Il metodo «Corriere». Spingere le elettriche con i consulenti verdi e numeri di parte

Un articolo interessante dal punto di vista sociologico, apparso sul Corriere della Sera di lunedì (il cui senso è: sappiamo che l’auto elettrica non vi piace, ma dovrete prendervela lo stesso), dichiara vincitrice la tecnologia dell’automobile a batteria, senza discussione. Parametro unico per valutare i concorrenti: le emissioni di CO2. Tralasciamo il fatto che l’articolo mescola le emissioni di PM10 con quelle di CO2 e che considera la CO2 inquinamento, cosa che non è.
L’articolo di Dataroom a firma Milena Gabanelli e Rita Querzé prende in esame uno studio sul Life Cycle Assessment (Lca) di Ricardo Group, una grande società inglese quotata in borsa la cui ragione sociale è fare consulenza (fatturandola) alla Commissione europea, a governi e ad aziende proprio sulla transizione. Ricardo Group, a marzo, ha vinto una consulenza per guidare il Citizen Energy Advisory Hub della Commissione Europea, qualunque cosa sia, e ha già fornito alla Commissione un Lca nel 2020.
Lo studio del 2020 dice che nell’intero ciclo di vita un’auto elettrica emette 120 grammi di CO2 equivalente al kilometro, mentre un’auto a benzina ne emette 269 (l’articolo cita numeri leggermente diversi da quelli Ricardo, non si sa perché). Quindi, non c’è partita, grazie e arrivederci.
Se si decide di dividere il mondo in due secondo il criterio delle emissioni, il motore elettrico è buono, gli altri sono cattivi. L’articolo cita anche uno studio del 2022 del ministero dell’Ambiente. Quel rapporto, a cura di Bruno Notarnicola, è una rassegna bibliografica di studi di Lca (dieci, compreso quello di Ricardo Group). La cosa da notare è che i metodi Lca sono moltissimi e che la difficoltà di essi sta nel valutare e pesare tutte le centinaia di variabili, per tradurle poi in un numero sintetico.
Una attività talmente complessa che la Commissione europea non l’ha ancora fatta. La Commissione ha cioè già adottato il Regolamento Ue 2023/851 che bandisce di fatto le auto con motore a combustione interna dal 2035, ma non ha ancora stabilito quale Lca utilizzare per valutare le emissioni dei veicoli. Una bizzarria, di cui La Verità ha parlato oltre un anno fa. La realtà è che su questo parametro si giocano molti miliardi di euro ed è per questo che ancora non si è trovata la formula magica.
La necessità di uno standard europeo Lca viene citata all’articolo 7bis del Regolamento, che dà mandato alla Commissione di elaborare entro il 31/12/2025 una metodologia. Intanto però c’è una certezza, essendo già stato individuato il soggetto che entro quest’anno dovrà proporla: proprio Ricardo Group. L’articolo del Corriere, senza specificare se si riferisce al solo motore (Tank-to-Wheels) oppure al complesso generazione energia più motore (Well-to-Wheels), dice poi che il motore elettrico è più efficiente dal punto di vista energetico (77%). Tuttavia, in questo mero calcolo non si tiene conto del fatto che il motore a scoppio trasforma un combustibile liquido in energia e ciò comporta maggiori perdite di energia sottoforma di calore. Il motore elettrico invece assorbe dalla batteria l’energia prodotta altrove, con altre perdite di generazione e di trasporto. Si tratta cioè di concezioni totalmente differenti. Non solo: quello che conta alla fine è il costo, nonostante la diversa efficienza. Le scelte sono sempre un confronto tra costi e benefici. «La transizione sarà difficile, ma inevitabile, e avrà un prezzo», si legge nel pezzo. Che la transizione sia inevitabile è tutto da dimostrare, soprattutto a queste condizioni: è la politica a dover decidere. Che la transizione abbia un prezzo invece è verissimo, tanto che questo giornale da anni lo dice a gran voce. Il punto semmai è proprio che tale prezzo viene continuamente nascosto. Ancora oggi si leggono opinionisti che propagandano le fonti rinnovabili definendole «a costo zero».
Eppure, il Politecnico di Milano, nel suo rapporto Renewable Energy Report 2025, ha chiarito nella sua «Analisi del levelized cost of electricity (Lcoe)» che un impianto fotovoltaico di grande taglia (30 megawatt) in Italia ha bisogno di 55-65 euro per megawattora di prezzo dell’energia per 25 anni per poter rientrare di costi e investimenti. Per impianti più piccoli (1 megawatt) e in zone meno favorevoli (al Nord, ad esempio) il Lcoe è superiore ai 90 euro per megawattora. Non esattamente a costo zero, dunque. Ma non si tratta solo dei costi diretti per l’energia, e neppure solo del costo emergente dall’acquisto obbligatorio di una nuova automobile: in gioco vi è molto di più. L’articolo di Dataroom ci si avvicina, ma dalla parte sbagliata: «Bisognerà allora prendere decisioni che tengono insieme le questioni ambientali con quelle economiche e sociali. Ma raccontando ai cittadini le cose come stanno», si legge.
L’uso del tempo futuro nella frase è sbagliato: le decisioni sono già state prese ed è già stato deciso che le questioni sociali sono irrilevanti, come lo stesso articolo dimostra. Il cambio forzato di tecnologia sta spazzando via l’industria automobilistica europea a tutto vantaggio di quella cinese, mentre l’auto elettrica europea resta troppo costosa. Dunque, campo aperto alle auto cinesi e fine dell’industria automobilistica europea. La sensazione è che se si raccontasse ai cittadini «le cose come stanno» non ci sarebbe nessuna transizione. Il prezzo della transizione è in primis un prezzo sociale e poi economico, fatto di de-industrializzazione, disoccupazione, esclusione, debito, inflazione.
«Non si usi il paravento della neutralità tecnologica per continuare le guerre ideologiche», si legge al termine dell’articolo. L’uso dell’imperativo impersonale preceduto dal non («non si dica», «non si faccia») è l’infallibile indicatore del trito moralismo fustigatore. È da capire però chi stia realmente facendo la guerra ideologica e soprattutto a chi: alla CO2 o ai cittadini?






