2018-07-25
Altri richiedenti asilo che menano e stuprano
A Reggio Emilia un aspirante profugo ha selvaggiamente picchiato e violentato una ragazza di 24 anni. A Piacenza, invece, la vittima ha appena 9 anni. Per loro nessuno sfila con le magliette rosse.Nel 2018 sono 11.902 le persone soccorse dai nordafricani, contro le 5.587 degli attivisti catenaccio 16 punti catenaccio catenaccio catenaccio catenaccio.Lo speciale contiene due articoliPer loro nessuno fa appelli. Nessuno sfila o firma editoriali indignati, nessuno indossa magliette rosse come il sangue. Eppure il sangue scorreva eccome sul volto della ragazza italiana di 24 anni che è stata massacrata di botte e stuprata da un richiedente asilo ucraino a Reggio Emilia. E scorrevano le lacrime sul visino della bimba nigerina di 9 anni che un altro richiedente asilo ha molestato in un centro profughi di Piacenza. Sangue e lacrime, e nemmeno un intellettuale, uno scrittore, un attore di seconda fascia o un poetastro d'accatto che se ne faccia carico. A Reggio Emilia, benché lo sport nel nostro Paese non abbia mai sfondato, c'è un grande stadio di baseball. Attorno, uno spruzzo di verde e un po' di case. Zona apparentemente tranquilla in una città apparentemente placida. Lì si trova via Petit Bon, dove domenica sera è stata aggredita una ragazza di 24 anni. Era uscita di casa alle 20.30, subito dopo cena. I genitori l'hanno salutata sereni: «Vado a fare una passeggiata», ha detto prima di chiudere la porta. Papà e mamma se la sono ritrovata davanti poco meno di mezz'ora dopo. «Aveva il volto coperto di sangue», ha detto la madre al Resto del Carlino, «piangeva e tremava, era in stato confusionale. Pensavamo che avesse avuto un incidente stradale. Poi ci ha detto: mi hanno violentata». Tutto è accaduto in fretta. La giovane è uscita, si è avviata per la strada, e un uomo le è saltato addosso da dietro. È sbucato dal nulla, l'ha presa alla sprovvista, l'ha trascinata dietro un cespuglio e l'ha riempita di botte. L'ha stuprata. Poi, veloce com'era apparso, è sparito. La ragazza ha passato ore all'ospedale. Ha il naso rotto, il labbro spaccato, il collo coperto di lividi. Sul resto del corpo, i rovi le hanno scavato la carne. «Guardi come me l'hanno ridotta», ha sussurrato la madre a una cronista. «Mia figlia non potrà mai dimenticare, le ha rovinato la vita», dice il padre. Il violentatore è stato fermato ieri mattina alle 7. Se ne stava nascosto nei pressi dello stadio di baseball, fra gli alberi. Era bello tranquillo a bivaccare. Si chiama Miroslav Prayzner, ha 26 anni, e viene dall'Ucraina. Ha un permesso di soggiorno temporaneo, e ha fatto richiesta d'asilo alla Questura di Reggio Emilia. Ha persino un lavoro in un'azienda locale, ma vive come gli pare. Dorme talvolta da conoscenti, altre volte per strada. Il 18 luglio si era presentato in ospedale per farsi curare una profonda ferita sul volto: se l'era procurata crollando al suolo mentre era gonfio di alcol. L'hanno riconosciuto proprio grazie a quello sfregio. Quando l'hanno preso, aveva addosso la maglietta della sua ditta, con tanto di logo. Orrida casualità: era una maglietta rossa, proprio come quelle che hanno indossato i tifosi dell'accoglienza preoccupati per la sorte dei migranti. Luca Vecchi, sindaco reggiano del Pd, qualche settimana fa celebrava l'Italia multiculturale, ora chiede «espulsione immediata» per lo stupratore «qualora sussistessero i presupposti di legge». Forse dovrebbe parlarne con il segretario del suo partito, Maurizio Martina, che il 7 luglio si è presentato all'assemblea piddina con la t-shirt scarlatta d'ordinanza. Potrebbe ricordargli che le conseguenze dell'accoglienza senza limiti sono anche queste: botte e violenze sessuali. Da Reggio ci spostiamo un poco più a nord, sempre restando in Emilia. Ci fermiamo a Piacenza, dove ieri è stato arrestato dalla polizia un altro richiedente asilo. È un uomo di 24 anni, arrivato dal Mali. È accusato di violenza sessuale aggravata. Dimorava in una struttura d'accoglienza, assieme ad altri aspiranti profughi. Ora, invece, si trova al carcere delle Novate su disposizione del gip. A chiamare gli agenti è stata una donna che si trovava nel medesimo centro. Ha raccontato che il ventiquattrenne ha ripetutamente palpeggiato sua figlia, una bimba di appena 9 anni. Madre e figlia sono originarie del Niger, anche loro sperano di restare qui. Nel frattempo, però, hanno dovuto sopportare le molestie di un loro vicino di letto. Al maliano è stato negato lo status di rifugiato politico, e vedremo come si risolverà la sua vicenda. Di sicuro c'è, per adesso, lo squallore dell'ennesima storia di degrado e disumanità. Abbiamo perso il conto, ormai, di tutti i casi analoghi che abbiamo raccontato. Pugno dopo pugno, stupro dopo stupro, aggressione dopo aggressione. Sempre a Piacenza, pochi giorni fa, una barista cinese è stata assalita e stuprata ripetutamente da un pregiudicato romeno di 34 anni, poi arrestato a Milano. A Mestre, invece, altri richiedenti asilo (nigeriani) hanno ucciso una decina di giovani tossicodipendenti rifornendoli di eroina killer. Di vicende del genere ne vediamo quasi ogni settimana. E non da oggi, ma da anni. Sono i «danni collaterali» dell'immigrazione di massa, quelli che i profeti dell'accoglienza preferiscono ignorare, dedicandosi a combattere «razzismo» e «xenofobia». Solo che il razzismo, qui, non c'entra niente. Il richiedente asilo stupratore di Reggio Emilia è un europeo, il molestatore di bimbe a Piacenza è africano. Non conta il colore della pelle, o il Paese di provenienza. Non conta nemmeno la nazionalità delle vittime. Conta eccome, però, ciò che tutte queste violenze vomitevoli hanno in comune: sono crimini dell'immigrazione. Ed è ora di dire che, di fronte a questi orrori, chi tace è complice. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mentre-aspettano-lasilo-stuprano-e-molestano-giovani-donne-e-bambine-2589602716.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-guardia-costiera-libica-ha-salvato-piu-immigrati-in-mare-delle-ong" data-post-id="2589602716" data-published-at="1757507835" data-use-pagination="False"> La Guardia costiera libica ha salvato più immigrati in mare delle Ong Secondo Matteo Salvini, l'accusa di aver lasciato morire in mare i migranti lanciata dalla Ong Open Arms nei confronti della Guardia costiera libica è «una follia». Non lasciano appello le dichiarazioni del ministro dell'Interno, intervenuto ieri a margine delle celebrazioni della scuola antincendio di Roma. Salvini si è detto soddisfatto dei libici, difendendone ancora una volta l'operato coerentemente a quanto fatto nelle ultime settimane. La battaglia tra il governo italiano e le Ong non si combatte solo in mare, ma anche e soprattutto a livello mediatico. Gli scambi di accuse reciproche sono all'ordine del giorno ma l'opinione pubblica sta dalla parte del leader del Carroccio. Lo dimostra il sondaggio Demos&Pi pubblicato a fine giugno, secondo il quale sei italiani su dieci sono d'accordo sulle politiche del governo in materia di immigrazione, e le freschissime intenzione di voto Swg rese note lunedì, che danno la Lega al 30,7%. Ma Salvini non ha dalla sua solamente i cittadini. Stando ai dati che la Verità ha potuto visionare, dei 24.493 migranti soccorsi in mare da gennaio a oggi, ben 11.902 sono stati salvati proprio dalla Guardia costiera libica, pari al 48,6% del totale. L'anno scorso i guardiani del mare nordafricani si erano fermati a 2.886 migranti soccorsi, ovvero il 16,3%. Nel 2018 dunque le persone intercettate dai libici sono state il triplo dell'anno precedente. Se guardiamo alle Ong, invece, gli individui soccorsi nel 2018 sono stati 5.587, un migliaio in meno rispetto al 2017. Sommando i salvataggi della Guardia costiera libica, di quella italiana e della nostra Marina militare otteniamo un totale di 15.372 persone, pari al 63%. Ancora più impressionanti le statistiche delle ultime settimane. Dei 5.246 migranti soccorsi dal 17 giugno al 22 luglio, 4.317 hanno coinvolto la Guardia libica e solo 929 altri soggetti (comprese le Ong). Dal 17 giugno ci sono state quasi sempre dalle due alle tre nordafricane in mare, che di fatto hanno quasi azzerato il traffico migratorio dalla Libia verso l'Italia. Numeri che sembrano dunque dare ragione a Matteo Salvini, che sempre ieri ha dichiarato che «la Guardia costiera libica, se lasciata libera di operare, addestrata da militari italiani con mezzi italiani, sta salvando migliaia di vite». Come ha giustamente osservato Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it, nell'editoriale pubblicato una settimana fa sul Messaggero e Il Mattino, «la posta in gioco è alta: dimostrare che la Libia non può essere un porto sicuro e far così riprendere i flussi illegali verso l'Italia impedendo la chiusura di quell'autostrada del crimine rappresentata dalla rotta libica». «Eppure», prosegue Gaiani, «ripristinare il controllo sulle frontiere nazionali, prerogativa di ogni Stato che voglia dirsi tale, dovrebbe essere nell'interesse di tutti anche per ragioni di sicurezza e ordine pubblico». L'aumento dei morti, denunciato da un rapporto dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, secondo Salvini è il «colpo di coda degli scafisti che vedono che il business sta finendo e usano gommoni già sgonfi e barconi in condizioni disperate. Sono delinquenti e assassini come del resto chi li aiuta». Quella delle barche malmesse è una tesi confermata anche dallo stesso Gaiani, che sempre nello stesso editoriale ammette che «ora che Roma ha chiuso i porti alle navi delle Ong, che raccoglievano i migranti illegali a breve distanza dalle coste libiche, i trafficanti sembrano voler sostituire almeno in parte i poco affidabili gommoni con i barconi in legno, più capienti e con un'autonomia utile a raggiungere Lampedusa ma a rischio di ribaltamento per il sovraccarico». Una situazione analoga provocò il 3 ottobre 2013 una delle più gravi tragedie del Mediterraneo, con la morte di oltre 360 persone nei pressi di Lampedusa. Ormai è chiaro che la partita si gioca tutta tra le Ong, che vorrebbero continuare a fare la spola tra le nostre coste e quelle nordafricane, e il governo, che invece punta a bloccare alla fonte il problema. L'emigrazione è un diritto fondamentale, ma in tempi come questi forse vale la pena riportare alla luce le parole di Benedetto XVI che nel 2013, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, rivendicò piuttosto il «diritto a non emigrare cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». Antonio Grizzuti
Il ministro della Giustizia carlo Nordio (Imagoeconomica)