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2018-07-20
Metà degli strumenti negli ospedali costa e sarebbe da buttare
Istockphoto
Evidenzia una situazione paradossale il tragico caso del molisano di 47 anni morto, nei giorni scorsi, per un'emorragia cerebrale, dopo un'odissea di due mancati ricoveri e una Tac non funzionante. L'uomo, residente a Larino (Campobasso), per un malore, martedì mattina era stato trasportato, dal 118, all'ospedale San Timoteo di Termoli, ma la Tac però non funzionava perché era in manutenzione programmata. È stato quindi trasferito a San Giovanni Rotondo (Foggia) dove, in serata i medici ne hanno dichiarato la morte per aneurisma cerebrale. Il ministro della Salute, Giulia Grillo , in una nota, dichiara che invierà una task force in Molise per «accertare le inefficienze organizzative, le eventuali responsabilità personali degli operatori, ma anche gli eventuali errori causati da cattiva programmazione della politica regionale».
Il caso della Tac non funzionante mette in evidenza una situazione assurda. La sanità italiana primeggia in Europa per il numero di macchinari tecnologici per la diagnosi e cura, come si legge nell'ultimo report dell'Osservatorio Eurispes Enpam 2017. L'Italia ha 33,1 Tac per milione di abitanti: il doppio della Francia (14,5) e il quadruplo del Regno Unito (7,89). Il nostro Paese ha anche il più alto numero di macchinari per la Pet (tomografia a emissione di positroni): 174 per milione di abitanti. L'Italia ha 20 risonanze magnetiche (Rmn) per milione di abitanti: come Germania, Grecia, Finlandia, Cipro e Austria. Con una dotazione del genere, dov'è il problema? La quantità, forse, non è tutto.
«Molti strumenti sono obsoleti, non revisionati o collocati in strutture non aperte e con un utilizzo non ottimale, per carenza di personale tecnico e sanitario», si legge nel documento. Più del 50% delle apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina sono troppo vecchie o sottoutilizzate, dice l'ultimo report del Centro studi di Assobiomedica. Destano preoccupazione perché hanno più di dieci anni di vita, quindi obsoleti, «l'82% dei mammografi , il 69% di apparecchiature mobili per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi».
Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva obsoleti riducono i benefici per il paziente e non fanno nemmeno risparmiare il Sistema sanitario (Ssn). Le tecnologie più recenti infatti permettono diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell'esame e referti informatizzati.
Gli svantaggi di un apparecchiature datate si riversano sul paziente, ma anche sul Ssn, che deve far fronte a costi di manutenzione elevati e ritardi o sospensioni nell'utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti. Rinnovare il parco tecnologico in sanità richiede lo stanziamento di fondi, ma anche un cambio di mentalità. Secondo Fernanda Gellona, direttore generale di Assobiomedica, bisogna investire «sui meccanismi di rimborso, creando dei sistemi di incentivo per l'utilizzo delle nuove tecnologie e tariffe penalizzanti per i macchinari troppo vecchi. Si tratterebbe di un sistema di rimborsabilità differenziata sul modello francese, che consentirebbe una graduale sostituzione delle apparecchiature più vecchie e una progressiva introduzione di quelle tecnologicamente più innovative».
Sul cambio culturale necessario viene in aiuto anche l'Health technology assessment (Hta), sistema che valuta il valore aggiunto di una nuova procedura, di un dispositivo medico o di un farmaco innovativo, nel suo complesso. «Serve una riorganizzazione della diagnostica», osserva Marco Marchetti, direttore del Centro nazionale Hta dell'Istituto superiore di sanità, «si devono prevedere strutture territoriali con personale adeguatamente formato per sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove apparecchiature, per un migliore servizio al paziente, ma anche al Ssn». Come dimostra uno studio inglese «un sistema Hta», continua Marchetti, «può dare un rendimento del 35% a 10 anni». Dopo anni di tagli lineari sulla sanità, il nuovo governo potrebbe invertire la tendenza. «Non è possibile morire per cattiva organizzazione e sostanziale mancanza di assistenza», ha dichiarato il ministro Grillo nella nota con cui ha annunciato di voler fare luce sulla tragica vicenda del giovane molisano. L'intenzione e gli strumenti ci sono, basta ingranare, finalmente, la marcia giusta.
Maddalena Guiotto
Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio
La morte di un uomo che prima attende a lungo, troppo a lungo, un'ambulanza, essendo l'unica disponibile impegnata in altro intervento, che, poi, trasportato all'ospedale di Termoli, in Molise, non può essere sottoposto a Tac perché in manutenzione, è intollerabile, un caso di inefficienza criminale che deve muovere le autorità competenti perché siano puniti gli eventuali responsabili di questa inefficienza e perché casi del genere non accadano mai più. Perché il governo «del cambiamento» dia agli italiani il segnale che attendono.
È un tema che sento da tempo, quello dell'organizzazione dei servizi di pronto intervento, che ritorna prepotentemente a ogni nuova tragedia, inevitabilmente «annunciata», per dire che si poteva assolutamente evitare.
Rifletto sul tema dell'organizzazione dei servizi sanitari di emergenza da quando, anni fa, da procuratore regionale della Corte dei conti per l'Umbria, avviai accertamenti diretti ad individuare eventuali responsabilità di natura erariale (in conseguenza del risarcimento della vittima) in relazione alla morte di un bambino che, ferito in un incidente stradale, era stato trasportato da un ospedale all'altro della minuscola regione senza che si trovasse la struttura che avrebbe potuto riceverlo per gli interventi del caso, fino a che, all'ultimo inutile ricovero, il piccolo paziente è morto. Nel giro di poche ore in una regione che ha meno abitanti del più piccolo dei municipi di Roma si era compiuta una tragedia che poteva essere evitata solo che l'apparato amministrativo e sanitario, che impegna somme rilevanti del bilancio pubblico, fosse dotato di un minimo di organizzazione dei servizi di emergenza.
Cominciamo dalle ambulanze. In un sistema efficiente l'autorità responsabile del 118 deve sapere, minuto per minuto, quante sono le ambulanze disponibili, pubbliche e private, e dove si trovano. Comprese le autoambulanze dei corpi militari che, in caso di emergenza, debbono poter essere mobilitate. Immaginate un evento che coinvolga decine di persone, per un incidente di quelli a catena, per un attentato, per un'esplosione: ogni ferito che va ricoverato deve essere ospitato in una ambulanza diversa perché comunque diversa può essere la destinazione in relazione alla patologia da affrontare. Può accadere, dunque, che ne servano molte di ambulanze. Inoltre, mi sembra evidente che l'ambulanza, nel momento in cui raccoglie un ferito o un ammalato, debba sapere dove portarlo, non necessariamente nell'Ospedale più vicino ma nella struttura ospedaliera di emergenza adeguata alla patologia sulla quale è necessario intervenire. Il che significa che, non in teoria ma in pratica, il computer di bordo dell'ambulanza deve disporre di dati, certi ed attuali, sulla sala operatoria disponibile, sul reparto di terapia intensiva adatto a quel tipo di intervento, se un infarto, un ictus o altra patologia, sapendo che quel reparto è presidiato e che all'arrivo ci saranno i sanitari pronti ad intervenire con la rapidità necessaria. Non credo che sia una pretesa assurda. Credo che il ministro della Salute, Giulia Grillo, che ha dimostrato capacità di intervento in alcuni dei casi portati all'attenzione delle cronache, vorrà condividere queste mie considerazioni e verificare lo stato dell'arte nel settore dell'informatizzazione dei servizi di emergenza nel senso che prima ho cercato di delineare.
Aggiungo che tutto l'apparato sanitario, compresi i medici privati ed infermieri, dovrebbe essere coinvolto in caso di emergenza. Faccio un esempio estremo, ma certamente istruttivo, di un Paese che vive da sempre una condizione di speciale attenzione per il pericolo di attentati terroristici, Israele. Lì i medici sono tutti ufficiali della riserva. Ad ognuno di essi è assegnato un compito in caso di emergenza nel senso che non hanno bisogno di un ordine o di una indicazione per intervenire, ma sanno dove recarsi, in relazione alla loro specializzazione e alla loro presenza sul territorio. Non voglio fare l'esempio di un attentato, che mi auguro mai interessi l'Italia, ma credo di poter pretendere la massima attenzione delle autorità competenti nei confronti di calamità naturali, dal terremoto all'alluvione, eventi che periodicamente interessano varie regioni d'Italia.
Questo Paese ha bisogno di organizzazioni semplici ma efficienti che sovvengano i cittadini nei casi di emergenza, perché è inammissibile nel 2018 un uomo debba morire perché l'ambulanza arriva in ritardo o perché la Tac non funziona. Un minimo di organizzazione avrebbe mobilitato una diversa ambulanza alla quale sarebbe giunto il messaggio che era inutile andare a Termoli perché in quell'ospedale la Tac non funziona. Per manutenzione.
Salvatore Sfrecola
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Un uomo è morto in Molise dopo due mancati ricoveri e una Tac rotta. Eppure per numero di macchinari siamo primi in Europa.Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio.Lo speciale contiene due articoliEvidenzia una situazione paradossale il tragico caso del molisano di 47 anni morto, nei giorni scorsi, per un'emorragia cerebrale, dopo un'odissea di due mancati ricoveri e una Tac non funzionante. L'uomo, residente a Larino (Campobasso), per un malore, martedì mattina era stato trasportato, dal 118, all'ospedale San Timoteo di Termoli, ma la Tac però non funzionava perché era in manutenzione programmata. È stato quindi trasferito a San Giovanni Rotondo (Foggia) dove, in serata i medici ne hanno dichiarato la morte per aneurisma cerebrale. Il ministro della Salute, Giulia Grillo , in una nota, dichiara che invierà una task force in Molise per «accertare le inefficienze organizzative, le eventuali responsabilità personali degli operatori, ma anche gli eventuali errori causati da cattiva programmazione della politica regionale».Il caso della Tac non funzionante mette in evidenza una situazione assurda. La sanità italiana primeggia in Europa per il numero di macchinari tecnologici per la diagnosi e cura, come si legge nell'ultimo report dell'Osservatorio Eurispes Enpam 2017. L'Italia ha 33,1 Tac per milione di abitanti: il doppio della Francia (14,5) e il quadruplo del Regno Unito (7,89). Il nostro Paese ha anche il più alto numero di macchinari per la Pet (tomografia a emissione di positroni): 174 per milione di abitanti. L'Italia ha 20 risonanze magnetiche (Rmn) per milione di abitanti: come Germania, Grecia, Finlandia, Cipro e Austria. Con una dotazione del genere, dov'è il problema? La quantità, forse, non è tutto. «Molti strumenti sono obsoleti, non revisionati o collocati in strutture non aperte e con un utilizzo non ottimale, per carenza di personale tecnico e sanitario», si legge nel documento. Più del 50% delle apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina sono troppo vecchie o sottoutilizzate, dice l'ultimo report del Centro studi di Assobiomedica. Destano preoccupazione perché hanno più di dieci anni di vita, quindi obsoleti, «l'82% dei mammografi , il 69% di apparecchiature mobili per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi».Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva obsoleti riducono i benefici per il paziente e non fanno nemmeno risparmiare il Sistema sanitario (Ssn). Le tecnologie più recenti infatti permettono diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell'esame e referti informatizzati.Gli svantaggi di un apparecchiature datate si riversano sul paziente, ma anche sul Ssn, che deve far fronte a costi di manutenzione elevati e ritardi o sospensioni nell'utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti. Rinnovare il parco tecnologico in sanità richiede lo stanziamento di fondi, ma anche un cambio di mentalità. Secondo Fernanda Gellona, direttore generale di Assobiomedica, bisogna investire «sui meccanismi di rimborso, creando dei sistemi di incentivo per l'utilizzo delle nuove tecnologie e tariffe penalizzanti per i macchinari troppo vecchi. Si tratterebbe di un sistema di rimborsabilità differenziata sul modello francese, che consentirebbe una graduale sostituzione delle apparecchiature più vecchie e una progressiva introduzione di quelle tecnologicamente più innovative».Sul cambio culturale necessario viene in aiuto anche l'Health technology assessment (Hta), sistema che valuta il valore aggiunto di una nuova procedura, di un dispositivo medico o di un farmaco innovativo, nel suo complesso. «Serve una riorganizzazione della diagnostica», osserva Marco Marchetti, direttore del Centro nazionale Hta dell'Istituto superiore di sanità, «si devono prevedere strutture territoriali con personale adeguatamente formato per sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove apparecchiature, per un migliore servizio al paziente, ma anche al Ssn». Come dimostra uno studio inglese «un sistema Hta», continua Marchetti, «può dare un rendimento del 35% a 10 anni». Dopo anni di tagli lineari sulla sanità, il nuovo governo potrebbe invertire la tendenza. «Non è possibile morire per cattiva organizzazione e sostanziale mancanza di assistenza», ha dichiarato il ministro Grillo nella nota con cui ha annunciato di voler fare luce sulla tragica vicenda del giovane molisano. L'intenzione e gli strumenti ci sono, basta ingranare, finalmente, la marcia giusta.Maddalena Guiotto<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meta-degli-strumenti-negli-ospedali-costa-e-sarebbe-da-buttare-2588208862.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="questa-e-inefficienza-criminale-tocca-al-governo-porci-rimedio" data-post-id="2588208862" data-published-at="1765569565" data-use-pagination="False"> Questa è inefficienza criminale: tocca al governo porci rimedio La morte di un uomo che prima attende a lungo, troppo a lungo, un'ambulanza, essendo l'unica disponibile impegnata in altro intervento, che, poi, trasportato all'ospedale di Termoli, in Molise, non può essere sottoposto a Tac perché in manutenzione, è intollerabile, un caso di inefficienza criminale che deve muovere le autorità competenti perché siano puniti gli eventuali responsabili di questa inefficienza e perché casi del genere non accadano mai più. Perché il governo «del cambiamento» dia agli italiani il segnale che attendono. È un tema che sento da tempo, quello dell'organizzazione dei servizi di pronto intervento, che ritorna prepotentemente a ogni nuova tragedia, inevitabilmente «annunciata», per dire che si poteva assolutamente evitare. Rifletto sul tema dell'organizzazione dei servizi sanitari di emergenza da quando, anni fa, da procuratore regionale della Corte dei conti per l'Umbria, avviai accertamenti diretti ad individuare eventuali responsabilità di natura erariale (in conseguenza del risarcimento della vittima) in relazione alla morte di un bambino che, ferito in un incidente stradale, era stato trasportato da un ospedale all'altro della minuscola regione senza che si trovasse la struttura che avrebbe potuto riceverlo per gli interventi del caso, fino a che, all'ultimo inutile ricovero, il piccolo paziente è morto. Nel giro di poche ore in una regione che ha meno abitanti del più piccolo dei municipi di Roma si era compiuta una tragedia che poteva essere evitata solo che l'apparato amministrativo e sanitario, che impegna somme rilevanti del bilancio pubblico, fosse dotato di un minimo di organizzazione dei servizi di emergenza. Cominciamo dalle ambulanze. In un sistema efficiente l'autorità responsabile del 118 deve sapere, minuto per minuto, quante sono le ambulanze disponibili, pubbliche e private, e dove si trovano. Comprese le autoambulanze dei corpi militari che, in caso di emergenza, debbono poter essere mobilitate. Immaginate un evento che coinvolga decine di persone, per un incidente di quelli a catena, per un attentato, per un'esplosione: ogni ferito che va ricoverato deve essere ospitato in una ambulanza diversa perché comunque diversa può essere la destinazione in relazione alla patologia da affrontare. Può accadere, dunque, che ne servano molte di ambulanze. Inoltre, mi sembra evidente che l'ambulanza, nel momento in cui raccoglie un ferito o un ammalato, debba sapere dove portarlo, non necessariamente nell'Ospedale più vicino ma nella struttura ospedaliera di emergenza adeguata alla patologia sulla quale è necessario intervenire. Il che significa che, non in teoria ma in pratica, il computer di bordo dell'ambulanza deve disporre di dati, certi ed attuali, sulla sala operatoria disponibile, sul reparto di terapia intensiva adatto a quel tipo di intervento, se un infarto, un ictus o altra patologia, sapendo che quel reparto è presidiato e che all'arrivo ci saranno i sanitari pronti ad intervenire con la rapidità necessaria. Non credo che sia una pretesa assurda. Credo che il ministro della Salute, Giulia Grillo, che ha dimostrato capacità di intervento in alcuni dei casi portati all'attenzione delle cronache, vorrà condividere queste mie considerazioni e verificare lo stato dell'arte nel settore dell'informatizzazione dei servizi di emergenza nel senso che prima ho cercato di delineare. Aggiungo che tutto l'apparato sanitario, compresi i medici privati ed infermieri, dovrebbe essere coinvolto in caso di emergenza. Faccio un esempio estremo, ma certamente istruttivo, di un Paese che vive da sempre una condizione di speciale attenzione per il pericolo di attentati terroristici, Israele. Lì i medici sono tutti ufficiali della riserva. Ad ognuno di essi è assegnato un compito in caso di emergenza nel senso che non hanno bisogno di un ordine o di una indicazione per intervenire, ma sanno dove recarsi, in relazione alla loro specializzazione e alla loro presenza sul territorio. Non voglio fare l'esempio di un attentato, che mi auguro mai interessi l'Italia, ma credo di poter pretendere la massima attenzione delle autorità competenti nei confronti di calamità naturali, dal terremoto all'alluvione, eventi che periodicamente interessano varie regioni d'Italia. Questo Paese ha bisogno di organizzazioni semplici ma efficienti che sovvengano i cittadini nei casi di emergenza, perché è inammissibile nel 2018 un uomo debba morire perché l'ambulanza arriva in ritardo o perché la Tac non funziona. Un minimo di organizzazione avrebbe mobilitato una diversa ambulanza alla quale sarebbe giunto il messaggio che era inutile andare a Termoli perché in quell'ospedale la Tac non funziona. Per manutenzione. Salvatore Sfrecola
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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