2025-09-18
Merz parla di difesa comune ma su carri e navi militari gli affari li fanno solo i suoi
Rheinmetall, big dei veicoli da guerra, acquista la tedesca Nvl e si allarga sulla marina. Se però Fincantieri punta i sottomarini di ThyssenKrupp, il governo si mette di traverso.All’apparenza sembra una delle tante notizie di fusioni e acquisizioni che da un po’ di mesi caratterizzano il settore europeo della difesa: la tedesca Rheinmetall prenderà la divisione navale di Nvl (Naval Vessels Lürssen), società del gruppo Luerssen dotata di quattro cantieri nel nord della Germania. Di suo potrebbe sembrare anche abbastanza naturale. Il colosso dell’industria bellica di Berlino che approfitta della situazione di difficoltà di una delle principali imprese della filiera e la porta a casa. Lürssen può focalizzare i suoi sforzi nel segmento superyacht e Rheinmetall si allarga su corvette, pattugliatori e unità per la marina tedesca. Operazione di mercato? Insomma. Il core business del gigante di Düsseldorf sono le armi aeree e da terra: produce carri armati, veicoli blindati, cannoni, munizioni di ogni calibro, tecnologie per la cyber-difesa ecc. Adesso, con l’ultima operazione ricalibra il suo baricentro sulla marina. Una svolta. Al di là della non semplice combinazione delle due aree di business, vale la pena ricordare le parole dell’ad Armin Papperger che ai suoi investitori non ha solo rivelato, senza i crismi dell’ufficialità, le cifre (alte) dell’affare, (circa 1,35 miliardi di euro), ma ha anche ammesso che la mossa è stata innescata dalla tanto temuta escalation russa che sta costringendo il Vecchio continente a moltiplicare gli sforzi bellici. Il pericolo Putin che ha fatto nascere il piano europeo. Progetto che nelle intenzioni e nelle parole di Bruxelles non dovrebbe solo basarsi sui fantomatici 800 miliardi di investimenti bellici, ma anche su operazioni transfrontaliere, acquisti comuni e processi collaborativi tra i Paesi europei. Sulla carta, appunto, perché nella realtà nulla di tutto questo succede. Se in Germania c’è un’azienda in vendita, arriva Rheinmetall e se la pappa. Mentre se, come successo, l’italiana Fincantieri manifesta l’interesse ad avere una maggiore integrazione con la divisione sottomarini di ThyssenKrupp, entra in scena il governo tedesco. Altro che collaborazione e operazioni congiunte. Come nella migliore tradizione dell’Unione Europea, quando il gioco si fa serio Berlino va per conto suo. Una dimostrazione lampante l’Italia la sta sopportando su Unicredit che da mesi ha messo nel mirino Commerzbank. «Speriamo che con il tempo», evidenziava ancora ieri l’ad Andrea Orcel, «Berlino veda la luce così come speriamo che la veda Commerzbank». Ormai da anni la Bce ammonisce il settore del credito sulla necessità di far nascere grandi player continentali che possano competere con i giganti bancari americani. A parole i protagonisti del settore si dicono altrettanto convinti, ma quando si passa ai fatti sono prima i politici a poi i manager del credito a porre il veto: «Si tratta di un’azione inaccettabile», ha sottolineato di recente il cancelliere Merz, «non coordinata, non amichevole e ostile alla Germania». Se non è una dichiarazione di guerra poco ci manca. E del resto sono le richieste dello stesso governo tedesco ad aver costretto Snam, la nostra compagnia della rete del gas, a rinviare l’acquisizione di una quota di Open Grid Europe, il più grande operatore indipendente di trasmissione di metano in Germania. La finalizzazione dell’accordo per il passaggio del 25% era prevista per settembre, ma le preoccupazioni di Berlino per la partecipazione cinese in Cdp Reti, la società che controlla Snam, hanno rallentato l’operazione. I matrimoni con Roma, evidentemente a Berlino non piacciono, altrimenti non si spiegherebbe l’asimmetria con altre operazioni in settori altrettanto strategici, ma rispetto alle quali il governo tedesco è rimasto praticamente immobile. Parliamo dell’invasione dei cinesi nelle vendite dei prodotti tecnologici. Il colosso asiatico dell’e-commerce JD.com, infatti, ha pensato bene di entrare in Europa rilevando la totalità di Ceconomy, la holding tedesca che controlla le catene MediaWorld, MediaMarkt e Saturn. L’affare, riguarda oltre 1.000 punti vendita e circa 50.000 dipendenti, e soprattutto «regala» in un colpo solo un presidio fisico capillare a uno dei più pericolosi concorrenti delle aziende europee del settore. Insomma, si tratta di un deal che rischia di condizionare nel profondo il mercato europeo e rispetto al quale il governo di Berlino non ha mosso un dito. Strano. Anche perché in Inghilterra, per esempio le cose vanno diversamente. Pochi giorni fa la catena di supermercati Sainsbury ha annunciato di aver interrotto le trattative per la cessione di Argos alla stessa JD.com. Argos è il secondo maggior rivenditore di articoli generici nel Regno Unito, con oltre 1.100 punti di ritiro, e il terzo sito web di commercio al dettaglio più visitato del Paese. Alla notizia la Borsa ha festeggiato.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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