2022-05-21
Mentre ignoriamo il caos in Libia il petrolio da Mosca è quadruplicato
Produzione libica di greggio ai minimi. L’Italia non interviene ed è costretta ad aumentare le importazioni dalla Russia. Spunta l’ipotesi golden power sull’idroelettrico, ma rischia il conflitto con le aziende europee.È veramente difficile fermare le bocce, come si suol dire, e comprendere quale sia la strategia energetica del Paese. A parole lanciamo il percorso d’indipendenza dal gas e dall’energia russa, nei fatti ne acquistiamo di più. Vantiamo nuovi accordi con Paesi africani o del Golfo che nella realtà rimarranno sulla carta per anni. Infine, nei consessi pubblici sia il governo che le forze politiche sono tornate a sventolare la bandiera della sovranità energetica, nei fatti il ddl Concorrenza si muove nella direzione opposta. Partendo da quest’ultimo elemento di attrito (giovedì è stato convocato un Cdm straordinario per minacciare la fiducia sul ddl se non viene definito dai capigruppo entro fine mese) non si capisce perché nonostante le grane che procura e nonostante gli avvertimenti del Copasir, si voglia comunque mandare a gara le concessione idroelettriche. Non più tardi di febbraio, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, aveva invitato il governo a fare un passo indietro. La pandemia prima e ora la guerra ha insegnato che è bene tenersi strette quelle poche fonti di energia di cui disponiamo. Invece Mario Draghi ha tirato diritto. Salvo apparentemente accettare una mediazione dell’ultim’ora che rischia di essere una toppa peggiore del buco. L’ipotesi in circolazione sarebbe quella di porre il golden power sulle centrali mosse dall’acqua in modo da bloccare acquirenti indigesti. Peccato che la mossa appare come una totale contraddizione. Come si può perseguire gare e poi bloccare chi non è desiderato? Sempre che lo si possa fare, la spada di Damocle potrà valere solo per le aziende extra Ue. Sarà molto difficile poter fermare quelle comunitarie, il che ci riporta al problema iniziale. Se gli impianti idroelettrici in futuro saranno francesi o belgi o spagnoli, per noi non cambierà nulla. Sarebbe comunque una cessione di sovranità. Inaccettabile, mentre assistiamo al potere indiscriminato di chi chiude o apre i rubinetti. Esempio che viene da vicino. Da tre giorni a Tripoli si verificano nuovi scontri dopo il tentativo del premier designato Fatih Bashagha di insediarsi nella capitale con l’aiuto della brigata Nawasi. Il ministero del Petrolio e del gas del governo di unità nazionale della Libia ha invitato ieri mattina tutte le parti che hanno causato la sospensione delle esportazioni petrolifere a dare priorità agli interessi del Paese, considerando che gli idrocarburi forniscono l’unica fonte di reddito dello Stato. Nel comunicato si sottolineano le «conseguenze tecniche» della chiusura del petrolio e dell’alto costo quotidiano causato dalla sospensione delle esportazioni. Le esportazioni di petrolio in Libia sono scese ad aprile 2022 al livello più basso da ottobre 2020, a causa delle chiusure attuate dai manifestanti nei porti petroliferi nella Mezzaluna petrolifera. Adesso la produzione non supera i 650.000 barili al giorno. Solo l’anno scorso era più del doppio. Eppure non si è levata nemmeno una voce dal nostro governo. Nessun appello. Né tanto meno la decisione di intervenire politicamente, figuriamoci militarmente. Così facendo si rende necessario un accaparramento scriteriato anche da Mosca. L’export di greggio russo verso l’Italia è quadruplicato rispetto allo scorso febbraio. E due terzi di questo flusso arrivano nel porto siciliano di Augusta, dove attraccano le petroliere che riforniscono l’impianto di raffinazione dell’Isab di Priolo, società controllata dalla russa Lukoil. «Questo mese», si legge nell’articolo del Financial Times, «la Russia ha esportato circa 450.000 barili al giorno di greggio verso l’Italia, il quantitativo più alto dal 2013». Il quotidiano riporta le affermazioni di Simone Tagliapietra, esperto del think-tank di Bruegel, il quale si limite a spiegare il rischio di chiusura e gli effetti sull’indotto. «L’impianto Isab di Priolo e il suo indotto sono la principale fonte di occupazione nell’area e se dovesse scattare l’embargo la raffineria resterebbe a secco e sarebbe costretta a chiudere. In questo caso», ha concluso Tagliapietra in considerazione dell'impatto sulla sicurezza energetica e i posti di lavoro, potrebbe essere necessario procedere a una temporanea nazionalizzazione di questi asset». In realtà sarebbe una finta soluzione. O soltanto una toppa temporanea. Finché non si avvia un piano di rilancio che tenga conto della Libia, le dichiarazioni rischiano di rimanere sempre campate per aria. La partnership con la Libia sarebbe l’unica a poter garantire un rapporto di vero outsourcing e non di dipendenza. Per fatti storici e di influenza politica. O meglio, bisognerebbe tornare a dieci anni fa. La Francia non sembra più essere in grado di operare. I soli che potrebbero fermare i russi sarebbero i turchi. Una svolta a 180 gradi e di difficile realizzazione. Ma qualcosa bisogna fare. Altrimenti l’allargamento della nato a Svezia e Finlandia comporterà altro disimpegno a Sud. E per noi sarebbe un’altra brutta notizia.
Charlie Kirk (Getty Images)