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2018-07-20
Metà degli strumenti negli ospedali costa e sarebbe da buttare
Istockphoto
Evidenzia una situazione paradossale il tragico caso del molisano di 47 anni morto, nei giorni scorsi, per un'emorragia cerebrale, dopo un'odissea di due mancati ricoveri e una Tac non funzionante. L'uomo, residente a Larino (Campobasso), per un malore, martedì mattina era stato trasportato, dal 118, all'ospedale San Timoteo di Termoli, ma la Tac però non funzionava perché era in manutenzione programmata. È stato quindi trasferito a San Giovanni Rotondo (Foggia) dove, in serata i medici ne hanno dichiarato la morte per aneurisma cerebrale. Il ministro della Salute, Giulia Grillo , in una nota, dichiara che invierà una task force in Molise per «accertare le inefficienze organizzative, le eventuali responsabilità personali degli operatori, ma anche gli eventuali errori causati da cattiva programmazione della politica regionale».
Il caso della Tac non funzionante mette in evidenza una situazione assurda. La sanità italiana primeggia in Europa per il numero di macchinari tecnologici per la diagnosi e cura, come si legge nell'ultimo report dell'Osservatorio Eurispes Enpam 2017. L'Italia ha 33,1 Tac per milione di abitanti: il doppio della Francia (14,5) e il quadruplo del Regno Unito (7,89). Il nostro Paese ha anche il più alto numero di macchinari per la Pet (tomografia a emissione di positroni): 174 per milione di abitanti. L'Italia ha 20 risonanze magnetiche (Rmn) per milione di abitanti: come Germania, Grecia, Finlandia, Cipro e Austria. Con una dotazione del genere, dov'è il problema? La quantità, forse, non è tutto.
«Molti strumenti sono obsoleti, non revisionati o collocati in strutture non aperte e con un utilizzo non ottimale, per carenza di personale tecnico e sanitario», si legge nel documento. Più del 50% delle apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina sono troppo vecchie o sottoutilizzate, dice l'ultimo report del Centro studi di Assobiomedica. Destano preoccupazione perché hanno più di dieci anni di vita, quindi obsoleti, «l'82% dei mammografi , il 69% di apparecchiature mobili per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi».
Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva obsoleti riducono i benefici per il paziente e non fanno nemmeno risparmiare il Sistema sanitario (Ssn). Le tecnologie più recenti infatti permettono diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell'esame e referti informatizzati.
Gli svantaggi di un apparecchiature datate si riversano sul paziente, ma anche sul Ssn, che deve far fronte a costi di manutenzione elevati e ritardi o sospensioni nell'utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti. Rinnovare il parco tecnologico in sanità richiede lo stanziamento di fondi, ma anche un cambio di mentalità. Secondo Fernanda Gellona, direttore generale di Assobiomedica, bisogna investire «sui meccanismi di rimborso, creando dei sistemi di incentivo per l'utilizzo delle nuove tecnologie e tariffe penalizzanti per i macchinari troppo vecchi. Si tratterebbe di un sistema di rimborsabilità differenziata sul modello francese, che consentirebbe una graduale sostituzione delle apparecchiature più vecchie e una progressiva introduzione di quelle tecnologicamente più innovative».
Sul cambio culturale necessario viene in aiuto anche l'Health technology assessment (Hta), sistema che valuta il valore aggiunto di una nuova procedura, di un dispositivo medico o di un farmaco innovativo, nel suo complesso. «Serve una riorganizzazione della diagnostica», osserva Marco Marchetti, direttore del Centro nazionale Hta dell'Istituto superiore di sanità, «si devono prevedere strutture territoriali con personale adeguatamente formato per sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove apparecchiature, per un migliore servizio al paziente, ma anche al Ssn». Come dimostra uno studio inglese «un sistema Hta», continua Marchetti, «può dare un rendimento del 35% a 10 anni». Dopo anni di tagli lineari sulla sanità, il nuovo governo potrebbe invertire la tendenza. «Non è possibile morire per cattiva organizzazione e sostanziale mancanza di assistenza», ha dichiarato il ministro Grillo nella nota con cui ha annunciato di voler fare luce sulla tragica vicenda del giovane molisano. L'intenzione e gli strumenti ci sono, basta ingranare, finalmente, la marcia giusta.
Maddalena Guiotto
Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio
La morte di un uomo che prima attende a lungo, troppo a lungo, un'ambulanza, essendo l'unica disponibile impegnata in altro intervento, che, poi, trasportato all'ospedale di Termoli, in Molise, non può essere sottoposto a Tac perché in manutenzione, è intollerabile, un caso di inefficienza criminale che deve muovere le autorità competenti perché siano puniti gli eventuali responsabili di questa inefficienza e perché casi del genere non accadano mai più. Perché il governo «del cambiamento» dia agli italiani il segnale che attendono.
È un tema che sento da tempo, quello dell'organizzazione dei servizi di pronto intervento, che ritorna prepotentemente a ogni nuova tragedia, inevitabilmente «annunciata», per dire che si poteva assolutamente evitare.
Rifletto sul tema dell'organizzazione dei servizi sanitari di emergenza da quando, anni fa, da procuratore regionale della Corte dei conti per l'Umbria, avviai accertamenti diretti ad individuare eventuali responsabilità di natura erariale (in conseguenza del risarcimento della vittima) in relazione alla morte di un bambino che, ferito in un incidente stradale, era stato trasportato da un ospedale all'altro della minuscola regione senza che si trovasse la struttura che avrebbe potuto riceverlo per gli interventi del caso, fino a che, all'ultimo inutile ricovero, il piccolo paziente è morto. Nel giro di poche ore in una regione che ha meno abitanti del più piccolo dei municipi di Roma si era compiuta una tragedia che poteva essere evitata solo che l'apparato amministrativo e sanitario, che impegna somme rilevanti del bilancio pubblico, fosse dotato di un minimo di organizzazione dei servizi di emergenza.
Cominciamo dalle ambulanze. In un sistema efficiente l'autorità responsabile del 118 deve sapere, minuto per minuto, quante sono le ambulanze disponibili, pubbliche e private, e dove si trovano. Comprese le autoambulanze dei corpi militari che, in caso di emergenza, debbono poter essere mobilitate. Immaginate un evento che coinvolga decine di persone, per un incidente di quelli a catena, per un attentato, per un'esplosione: ogni ferito che va ricoverato deve essere ospitato in una ambulanza diversa perché comunque diversa può essere la destinazione in relazione alla patologia da affrontare. Può accadere, dunque, che ne servano molte di ambulanze. Inoltre, mi sembra evidente che l'ambulanza, nel momento in cui raccoglie un ferito o un ammalato, debba sapere dove portarlo, non necessariamente nell'Ospedale più vicino ma nella struttura ospedaliera di emergenza adeguata alla patologia sulla quale è necessario intervenire. Il che significa che, non in teoria ma in pratica, il computer di bordo dell'ambulanza deve disporre di dati, certi ed attuali, sulla sala operatoria disponibile, sul reparto di terapia intensiva adatto a quel tipo di intervento, se un infarto, un ictus o altra patologia, sapendo che quel reparto è presidiato e che all'arrivo ci saranno i sanitari pronti ad intervenire con la rapidità necessaria. Non credo che sia una pretesa assurda. Credo che il ministro della Salute, Giulia Grillo, che ha dimostrato capacità di intervento in alcuni dei casi portati all'attenzione delle cronache, vorrà condividere queste mie considerazioni e verificare lo stato dell'arte nel settore dell'informatizzazione dei servizi di emergenza nel senso che prima ho cercato di delineare.
Aggiungo che tutto l'apparato sanitario, compresi i medici privati ed infermieri, dovrebbe essere coinvolto in caso di emergenza. Faccio un esempio estremo, ma certamente istruttivo, di un Paese che vive da sempre una condizione di speciale attenzione per il pericolo di attentati terroristici, Israele. Lì i medici sono tutti ufficiali della riserva. Ad ognuno di essi è assegnato un compito in caso di emergenza nel senso che non hanno bisogno di un ordine o di una indicazione per intervenire, ma sanno dove recarsi, in relazione alla loro specializzazione e alla loro presenza sul territorio. Non voglio fare l'esempio di un attentato, che mi auguro mai interessi l'Italia, ma credo di poter pretendere la massima attenzione delle autorità competenti nei confronti di calamità naturali, dal terremoto all'alluvione, eventi che periodicamente interessano varie regioni d'Italia.
Questo Paese ha bisogno di organizzazioni semplici ma efficienti che sovvengano i cittadini nei casi di emergenza, perché è inammissibile nel 2018 un uomo debba morire perché l'ambulanza arriva in ritardo o perché la Tac non funziona. Un minimo di organizzazione avrebbe mobilitato una diversa ambulanza alla quale sarebbe giunto il messaggio che era inutile andare a Termoli perché in quell'ospedale la Tac non funziona. Per manutenzione.
Salvatore Sfrecola
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Un uomo è morto in Molise dopo due mancati ricoveri e una Tac rotta. Eppure per numero di macchinari siamo primi in Europa.Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio.Lo speciale contiene due articoliEvidenzia una situazione paradossale il tragico caso del molisano di 47 anni morto, nei giorni scorsi, per un'emorragia cerebrale, dopo un'odissea di due mancati ricoveri e una Tac non funzionante. L'uomo, residente a Larino (Campobasso), per un malore, martedì mattina era stato trasportato, dal 118, all'ospedale San Timoteo di Termoli, ma la Tac però non funzionava perché era in manutenzione programmata. È stato quindi trasferito a San Giovanni Rotondo (Foggia) dove, in serata i medici ne hanno dichiarato la morte per aneurisma cerebrale. Il ministro della Salute, Giulia Grillo , in una nota, dichiara che invierà una task force in Molise per «accertare le inefficienze organizzative, le eventuali responsabilità personali degli operatori, ma anche gli eventuali errori causati da cattiva programmazione della politica regionale».Il caso della Tac non funzionante mette in evidenza una situazione assurda. La sanità italiana primeggia in Europa per il numero di macchinari tecnologici per la diagnosi e cura, come si legge nell'ultimo report dell'Osservatorio Eurispes Enpam 2017. L'Italia ha 33,1 Tac per milione di abitanti: il doppio della Francia (14,5) e il quadruplo del Regno Unito (7,89). Il nostro Paese ha anche il più alto numero di macchinari per la Pet (tomografia a emissione di positroni): 174 per milione di abitanti. L'Italia ha 20 risonanze magnetiche (Rmn) per milione di abitanti: come Germania, Grecia, Finlandia, Cipro e Austria. Con una dotazione del genere, dov'è il problema? La quantità, forse, non è tutto. «Molti strumenti sono obsoleti, non revisionati o collocati in strutture non aperte e con un utilizzo non ottimale, per carenza di personale tecnico e sanitario», si legge nel documento. Più del 50% delle apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina sono troppo vecchie o sottoutilizzate, dice l'ultimo report del Centro studi di Assobiomedica. Destano preoccupazione perché hanno più di dieci anni di vita, quindi obsoleti, «l'82% dei mammografi , il 69% di apparecchiature mobili per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi».Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva obsoleti riducono i benefici per il paziente e non fanno nemmeno risparmiare il Sistema sanitario (Ssn). Le tecnologie più recenti infatti permettono diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell'esame e referti informatizzati.Gli svantaggi di un apparecchiature datate si riversano sul paziente, ma anche sul Ssn, che deve far fronte a costi di manutenzione elevati e ritardi o sospensioni nell'utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti. Rinnovare il parco tecnologico in sanità richiede lo stanziamento di fondi, ma anche un cambio di mentalità. Secondo Fernanda Gellona, direttore generale di Assobiomedica, bisogna investire «sui meccanismi di rimborso, creando dei sistemi di incentivo per l'utilizzo delle nuove tecnologie e tariffe penalizzanti per i macchinari troppo vecchi. Si tratterebbe di un sistema di rimborsabilità differenziata sul modello francese, che consentirebbe una graduale sostituzione delle apparecchiature più vecchie e una progressiva introduzione di quelle tecnologicamente più innovative».Sul cambio culturale necessario viene in aiuto anche l'Health technology assessment (Hta), sistema che valuta il valore aggiunto di una nuova procedura, di un dispositivo medico o di un farmaco innovativo, nel suo complesso. «Serve una riorganizzazione della diagnostica», osserva Marco Marchetti, direttore del Centro nazionale Hta dell'Istituto superiore di sanità, «si devono prevedere strutture territoriali con personale adeguatamente formato per sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove apparecchiature, per un migliore servizio al paziente, ma anche al Ssn». Come dimostra uno studio inglese «un sistema Hta», continua Marchetti, «può dare un rendimento del 35% a 10 anni». Dopo anni di tagli lineari sulla sanità, il nuovo governo potrebbe invertire la tendenza. «Non è possibile morire per cattiva organizzazione e sostanziale mancanza di assistenza», ha dichiarato il ministro Grillo nella nota con cui ha annunciato di voler fare luce sulla tragica vicenda del giovane molisano. L'intenzione e gli strumenti ci sono, basta ingranare, finalmente, la marcia giusta.Maddalena Guiotto<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meta-degli-strumenti-negli-ospedali-costa-e-sarebbe-da-buttare-2588208862.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="questa-e-inefficienza-criminale-tocca-al-governo-porci-rimedio" data-post-id="2588208862" data-published-at="1766650055" data-use-pagination="False"> Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio La morte di un uomo che prima attende a lungo, troppo a lungo, un'ambulanza, essendo l'unica disponibile impegnata in altro intervento, che, poi, trasportato all'ospedale di Termoli, in Molise, non può essere sottoposto a Tac perché in manutenzione, è intollerabile, un caso di inefficienza criminale che deve muovere le autorità competenti perché siano puniti gli eventuali responsabili di questa inefficienza e perché casi del genere non accadano mai più. Perché il governo «del cambiamento» dia agli italiani il segnale che attendono. È un tema che sento da tempo, quello dell'organizzazione dei servizi di pronto intervento, che ritorna prepotentemente a ogni nuova tragedia, inevitabilmente «annunciata», per dire che si poteva assolutamente evitare. Rifletto sul tema dell'organizzazione dei servizi sanitari di emergenza da quando, anni fa, da procuratore regionale della Corte dei conti per l'Umbria, avviai accertamenti diretti ad individuare eventuali responsabilità di natura erariale (in conseguenza del risarcimento della vittima) in relazione alla morte di un bambino che, ferito in un incidente stradale, era stato trasportato da un ospedale all'altro della minuscola regione senza che si trovasse la struttura che avrebbe potuto riceverlo per gli interventi del caso, fino a che, all'ultimo inutile ricovero, il piccolo paziente è morto. Nel giro di poche ore in una regione che ha meno abitanti del più piccolo dei municipi di Roma si era compiuta una tragedia che poteva essere evitata solo che l'apparato amministrativo e sanitario, che impegna somme rilevanti del bilancio pubblico, fosse dotato di un minimo di organizzazione dei servizi di emergenza. Cominciamo dalle ambulanze. In un sistema efficiente l'autorità responsabile del 118 deve sapere, minuto per minuto, quante sono le ambulanze disponibili, pubbliche e private, e dove si trovano. Comprese le autoambulanze dei corpi militari che, in caso di emergenza, debbono poter essere mobilitate. Immaginate un evento che coinvolga decine di persone, per un incidente di quelli a catena, per un attentato, per un'esplosione: ogni ferito che va ricoverato deve essere ospitato in una ambulanza diversa perché comunque diversa può essere la destinazione in relazione alla patologia da affrontare. Può accadere, dunque, che ne servano molte di ambulanze. Inoltre, mi sembra evidente che l'ambulanza, nel momento in cui raccoglie un ferito o un ammalato, debba sapere dove portarlo, non necessariamente nell'Ospedale più vicino ma nella struttura ospedaliera di emergenza adeguata alla patologia sulla quale è necessario intervenire. Il che significa che, non in teoria ma in pratica, il computer di bordo dell'ambulanza deve disporre di dati, certi ed attuali, sulla sala operatoria disponibile, sul reparto di terapia intensiva adatto a quel tipo di intervento, se un infarto, un ictus o altra patologia, sapendo che quel reparto è presidiato e che all'arrivo ci saranno i sanitari pronti ad intervenire con la rapidità necessaria. Non credo che sia una pretesa assurda. Credo che il ministro della Salute, Giulia Grillo, che ha dimostrato capacità di intervento in alcuni dei casi portati all'attenzione delle cronache, vorrà condividere queste mie considerazioni e verificare lo stato dell'arte nel settore dell'informatizzazione dei servizi di emergenza nel senso che prima ho cercato di delineare. Aggiungo che tutto l'apparato sanitario, compresi i medici privati ed infermieri, dovrebbe essere coinvolto in caso di emergenza. Faccio un esempio estremo, ma certamente istruttivo, di un Paese che vive da sempre una condizione di speciale attenzione per il pericolo di attentati terroristici, Israele. Lì i medici sono tutti ufficiali della riserva. Ad ognuno di essi è assegnato un compito in caso di emergenza nel senso che non hanno bisogno di un ordine o di una indicazione per intervenire, ma sanno dove recarsi, in relazione alla loro specializzazione e alla loro presenza sul territorio. Non voglio fare l'esempio di un attentato, che mi auguro mai interessi l'Italia, ma credo di poter pretendere la massima attenzione delle autorità competenti nei confronti di calamità naturali, dal terremoto all'alluvione, eventi che periodicamente interessano varie regioni d'Italia. Questo Paese ha bisogno di organizzazioni semplici ma efficienti che sovvengano i cittadini nei casi di emergenza, perché è inammissibile nel 2018 un uomo debba morire perché l'ambulanza arriva in ritardo o perché la Tac non funziona. Un minimo di organizzazione avrebbe mobilitato una diversa ambulanza alla quale sarebbe giunto il messaggio che era inutile andare a Termoli perché in quell'ospedale la Tac non funziona. Per manutenzione. Salvatore Sfrecola
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità