2022-10-04
Meno tasse, anzi no. Truss costretta a fare dietrofront
Salta il taglio alle imposte per i ricchi promesso dalla premier. A pesare le divisioni tra i conservatori e la reazione dei mercati.Momento delicatissimo per Liz Truss e il suo ministro dell’Economia Kwasi Kwarteng. Si ricorderà che nei giorni scorsi la nuova inquilina di Downing Street e il suo cancelliere dello Scacchiere avevano messo in campo un’operazione assai significativa: un mega sostegno alle imprese contro il caro energia (150 miliardi di sterline, cioè oltre 170 miliardi di euro complessivamente stanziati), con il 50% delle bollette coperte per sei mesi; un pacchetto energia impressionante (semaforo verde alle trivellazioni nel Mare del Nord, al nucleare e pure al fracking, cioè alla tecnica di estrazione di risorse naturali dalle rocce); il disinnesco di una raffica di aumenti fiscali che erano stati stabiliti dal precedente esecutivo; e infine la rimozione dell’aliquota più alta (45%) per le fasce di reddito più elevate, secondo una logica volta a incoraggiare anche i più abbienti ad aumentare la propensione al consumo. Un po’ per qualche (non lieve) errore di comunicazione, un po’ per la demagogia dei laburisti (che hanno aggredito quest’ultima scelta), un po’ per la reazione dei mercati (effettivamente molto pesante, con riverberi assai negativi sulla sterlina), e soprattutto per una notevole debolezza della Truss e di Kwarteng nel loro gruppo parlamentare, ieri si è registrato un parziale dietrofront. Ieri mattina, infatti, Kwarteng ha dovuto fare il seguente annuncio, sia per iscritto sia a Radio 4: «Abbiamo capito e abbiamo ascoltato». E ancora: «L’abolizione dell’aliquota del 45% è diventata una distrazione» rispetto alla missione complessiva di questa prima manovra. Per questo, quell’aliquota non cambierà: «Questo ci permetterà di focalizzarci nella realizzazione delle parti più importanti del nostro pacchetto pro crescita». E in effetti il resto delle misure rimane notevolissimo e positivo. Nel pomeriggio, parlando alla conferenza annuale dei Tories, il ministro ha ribadito: «Sì al taglio delle tasse, ma l’intervento sui più abbienti era distraente rispetto a ciò che stiamo facendo contro le bollette». Il guaio è che però la Truss era andata in tv alla Bbc a dire che avrebbe tenuto il punto pure sul taglio dell’aliquota più elevata (al massimo aveva concesso che la comunicazione avrebbe potuto essere preparata in modo migliore), e dello stesso tenore era stato un suo intervento sul Telegraph, il giornale che più l’aveva sostenuta nell’intervento antitasse. Va detto che, tra i due grandi quotidiani di tradizione conservatrice, si era da subito registrata una differenziazione: il Times, che aveva sempre sostenuto lo sfidante della Truss, l’ex ministro dell’Economia Rishi Sunak, aveva dall’inizio guardato con diffidenza alla «Trussonomics», mentre il Telegraph, di orientamento più nettamente thatcheriano, aveva significativamente incoraggiato il primo ministro. Ancora ieri, in un editoriale, si leggeva: «Liz Truss is not for turning», citando testualmente la celebre frase di Margaret Thatcher («la signora non fa marcia indietro»). L’altro ieri, sempre il Telegraph aveva invitato i parlamentari a dare al premier «pieno supporto» e la Truss a «tenere i nervi saldi». E la stessa Truss, sul quel quotidiano, aveva spiegato in modo articolato e convincente tutto il suo piano, volto a contrastare quello che aveva efficacemente definito un destino di «lento declino economico».E invece, nonostante i colloqui individuali di Kwarteng con i parlamentari ribelli per convincerli, la retromarcia è arrivata nel giro di 24-36 ore. Gli ottimisti (nel senso dei sostenitori della Truss e di Kwarteng) diranno: non c’era altra scelta. Il gruppo parlamentare avrebbe attenuato o addirittura simbolicamente votato contro quella misura (l’ex ministro Michael Gove aveva già preannunciato il suo no), e dunque Downing Street ha necessariamente dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Ad esempio, il Business Secretary Jacob Rees-Mogg ha definito «non significativa» questa retromarcia. I pessimisti, al contrario, sosterranno che l’atto stesso della retromarcia rischia di minare l’autorevolezza della Truss. Va sottolineato che, al momento dell’insediamento del primo ministro, i sondaggi vedevano i conservatori molto indietro rispetto ai laburisti, e che quindi il compito della Truss era e resta estremamente arduo: affrontare una crisi economica devastante, farlo non avendo il totale controllo del gruppo parlamentare, e farlo a partire da una popolarità personale tutta da costruire. La Truss, giova ricordarlo, nella gara alla successione di Boris Johnson, aveva stravinto tra gli iscritti, ma aveva perso tra i parlamentari. Non solo: al momento della formazione del suo esecutivo, aveva tenuto fuori i sostenitori di Sunak. Il partito conservatore britannico, noto per la durezza spietata delle sue battaglie politiche interne, ha fornito una reazione prevedibile: alla prima occasione, la Truss è stata messa alle strette, e ha simbolicamente ceduto. A peggiorare le cose, va sottolineata l’assenza di molte figure di primissimo piano alla conference annuale dei Tories (dove oggi parlerà la stessa Truss): non partecipa Sunak e non partecipa nemmeno Boris Johnson, che, come si ricorderà, all’atto delle sue dimissioni, citò Cincinnato, evocando neanche troppo subliminalmente la prospettiva di dover un domani essere richiamato.