La riforma degli scali marittimi, finita in freezer, va scongelata. Come nel Paese dell’America Centrale, un ruolo cardine potrebbe andare a Blackrock e Aponte. Occasione per aprire agli Usa in chiave anti dazi ed eliminare le spinte dem pro Cina.
La riforma degli scali marittimi, finita in freezer, va scongelata. Come nel Paese dell’America Centrale, un ruolo cardine potrebbe andare a Blackrock e Aponte. Occasione per aprire agli Usa in chiave anti dazi ed eliminare le spinte dem pro Cina.Appena insediato, Donald Trump ha dichiarato di volersi riprendere Panama e conquistare la Groenlandia. La reazione di mezzo mondo è stata a metà strada tra lo stupore e l’ilarità. Eppure in un mese e mezzo il primo obiettivo l’ha già raggiunto. L’altro ieri il colosso Blackrock, con l’aiuto finanziario e industriale di Gianluigi Aponte, ha preso il controllo delle banchine del canale più importante per i commerci internazionali. Non solo. L’offerta inviata a Ck Hutchison (e accettata) riguarda il 90% del capitale detenuto da Hph in Panama ports company (che gestisce i due summenzionati terminal centroamericani) e l’80% di Ck Hutchison che possiede, gestisce e sviluppa 43 terminal comprendenti 199 banchine in 23 Paesi. Esclusi dall’operazione il Trust Hph, che gestisce terminal a Hong Kong, Shenzhen e in Cina meridionale, e qualsiasi altro porto in Cina. In pratica a partire da aprile la finanza Usa controllerà anche scali in Spagna, Australia, Egitto, Germania, Indonesia, Polonia, Messico, Malesia e Olanda. Uno scacco enorme per la Cina che dopo questa operazione mantiene un importante controllo sull’Europa e l’Asia ma si ritira da un quarto di mondo. La prima domanda è: come mai Pechino ha accettato in silenzio di passare il timone? La risposta è probabilmente da rintracciare nella tecnica più ampia di Trump. Il modello «Prima spara poi chiedi» evidentemente funziona. Xi Jinping di fronte alla morsa dei dazi ha capito che su un qualche versante bisogna pur mollare. Come in tutte le trattative commerciali o immobiliari (di cui Trump è un maestro). E da ciò un qualche insegnamento l’Italia (e l’Europa) dovrebbe trarlo. Lo scorso settembre Giorgia Meloni ha incontrato il numero uno di Blackrock, Larry Fink, per mettere sul tavolo alcuni temi. Si era discusso di Piano Mattei, di data center e di investimenti in tecnologie connesse e poi di porti. Tutte infrastrutture strategiche. Il colosso Usa in precedenza aveva avviato partecipazioni anche nelle nostre aziende di Stato. Vale per Leonardo come per Enel. La presenza di Blackrock in Italia è sempre stata stabile, ha però visto una accelerazione. Il tema più caldo resta però quello dei porti. Non si sono viste novità né particolari cambi di indirizzo. È vero che la riforma degli scali che un anno e mezzo fa sembrava a buon punto è stata congelata e si è proceduto con il commissariamento di numerose autorità portuali. Però il non detto rimane la lobby cinese in Italia. La stessa che negli ultimi anni ha pervaso molte regioni, a partire dalla Puglia. Un dettaglio che rende l’idea. Oggi Confindustria Taranto organizza un evento dal titolo emblematico: Le rotte del cambiamento. Presenti i ministri Tommaso Foti, Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini oltre a Michele Emiliano. Sponsor principale Banca popolare di Puglia e Basilicata presieduta da Leonardo Patroni Griffi. L’istituto è stato guarda caso sponsor dei China award e il fratello di Leonardo, Ugo, è stato presidente della locale autorità portuale dentro le cui strutture voleva portare il 5G di Huawei. Al convegno di oggi partecipano anche ammiragli, ai quali il tema della sicurezza deve essere certamente chiaro. Quindi ora sarebbe il momento di prendere ispirazione e fare un ripulisti strategico. In fondo i due player sono già pronti. Abbiamo Blackrock e Aponte. Operano già assieme: devono solo investire. È comprensibile che per il governo sia complicato scardinare logiche locali e bypassare autonomie regionali. Ma, forse, sotto la regia dell’autorità delegata, guidata dal sottosegretario Alfredo Mantovano, si potrebbe fare il vero salto di qualità. I porti sono afferenti la sicurezza nazionale e in quanto tali andrebbero trattati. E per quanto ci risulta questa è materia del governo centrale. Non certo delle Regioni. Riformare i porti e rimetterli nella carreggiata dell’Occidente sarebbe opportuno per due motivi. Primo, perché molti scali (basti pensare a Taranto e Augusta) sono cointeressati da tematiche Nato. Secondo perché - e qui si torna alla logica del mercanteggiare - sarebbe una carta utile da giocare in fase di trattativa sui dazi. Visto che anche Bruxelles ha ammesso che la loro applicazione può essere calata non solo per singoli settori ma anche per singoli Paesi, ecco che l’Italia potrebbe infilarsi nella partita fornendo agli Usa una apertura che altri membri Ue non potranno vantare. La penisola in mezzo al Mediterraneo è per natura solo nostra.Inoltre, riorganizzare gli equilibri dei porti potrebbe anche facilitare la nostra presenza sulle nuove rotte. Nel discorso di Trump tenuto nella notte italiana di martedì la Casa Bianca è tornata a insistere sul tema Groenlandia. «Sosteniamo fermamente il vostro diritto di determinare il vostro futuro. E se lo scegliete, vi diamo il benvenuto negli Stati Uniti d’America», ha detto il presidente agli abitanti dell’isola ghiacciata. Ma non si tratta di uso della forza. Bensì di concessioni e da parte degli Usa di garantirsi il predominio delle rotte (anche facendo accordi con i russi) per evitare che la flottiglia cinese sfrutti il disgelo per essere più veloce ed efficiente, come si vede dalla tabella in pagina. Anche quella delle rotte è una questione di sicurezza nazionale e solo lateralmente di commerci. La strategia c’è e punta sempre contro la Cina. L’Italia sui porti è a un bivio ed è ora di tirare fuori la polvere da sotto i tappeti. Tutta la polvere accumulata soprattutto dai dem e dal Pd.
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