2020-06-21
Metodo Anm: Palamara zittito e cacciato
David Ermini, vicepresidente Csm (Ansa)
Negato il diritto alla difesa all'ex presidente del sindacato. Sospeso per cinque anni Paolo Criscuoli, già componente del Csm, per la partecipazione alla riunione all'hotel Champagne a Roma. In bilico il deputato renziano Cosimo Ferri: rischia l'espulsione.Gli hanno impedito di intervenire e perfino di depositare atti, perché la fase istruttoria era affidata al collegio dei probiviri e ieri si era già arrivati all'ultimo step, quello della decisione. Il «niet» del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (presieduto da un componente della Giunta esecutiva centrale, Marcello Basilico) al già presidente Luca Palamara e al suo difensore aveva già lasciato intuire come sarebbe andata a finire: l'associato ha commesso gravi e reiterate violazioni del codice etico e, per questo motivo, è stata decretata l'espulsione dall'Anm. Per la prima volta nella storia del sindacato delle toghe un provvedimento così drastico colpisce un ex presidente (Palamara ha guidato l'Anm tra il 2008 e il 2012). È stato affidato al vice segretario Giovanni Tedesco (Area), che fa parte anche lui della Gec (la Giunta esecutiva centrale), il compito di bagnare le polveri preparate dallo stratega delle nomine: si è alzato e ha detto a Roberto CarrelliPalombi, consigliere difensore di Palamara, che il Comitato direttivo centrale non avrebbe ascoltato né lui né il suo assistito (resta agli atti la richiesta con la quale l'incolpato chiedeva di essere sentito e di poter formalizzare il deposito di una memoria). Se gli avessero permesso di parlare si sarebbero sentiti dire che Palamara non avrebbe accettato di fare «il capro espiatorio di un sistema». «Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno nell'Inquisizione», ha commentato a caldo il pm romano. E un attimo dopo ha girato il testo del suo intervento alle agenzie di stampa. «In alcuni casi le nomine hanno seguito solo logiche di potere, nelle quali il merito viene sacrificato sull'altare dell'appartenenza». Subito dopo, però, per le toghe coinvolte ha teorizzato una sorta di «così fan tutte»: «Dei risultati virtuosi di quella esperienza consiliare (riferito al Csm, ndr) non ho la presunzione di dirmi l'artefice, ma solo un testimone. Degli altri che non hanno risposto a questa logica sento, invece, il peso della responsabilità. Che però non è soltanto mia». Dopo aver chiesto scusa il colleghi che con il sistema non hanno nulla da spartire, lo stratega delle nomine si è trasformato in Sansone e si è rivolto ai filistei: «Io non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato regole del gioco sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo». Il fulmicotone è concentrato nell'ultima pagina: «Io sono disposto a dimettermi solo se ci sarà una presa di coscienza collettiva e insieme a me si dimetteranno anche tutti coloro che hanno fatto parte di questo sistema». La riunione si era già aperta con la presa d'atto di altre dimissioni: quelle di tutti i sette componenti componenti di Magistratura indipendente più quelle di Silvia Albano di Area, dell'ex presidente Francesco Minisci e di Bianca Fieramosca di Unicost, due di loro facevano parte della giunta esecutiva. A votare per il caso Palamara erano in 29. E anche con l'Anm decimata il dibattito interno non si è placato. L'ex presidente Pasquale Grasso ha scritto via mail ai colleghi di ritenere che ieri «sia morta l'Anm». Ecco uno stralcio della sua analisi: «Ho visto dei colleghi che, senza arrossire e sviluppando ragionamenti inconsistenti dal punto di vista giuridico, hanno negato all'incolpato il diritto di rendere dichiarazioni prima della decisione. Un diritto che viene riconosciuto anche nei regimi autoritari degli Stati canaglia o dei più ignobili sistemi sociali. Un diritto che viene riconosciuto anche ai condannati a morte». Il presidente Luca Poniz prova a liquidare la questione come «una incolpazione disciplinare che riguardava un fatto specifico». Ribadisce che «Palamara non è un capro espiatorio». E che «l'Anm non ha avuto nessuna remora nel determinare la sanzione più grave». Ma sa bene di trovarsi seduto su una polveriera. Per evitare le espulsioni, gli altri esponenti del Csm coinvolti nelle intercettazioni si sono dimessi (il 27 febbraio aveva lasciato Antonio Lepre, il 29 maggio Gianluigi Morlini, il 30 maggio Corrado Cartoni e il 5 giugno Luigi Spina). I loro fascicoli sono stati chiusi con il non luogo a provvedere: le dimissioni erano state convalidate dalle giunte locali dell'Anm. In questo caso hanno votato in 23 per il non luogo a provvedere e in sei per la sospensione dell'efficacia delle dimissioni. Anche le altre decisioni hanno scosso non poco il mondo della giustizia. Per Paolo Criscuoli sono stati decisi cinque anni di sospensione. Lui ha preparato un comunicato e sparso ulteriore benzina: «Questa Anm, ormai del tutto priva di rappresentatività, dilaniata da giochi di correnti e scossa periodicamente da chat più o meno imbarazzanti, in cui il sottoscritto non è mai citato ha nuovamente dimostrato di agire in spregio del diritto di difesa». Criscuoli aveva chiesto di attendere che arrivassero all'Anm gli atti che riguardavano la sua posizione. L'ultima posizione è quella di Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia nei governi di Enrico Letta e di Matteo Renzi, ex di Magistratura indipendente di cui per anni è stato il leader, ex componente del Csm (dal 2006 al 2010) tra i più votati. Si doveva decidere se fosse o non fosse più associato all'Anm. Ferri sostiene di non essere più iscritto e di non pagare più le quote. E ha depositato un documento datato 18 giugno. Alla segreteria del sindacato delle toghe, però, risultano gli addebiti sulla busta paga anche per il mese di maggio. Quindi, contrariamente a quanto affermato davanti ai probiviri, Ferri ha continuato a pagare la sua iscrizione all'Anm. E siccome non si è dimesso e non risulta tra i morosi ma è semplicemente in aspettativa dal 2013 (nel 2016 ha anche votato per la giunta ligure dell'Anm), è stata rimandata la questione ai probiviri per una nuova valutazione. E la «gigantesca questione morale», sbandierata da Poniz in apertura di seduta, sembra essersi trasformata solo in un grande redde rationem. Almeno per ora.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
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