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2021-11-02
Mentre noi insistiamo con i divieti il resto d’Europa torna in libertà
Ansa
Paese che vai, emergenza che trovi, o in molti casi che non trovi: mentre l'Italia si prepara a prolungare lo stato di emergenza per il Covid-19, e conseguentemente l'obbligo del green pass fino alla prossima estate, nel resto dell'Europa governi e Parlamenti agiscono o hanno agito in maniera molto diversa, al di là degli orientamenti politici degli esecutivi in carica. Lo stato di emergenza, ricordiamolo sempre, è indispensabile per poter poi, a cascata, decretare norme e leggi che limitano le libertà personali: l'obbligo del certificato verde è la più clamorosa di queste limitazioni. Un paio di esempi: il giorno in cui cesserà lo stato di emergenza, non esisteranno più alcuni organismi creati per affrontare la pandemia, come il commissario straordinario e il Comitato tecnico scientifico (istituito il 5 febbraio 2020 con ordinanza del ministero della Salute).
Lo stato di emergenza, in Italia, non può durare più di 12 mesi, prorogabili per altri 12: è stato introdotto dal governo guidato da Giuseppe Conte il 31 gennaio 2020 ed è poi stato prorogato varie volte, l'ultima a luglio 2021 da Mario Draghi, con scadenza al 31 dicembre 2021. Potrebbe quindi, in teoria, essere prorogato solo fino al 31 gennaio 2022, quando scadranno i 24 mesi, ma il Parlamento può, con una apposita legge, allungare ancora i tempi, come ha intenzione di fare il governo tramite il ministro della Salute Roberto Speranza: «Se sarà necessario prorogheremo lo stato di emergenza, non ci tireremo indietro, ma decideremo a ridosso della scadenza». Vediamo cosa succede in altri Paesi europei.
In Germania, lo stato di emergenza termina il prossimo 25 novembre, e non c'è all'orizzonte l'ipotesi di una proroga. «Non ci saranno più chiusure delle scuole, lockdown o coprifuoco», ha affermato Dirk Wiese, vicepresidente del gruppo parlamentare dei Socialdemocratici, «la pandemia deve ancora essere gestita in modo responsabile, ma le restrizioni ai diritti civili devono essere nuovamente allentate». D'accordo con lui anche la capogruppo degli ambientalisti, Katrin Goering-Eckardt, e il responsabile organizzativo dell'Fdp al Bundestag, Marco Buschmann, alleati dei Socialdemocratici in quella coalizione «semaforo», (verdi, rossi della Spd e gialli della Fpd), che si appresa a formare il nuovo governo guidato da Olaf Scholz. Uno stop che non impedirebbe comunque, attraverso la legge ordinaria per la protezione dalle infezioni, di continuare a disporre l'obbligo della mascherina per i luoghi al chiuso. L'orizzonte entro il quale abolire tutte le restrizioni è marzo 2022.
In Francia, appena giovedì scorso, il Senato ha stoppato i propositi ultra restrittivi del governo, che aveva intenzione di prorogare lo stato di emergenza, con conseguente mantenimento in vigore del passaporto sanitario, il nostro green pass, fino al 31 luglio 2022. La decisione deliberata dal Consiglio dei ministri era stata avallata dalla Camera, ma il Senato ha detto no, prorogando lo stato di emergenza sanitaria in Francia solo fino al 28 febbraio 2022, anticipando quindi di cinque mesi il ritorno alla normalità. Non solo: il Senato ha anche deciso di far rientrare di nuovo, tra i documenti che consentono di ottenere il certificato, un autotest effettuato sotto la supervisione di un operatore sanitario. Inoltre, nei dipartimenti in cui si supera la percentuale dell'80% di vaccinati, il certificato viene abolito.
In Inghilterra, lo scorso 19 luglio, il cosiddetto Freedom day, sono state revocate per volontà del premier Boris Johnson quasi tutte le restrizioni. Stadi e auditorium hanno ripreso a funzionare a pieno regime, le discoteche hanno riaperto, nei pub è tornato il servizio bar, sono stati aboliti i limiti ai raduni. Niente più obbligo di mascherina sui mezzi di trasporto e negli esercizi commerciali (il governo ha semplicemente raccomandato ai cittadini di indossarla nei luoghi molto affollati, come ad esempio le metropolitane), niente smart working obbligatorio. Nonostante le pressioni che arrivano da esperti e addetti ai lavori, Johnson non ha intenzione di passare al «piano B», che vorrebbe dire una reintroduzione di limitazioni e restrizioni.
La Spagna ha revocato lo stato di emergenza in vigore dal 9 novembre 2020 lo scorso 10 maggio 2021, lasciando alle varie Regioni la facoltà di introdurre misure di prevenzione in base all'andamento della curva epidemica. La Corte costituzionale spagnola, inoltre, ha dichiarato incostituzionale questo stato di emergenza e ha ordinato al governo centrale di Madrid, guidato dal socialista Pedro Sánchez, di rimborsare tutte le multe riscosse sia durante il primo stato di emergenza sanitaria proclamato nel marzo 2020, sia durante il secondo periodo in cui la legislazione speciale è rimasta in vigore, appunto fino al 10 maggio 2021: si tratta di più di un milione di contravvenzioni elevate a cittadini che non avevano rispettato le restrizioni.
In Norvegia, lo scorso 25 settembre sono state abolite tutte le restrizioni, compreso il distanziamento sociale, per decisione del governo guidato da Erna Solberg, sulla scia della Danimarca che aveva già preso questa decisione il 10 settembre. In Bulgaria, lo stato di emergenza terminerà il 30 novembre.
I dati provano il flop del green pass
Nonostante il green pass, la curva dei contagi ha ripreso a crescere e, mentre per le festività crollano i tamponi, aumenta sostanzialmente la pressione sugli ospedali. Ieri, il numero dei ricoveri ha fatto un balzo che non si registrava da mesi. È questo il dato più significativo del bollettino diffuso dal ministero della Salute e dalla Protezione civile. Aumenta infatti il numero dei pazienti in terapia intensiva con un saldo tra entrate e uscite di 22 persone in più rispetto a sabato. Gli ingressi giornalieri, secondo i dati del ministero della Salute, sono 33, quasi il doppio rispetto ai 17 del giorno prima. Attualmente in Italia sono 364 i pazienti ricoverati in terapia intensiva per il Covid. Crescono anche i ricoveri nei reparti ordinari di medicina e pneumologia. Ieri si sono aggiunti 109 pazienti, il numero più alto da settimane. Il giorno precedente erano stati 47 i nuovi degenti nelle corsie ordinarie. Complessivamente, negli ospedali italiani, sono attualmente presenti 2.863 persone positive al Covid e con sintomi.
Apparentemente più rassicuranti i dati su decessi e contagi, ma è il calo tipico del weekend. Sono state 20 le vittime contro le 26 di sabato, portando a 132.120 il totale dei decessi da inizio pandemia. Ieri i positivi si sono quasi dimezzati, con un calo a 2.818 contro i 4.526 del giorno prima. Dati, questi, che sono in riduzione, come del resto succede ogni fine di settimana, quando il numero dei test eseguiti si riduce. Ieri è crollato il numero dei tamponi che si è fermato a 148.725, mentre erano stati 350.170 sabato. La festività di lunedì ha messo il naso di molti lavoratori a riposo, visto che non son stati eseguiti gli ormai consueti circa 500.000 tamponi quotidiani necessari per scaricare il green pass richiesto anche per recarsi in ufficio. Colpisce però il tasso di positività, cioè il rapporto tra positivi e numero dei test eseguiti, che sale all'1,9%, pari a un +0,6% rispetto all'1,3% del giorno prima.
La curva dei contagi in Italia è tornata a salire negli ultimi giorni. E anche quella dei ricoveri. Secondo le analisi del fisico Giorgio Sestili, fondatore della pagina Facebook Coronavirus-Dati e analisi scientifiche, i casi di infezione stanno raddoppiando in Italia a intervalli di circa tre settimane, con una crescita esponenziale che procede lentamente, con un ritmo confrontabile a quello che si registrava tra la fine di settembre e i primi di ottobre 2020. Nell'ultima settimana, come segnala la Fondazione Gimbe, la curva dei contagi da Covid ha invertito la tendenza (+43% di nuovi casi) e sono aumentati anche i ricoveri (+7,5%). Questo, mentre in sette giorni si è assistito a un calo del -52,9% di nuovi vaccinati e al raggiungimento di 1,2 milioni di terze dosi. L'ennesima conferma che il green pass applicato in maniera restrittiva non solo non ferma i contagi, ma non fa incrementare nemmeno i nuovi vaccinati.
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Spagna, Norvegia, Danimarca e Inghilterra hanno abolito da tempo lo stato di emergenza. Entro fine mese seguiranno Germania e Bulgaria. Invece il nostro governo pensa di estenderlo malgrado la Costituzione.I dati provano il flop del green pass. Tasso di positività all'1,9%, il più alto da metà settembre complice il calo dei tamponi, e 109 nuovi ricoveri. Il lasciapassare è discriminatorio e non serve a bloccare i contagi.Lo speciale comprende due articoli. Paese che vai, emergenza che trovi, o in molti casi che non trovi: mentre l'Italia si prepara a prolungare lo stato di emergenza per il Covid-19, e conseguentemente l'obbligo del green pass fino alla prossima estate, nel resto dell'Europa governi e Parlamenti agiscono o hanno agito in maniera molto diversa, al di là degli orientamenti politici degli esecutivi in carica. Lo stato di emergenza, ricordiamolo sempre, è indispensabile per poter poi, a cascata, decretare norme e leggi che limitano le libertà personali: l'obbligo del certificato verde è la più clamorosa di queste limitazioni. Un paio di esempi: il giorno in cui cesserà lo stato di emergenza, non esisteranno più alcuni organismi creati per affrontare la pandemia, come il commissario straordinario e il Comitato tecnico scientifico (istituito il 5 febbraio 2020 con ordinanza del ministero della Salute). Lo stato di emergenza, in Italia, non può durare più di 12 mesi, prorogabili per altri 12: è stato introdotto dal governo guidato da Giuseppe Conte il 31 gennaio 2020 ed è poi stato prorogato varie volte, l'ultima a luglio 2021 da Mario Draghi, con scadenza al 31 dicembre 2021. Potrebbe quindi, in teoria, essere prorogato solo fino al 31 gennaio 2022, quando scadranno i 24 mesi, ma il Parlamento può, con una apposita legge, allungare ancora i tempi, come ha intenzione di fare il governo tramite il ministro della Salute Roberto Speranza: «Se sarà necessario prorogheremo lo stato di emergenza, non ci tireremo indietro, ma decideremo a ridosso della scadenza». Vediamo cosa succede in altri Paesi europei. In Germania, lo stato di emergenza termina il prossimo 25 novembre, e non c'è all'orizzonte l'ipotesi di una proroga. «Non ci saranno più chiusure delle scuole, lockdown o coprifuoco», ha affermato Dirk Wiese, vicepresidente del gruppo parlamentare dei Socialdemocratici, «la pandemia deve ancora essere gestita in modo responsabile, ma le restrizioni ai diritti civili devono essere nuovamente allentate». D'accordo con lui anche la capogruppo degli ambientalisti, Katrin Goering-Eckardt, e il responsabile organizzativo dell'Fdp al Bundestag, Marco Buschmann, alleati dei Socialdemocratici in quella coalizione «semaforo», (verdi, rossi della Spd e gialli della Fpd), che si appresa a formare il nuovo governo guidato da Olaf Scholz. Uno stop che non impedirebbe comunque, attraverso la legge ordinaria per la protezione dalle infezioni, di continuare a disporre l'obbligo della mascherina per i luoghi al chiuso. L'orizzonte entro il quale abolire tutte le restrizioni è marzo 2022. In Francia, appena giovedì scorso, il Senato ha stoppato i propositi ultra restrittivi del governo, che aveva intenzione di prorogare lo stato di emergenza, con conseguente mantenimento in vigore del passaporto sanitario, il nostro green pass, fino al 31 luglio 2022. La decisione deliberata dal Consiglio dei ministri era stata avallata dalla Camera, ma il Senato ha detto no, prorogando lo stato di emergenza sanitaria in Francia solo fino al 28 febbraio 2022, anticipando quindi di cinque mesi il ritorno alla normalità. Non solo: il Senato ha anche deciso di far rientrare di nuovo, tra i documenti che consentono di ottenere il certificato, un autotest effettuato sotto la supervisione di un operatore sanitario. Inoltre, nei dipartimenti in cui si supera la percentuale dell'80% di vaccinati, il certificato viene abolito. In Inghilterra, lo scorso 19 luglio, il cosiddetto Freedom day, sono state revocate per volontà del premier Boris Johnson quasi tutte le restrizioni. Stadi e auditorium hanno ripreso a funzionare a pieno regime, le discoteche hanno riaperto, nei pub è tornato il servizio bar, sono stati aboliti i limiti ai raduni. Niente più obbligo di mascherina sui mezzi di trasporto e negli esercizi commerciali (il governo ha semplicemente raccomandato ai cittadini di indossarla nei luoghi molto affollati, come ad esempio le metropolitane), niente smart working obbligatorio. Nonostante le pressioni che arrivano da esperti e addetti ai lavori, Johnson non ha intenzione di passare al «piano B», che vorrebbe dire una reintroduzione di limitazioni e restrizioni. La Spagna ha revocato lo stato di emergenza in vigore dal 9 novembre 2020 lo scorso 10 maggio 2021, lasciando alle varie Regioni la facoltà di introdurre misure di prevenzione in base all'andamento della curva epidemica. La Corte costituzionale spagnola, inoltre, ha dichiarato incostituzionale questo stato di emergenza e ha ordinato al governo centrale di Madrid, guidato dal socialista Pedro Sánchez, di rimborsare tutte le multe riscosse sia durante il primo stato di emergenza sanitaria proclamato nel marzo 2020, sia durante il secondo periodo in cui la legislazione speciale è rimasta in vigore, appunto fino al 10 maggio 2021: si tratta di più di un milione di contravvenzioni elevate a cittadini che non avevano rispettato le restrizioni. In Norvegia, lo scorso 25 settembre sono state abolite tutte le restrizioni, compreso il distanziamento sociale, per decisione del governo guidato da Erna Solberg, sulla scia della Danimarca che aveva già preso questa decisione il 10 settembre. In Bulgaria, lo stato di emergenza terminerà il 30 novembre. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mentre-noi-insistiamo-con-i-divieti-il-resto-deuropa-torna-in-liberta-2655476213.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-dati-provano-il-flop-del-green-pass" data-post-id="2655476213" data-published-at="1635811902" data-use-pagination="False"> I dati provano il flop del green pass Nonostante il green pass, la curva dei contagi ha ripreso a crescere e, mentre per le festività crollano i tamponi, aumenta sostanzialmente la pressione sugli ospedali. Ieri, il numero dei ricoveri ha fatto un balzo che non si registrava da mesi. È questo il dato più significativo del bollettino diffuso dal ministero della Salute e dalla Protezione civile. Aumenta infatti il numero dei pazienti in terapia intensiva con un saldo tra entrate e uscite di 22 persone in più rispetto a sabato. Gli ingressi giornalieri, secondo i dati del ministero della Salute, sono 33, quasi il doppio rispetto ai 17 del giorno prima. Attualmente in Italia sono 364 i pazienti ricoverati in terapia intensiva per il Covid. Crescono anche i ricoveri nei reparti ordinari di medicina e pneumologia. Ieri si sono aggiunti 109 pazienti, il numero più alto da settimane. Il giorno precedente erano stati 47 i nuovi degenti nelle corsie ordinarie. Complessivamente, negli ospedali italiani, sono attualmente presenti 2.863 persone positive al Covid e con sintomi. Apparentemente più rassicuranti i dati su decessi e contagi, ma è il calo tipico del weekend. Sono state 20 le vittime contro le 26 di sabato, portando a 132.120 il totale dei decessi da inizio pandemia. Ieri i positivi si sono quasi dimezzati, con un calo a 2.818 contro i 4.526 del giorno prima. Dati, questi, che sono in riduzione, come del resto succede ogni fine di settimana, quando il numero dei test eseguiti si riduce. Ieri è crollato il numero dei tamponi che si è fermato a 148.725, mentre erano stati 350.170 sabato. La festività di lunedì ha messo il naso di molti lavoratori a riposo, visto che non son stati eseguiti gli ormai consueti circa 500.000 tamponi quotidiani necessari per scaricare il green pass richiesto anche per recarsi in ufficio. Colpisce però il tasso di positività, cioè il rapporto tra positivi e numero dei test eseguiti, che sale all'1,9%, pari a un +0,6% rispetto all'1,3% del giorno prima. La curva dei contagi in Italia è tornata a salire negli ultimi giorni. E anche quella dei ricoveri. Secondo le analisi del fisico Giorgio Sestili, fondatore della pagina Facebook Coronavirus-Dati e analisi scientifiche, i casi di infezione stanno raddoppiando in Italia a intervalli di circa tre settimane, con una crescita esponenziale che procede lentamente, con un ritmo confrontabile a quello che si registrava tra la fine di settembre e i primi di ottobre 2020. Nell'ultima settimana, come segnala la Fondazione Gimbe, la curva dei contagi da Covid ha invertito la tendenza (+43% di nuovi casi) e sono aumentati anche i ricoveri (+7,5%). Questo, mentre in sette giorni si è assistito a un calo del -52,9% di nuovi vaccinati e al raggiungimento di 1,2 milioni di terze dosi. L'ennesima conferma che il green pass applicato in maniera restrittiva non solo non ferma i contagi, ma non fa incrementare nemmeno i nuovi vaccinati.
A dirlo è l’Unctad (United nations conference on trade and development), l’organismo dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo, secondo cui le misure tariffarie e le politiche industriali stanno cambiando la geografia degli scambi più di quanto ne stiano riducendo l’ammontare complessivo.
Il 2024 ha rappresentato, infatti, un punto di svolta dopo la debolezza del 2023. L’organizzazione della Nazioni Unite ha registrato per il 2024 un valore record di circa 33 trilioni di dollari di scambi globali di beni e servizi, con una crescita intorno al 3,7% (circa +1,2 trilioni). La componente servizi ha guidato l’espansione: +9% nell’anno, con un contributo di circa 700 miliardi, pari a quasi il 60% della crescita totale; i beni sono saliti di circa il 2% (+500 miliardi).
Il 2025, inoltre, consolida il quadro. Nell’aggiornamento di dicembre, Unctad stima che il commercio mondiale supererà per la prima volta i 35 trilioni di dollari, con un aumento di circa 2,2 trilioni, ossia circa il 7% in più rispetto al 2024. Di questa crescita, circa 1,5 trilioni verrebbero dai beni e circa 750 miliardi dai servizi, attesi in aumento vicino al 9%. Per il quarto trimestre 2025, la crescita rimane positiva ma più moderata: circa lo 0,5% in più per i beni e il 2% per i servizi. Nel 2026, invece, la stima è di un rallentamento causato da tensioni geopolitiche, conflitti e costi crescenti (tra cui i dazi).
Ma come i dazi hanno allora influenzato i commerci mondiali? Unctad osserva che la frammentazione geopolitica sta rimodellando i flussi e che friendshoring (delocalizzazione verso Paesi considerati amici) e nearshoring (spostamento verso Stati vicini a quello di origine) stanno rafforzandosi.
In parallelo, la crescita dei servizi rende il sistema meno vulnerabile alle tariffe sui beni. I servizi digitali, professionali e legati alle catene manifatturiere avanzate sono più scalabili, spesso regolati da standard e da norme di mercato più che da dazi doganali, e trovano domanda in fasi del ciclo economico diverse rispetto alle merci tradizionali. L’aumento più rapido dei servizi nel 2024 e nel 2025 è coerente con questa trasformazione del mix commerciale.
Unctad segnala anche un passaggio dalla crescita «di prezzo» a una crescita più «di volume» verso fine 2025: dopo due trimestri sostenuti anche da prezzi più alti, le quotazioni dei beni scambiati dovrebbero calare, e l’espansione sarà trainata maggiormente dalle quantità effettivamente commerciate.
Un ulteriore elemento di tenuta è il protagonismo delle economie in via di sviluppo. Unctad evidenzia che nel 2024 le economie emergenti hanno sostenuto gran parte della dinamica e che gli scambi Sud-Sud hanno continuato a crescere. Nel 2025 questa tendenza si è rafforzata: Asia orientale e Africa risultano tra le principali aree commerciali, mentre gli scambi tra Paesi in via di sviluppo hanno mostrato un’espansione più rapida della media globale.
I dati Unctad, insomma, non raccontano la fine della globalizzazione, ma la sua ricalibrazione. La crescita degli scambi convive con dazi più alti perché il commercio si sta spostando a Oriente, incorporando una quota crescente di servizi.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.