2025-06-16
«Spodestare Khamenei resta difficile»
Ali Khamenei e Michela Mercuri in foto piccola (Ansa)
La docente ed esperta di geopolitica Michela Mercuri: «L’attacco destabilizza anche la rete diplomatica tessuta da Trump Ma un cambio di regime a Teheran può avvenire solo dall’interno. In Libia la Russia pesa sempre di più»Michela Mercuri, docente di Cultura, storia e società dei paesi musulmani all’Università di Padova e di Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano analizza con La Verità le possibili conseguenze del nuovo attacco lanciato da Israele contro l’Iran.Michela Mercuri, disturbo?«Fa caldo e io soffro di pressione bassa».Al contrario del Mediterraneo dove la pressione per definizione è sempre alta. In quanto docente ed esperta di geopolitica, sollecito una tua riflessione. Però partendo dalla geografia. Lo chiamiamo mare ma in finale è un grosso lago. «Sì, è un grosso lago, ma strategico. Il Mediterraneo racchiude l’1% dell’acqua del pianeta, ma gestisce più del 20% del traffico commerciale. E non solo quello, anche quello militare. Pensa che in questo momento storico ci sono navi della Nato, navi turche e navi della Marina militare italiana. In più, navi della Guardia costiera libica e tunisina che a volte sconfinano dalle loro acque territoriali. Ma, soprattutto, in questo momento quello che più ci fa discutere è la presenza di navi russe, a volte anche navi spia. Non è una novità, perché le troviamo nel Tirreno oltreché in altri mari. In questo momento c’è una nave in particolare che desta preoccupazione, la Baltic leader, attenzionata. Figura nella lista nera dell’intelligence americana. Un cargo battente bandiera russa diretto verso Bengasi».Di qui l’argomentazione che la minaccia russa è reale. «Va bene. C’è un grosso traffico di navi. Ma la Marina militare italiana, e in particolar modo il suo ammiraglio Enrico Credendino, quindi uno che ne sa abbastanza, ha scongiurato che la Russia possa sferrare qualche attacco. Ha escluso, cioè, un rischio imminente, anche se i russi spesso e volentieri seguono le navi della Marina militare italiana con dei pescherecci dentro cui, poi, mettono attrezzature di spionaggio. E in questo c’entra la Libia, dove cresce la presenza russa. Dopo dicembre, si è intensificato il trasferimento di tutte o parte delle armi e delle unità navali e terrestri in Cirenaica. Ciò che prima stava in Siria. È chiaro che la cosa ci può preoccupare. Semplicemente perché, in un mare piccolo e con tante navi, un “incidente” è più probabile».Che succede in Libia? «Da dove iniziamo?».Boh… «In un mese la situazione è completamente cambiata. La Libia è sempre stata più o meno divisa in due. A Ovest, dove prima c’erano vari leader come Al Sarraj e poi Dbeibah. A Est dove, sempre semplificando, c’è il generale Khalifa Haftar. Ecco, da un mese a questa parte tutto è cambiato. A Ovest c’è una lotta tra milizie. Dbeibah ha cercato di liberarsi di milizie ingombranti e scomode, come ad esempio la famosa milizia di Al-Kikli, leader della Ssa. Fatto fuori da un’imboscata da parte di una milizia fedele a Dbeibah. Si sono, quindi, svegliate altre milizie. Quando muovi una pedina inevitabilmente se ne muovono altre. Nell’Ovest libico comandano le milizie. Ti lascio immaginare tutte le conseguenze in termini di migrazioni e di gestione dei pozzi petroliferi» Quindi ora il leader è Dbeibah? «In realtà è un leader completamente sconfessato. Le milizie più importanti che ha cercato di far fuori gli si sono rivoltate contro. Non le controlla. Ci sono proteste per le strade. Manifestazioni con gente che non lo vuole più. Dbeibah, probabilmente, e dico molto probabilmente, tra qualche settimana ce lo ritroveremo riparato in Turchia. Chi lo sostituirà, non si sa. Io per le strade libiche, a Tripoli, davanti proprio alla caserma dove vive Dbeibah, ho visto molti cartelli inneggiare a Saif Al Islam Gheddafi» Grosso caos, va bene. «Poi andiamo a Est dove c’è il generale Khalifa Haftar. Sfrutta questo caos che c’è in Tripolitania e sta avanzando con l’aiuto dei russi e dei turchi che non sostengono più lo storico alleato dell’Ovest. Come aveva fatto, invece, nel 2019 quando la Turchia aveva fornito armi e mezzi per respingere l’avanzata di Haftar. Ora la Turchia sta abbandonando l’Ovest perché ha visto che il governo Dbeibah sta cadendo. Anche la Turchia ha difficoltà a gestire le milizie. Quindi sta dando centinaia se non migliaia di droni. Gli uomini a disposizione di Erdogan stanno facendo, cioè, esercitazioni congiunte con l’esercito nazionale libico di Khalifa Haftar».Haftar va forte? «Per un motivo: l’alleanza che ha con i russi. Tutti parlano della base di Sebha. Missili russi a media e lunga gittata diretti verso le coste italiane. Il segreto di Pulcinella. La Russia è presente in Libia fin dal 2014. Sfrutta gli spazi vuoti lasciati liberi dai suoi avversari, regola aurea della geopolitica. Quando Mosca si è accorta che nella Libia post-Gheddafi, in qualche modo sgretolata dall’intervento francese supportato dall’Onu, c’erano tante milizie ma anche spazi vuoti, ha intavolato un’alleanza di ferro con il generale Khalifa Haftar. Fin dal 2014 gli dà armi e piazza uno sbocco sul mare nella zona Est di Tripoli».Chiaro… «Il vero salto di qualità c’è stato però a dicembre, quando Al Jolani, sostenuto dalla Turchia, ha defenestrato in Siria Bashar Al Assad, il cui padre nel 1973 aveva dato alla Russia le basi di Latakia e Tartus. Qui i russi tenevano tutti i loro contingenti sul Mediterraneo. Uomini, flotte ed aerei. Al Jolani li ha sfrattati non rinnovando questo contratto e i russi hanno pensato bene di spostare tutto dall’amico Haftar. Tu pensa che tra il 2013 e il 2014, nel Mediterraneo, c’erano 15 navi da guerra russe che scorrazzavano liberamente e ufficialmente. Più tre sottomarini. Le immagini satellitari ci mostrano che effettivamente ci sono missili russi a media-lunga gittata nella base di Sebha. A 900 km da Tripoli e 1.000 km da Lampedusa. Poniamoci una domanda».Secondo te il governo italiano avrebbe rispedito Al Masri in Libia, in questa situazione? «No».Ah… «Al Masri fa parte di una milizia che si chiama Rada, oggetto dell’epurazione di cui parlavo prima. Mettiamola così. Non lo avrebbe rimandato in Libia perché non c’era più interesse ad averlo là. Il governo italiano ha stretti rapporti con Dbeibah».Ripartono i flussi migratori. È tutto dovuto a questo caos? «In parte sì. Quando c’è un cambio, come accade a Ovest, la milizia che conquista un centro di detenzione fa capire all’interlocutore italiano o europeo che sta aprendo i rubinetti. Per far valere il proprio ruolo e farsi riconoscere quale interlocutore. Apre per un attimo i rubinetti e ce lo fa capire. Vuole un riconoscimento politico ma anche economico. Ma c’è pure un motivo strutturale. In mezzo a proteste e disordini, il controllo dei centri dei migranti diventa più difficile. I migranti riescono a fuggire».A oggi siamo passati da 23.000 a 26.000 sbarchi circa rispetto al 2024. «Se non avessimo fatto accordi anche con Haftar e altri soggetti “importanti” della Libia, questo numero sarebbe molto, ma molto più alto. Tanto che Khalifa Haftar è venuto in Italia a parlare con il ministro Matteo Piantedosi. L’Italia sta cercando di fare accordi con Haftar. Al vertice di Lussemburgo, Francia, Malta, Grecia e Italia si sono riunite proprio per parlare di questo. Si è riaperto il dossier Libia. L’Italia sta lavorando bene, ma l’Ue si sveglia solo quando aumentano le percentuali dei migranti diretti verso l’Italia e, dunque, i movimenti secondari verso il resto dell’Europa».Insomma, Haftar prossimo leader libico… «Ha il sostegno, anche parziale, dell’Italia. Quello militare, incondizionato, dei russi. Quello della Turchia. Dialoga pure con Francia e Grecia, che stanno prendendo in mano il dossier Libia. Pure gli Stati Uniti stanno iniziando a supportarlo. Questo è fondamentale. Un mese fa la nave ammiraglia americana Gerald Ford è approdata a Bengasi. Richard Noland, inviato speciale per la Libia, assieme al capo della Sesta flotta americana, ha parlato con Haftar».Luce verde? «Sarà un caso, ma pochi giorni dopo è iniziato il tentativo di epurazione da parte di Dbeibah. Fallito, perché non poteva farcela. Ed è iniziata l’avanzata di Haftar verso Tripoli. La mia provocazione è: ha il placet degli americani ma solo se arriva fino a Tripoli?».Spostiamoci molto più a Est. Prevedi conseguenze destabilizzanti dopo l’attacco di Israele nei confronti dell’Iran? «Questo attacco risveglierà Hezbollah, gli Huthi e anche la Siria. Tutti quegli attori che in qualche modo avevano dialogato con Donald Trump. Perché ricordiamoci che Trump ha interrotto i bombardamenti nei confronti degli Huthi e ha parlato con Al Jolani le cui milizie sono fieramente antisraeliane. E aveva tentato anche, un fallimentare - per adesso - dialogo con Teheran. Chiaro che la mossa destabilizza questi tentativi diplomatici».Se Mosca aiuta Trump in questo rompicapo, l’Ucraina è definitivamente in mano a Putin? «Domanda difficile. Trump ha bisogno di Mosca per dialogare con Teheran. Va capito quanto dirimente possa essere il ruolo. Non vedo Vladimir Putin in questo momento come un attore essenziale per un dialogo con l’Iran. Quindi Putin potrebbe essere sacrificabile da questo punto di vista» È pensabile un cambio di regime a Teheran? «Difficilissimo. Un cambio di regime può venire solo dall’interno. Dalla cosiddetta società civile. Il sostegno economico e mediatico a queste proteste, che ci sono, non so se farebbe crollare il regime. Ma vacillare sicuramente».
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