tratta un affare legato a un’azienda pubblica del loro Paese, per amicizia o vicinanza politica, ma per motivi di interesse nazionale, che in questo caso non sono mai stati chiariti, e che alla luce di quanto sta emergendo, richiedono una risposta. Che per adesso non c’è stata.Niente, poi, viene detto dei ben più numerosi incontri per fare business nel settore del petrolio portati avanti negli anni precedenti all’incontro del Metropol (e dopo il flop di quella operazione) dai compagni di Meranda. Savoini è quasi un incidente, un gancio ricercato, pensate un po’, attraverso uno che nemmeno era leghista, Sergio Pirozzi, al quale si era rivolto l’ex bancario toscano Francesco Vannucci, per il tramite di una ex consigliera comunale di Nettuno, candidata alle regionali nella lista civica di Pirozzi. L’ex portavoce del leader del Carroccio, lo si capisce chiaramente leggendo le carte, è coinvolto quasi per caso. E proprio grazie a un presunto appuntamento dell’ex sindaco di Amatrice, smentito a verbale dall’interessato e non confermato con certezza dalle celle telefoniche, la lettura degli atti permette di capire quanto possa essere stato empirico il metodo usato durante le indagini per ricostruire gli incontri della cricca.Nell’informativa della Guardia di finanza del 9 novembre 2020 gli investigatori annotano di aver rinvenuto nello «smartphone iPhone X in uso a Meranda, nel cui "Calendario" dell’applicazione Outlook risulta annotato un appuntamento fissato per il giorno 3 luglio 2018 (dalle ore 18.00 alle ore 19.00), avente ad oggetto “C/Vannucci/Pirozzi/Massimi”. Impegno agevolmente decifrabile in un incontro pianificato con Francesco Vannucci, Sergio Pirozzi e Giuseppe Massimi». Incontro che si sarebbe dovuto tenere presso lo studio di Meranda. Nella tabella con i 49 presunti incontri, poi fatta propria dai pm nella richiesta di archiviazione, gli investigatori indicano come fonte i tabulati telefonici di Vannucci e Meranda. Il dettaglio dei riscontri racconta come la ricostruzione sia debole. La mattina del 3 luglio Vannucci è a Milano, dove avrebbe incontrato Savoini (i telefoni sono agganciati alle stesse celle. Poi, nel primo pomeriggio si sposta a Roma, dove «intorno alle ore 18:00» quindi all’ora del presunto appuntamento, il suo telefonino aggancia una cella «sita a circa 3 chilometri dallo studio di Meranda di Lungotevere delle Navi n. 20». Per Meranda, gli investigatori si limitano a una indicazione generica, legata alla città di Roma: «Anche le celle telefoniche alle quali si aggancia l’utenza di Meranda lo stesso giorno sono collocate tutte a Roma». Il 15 marzo 2021, davanti ai pm milanesi Pirozzi smentisce l’incontro: «Non so a cosa si riferisce il documento a cui fate riferimento. Io non ho mai partecipato a incontri presso lo studio dell’avvocato Meranda né ho mai avuto appuntamenti per riunioni o altro». Eppure, quell’incontro, forte del fatto che cellulari di Meranda e Vannucci erano entrambi a Roma, resisterà nell’elenco fino alla richiesta di archiviazione, senza nessuna ulteriore verifica. Dei 49 incontri (che comprendono anche i viaggi in aereo), ricostruiti dagli investigatori, solo quattro hanno un riscontro incontrovertibile sugli argomenti affrontati. Si tratta dei tre incontri tra Meranda e Vannucci avvenuti a Roma il 10 e 11 e 20 luglio luglio 2018 e della riunione al Metropol di Mosca del 18 ottobre dello stesso anno. Ovvero i tre incontri romani che Meranda ha registrato, conservando poi, nei primi tre casi, l’audio sul suo telefonino. Le tre registrazioni rinvenute sull’iPhone dell’avvocato anticipano di pochi giorni il primo dei 14 appuntamenti con Tizian che Meranda aveva annotato sulla sua agenda alla data del 25 luglio. Trentuno incontri sono stati ricostruiti, del tutto o in parte, attraverso l’analisi dei tabulati telefonici contenenti i dati delle celle agganciate, in alcuni casi supportati dall’agenda di Meranda. Che secondo l’elenco è l’unica prova di un incontro che sarebbe avvenuto a Mosca il 6 giugno 2018, in realtà confermato anche da alcune fotografie non citate nella tabella riassuntiva. Mentre un altro incontro, che si sarebbe svolto sempre nella capitale russa il giorno precedente viene ricostruito attraverso «Documentazione sequestrata a Meranda, tra cui documento fiscale emesso dal ristorante». In realtà nell’informativa si trova traccia di un messaggio inviato da Savoini a Meranda al suo arrivo a Mosca: «Buonasera. Mio aereo in ritardo, appena arrivato. Telefono russo mio si è rotto. Ci vediamo in hotel, via watsapp quando sono lì le scrivo». Altri vengono ricostruiti attraverso i messaggi presenti nelle chat Whatsapp, altri ancora attraverso le liste passeggeri dei voli. Insomma, come detto, una ricostruzione empirica, probabilmente giocoforza, visto che è stata fatta a posteriori. In più di Salvini in tutta l’inchiesta non c’è traccia se non negli audio registrati da Meranda, dove il faccendiere massone, quasi come se già immaginasse la pubblicazione degli audio, gioca con il suo sodale, Vannucci, ex Margherita-Pd, alle spie, chiamando questo e quello «Emme» o «Kappa», e facendo insinuazioni suffragate da nulla. Anzi spesso smentite dagli atti, dalle testimonianze e dalle celle telefoniche. Fanno presto i colleghi senza carte a scrivere dei 40 incontri, ma c’è tutto il resto da spiegare. E non è poco.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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