2021-11-23
La Meloni dà la sveglia sul Patto del Quirinale
La Lega più possibilista sull'intesa con Parigi: serve una sponda mediterranea contro i falchi dell'austerità dei Paesi nordici. Fdi, più bellicoso, boccia la scarsa trasparenza e avverte Emmanuel Macron: l'autonomia strategica dell'Ue solo all'interno della Nato.Numerosi capitoli top secret. Ma la stampa aspetta ad alzare il dito solo a cose fatte.Lo speciale contiene due articoli.Si avvicina il 25 novembre, data in cui Emmanuel Macron si recherà a Roma per firmare il fatidico Trattato del Quirinale: un'intesa che dovrà rafforzare i legami tra Italia e Francia, ma la cui penuria di dettagli sta creando non poca preoccupazione. Come evidenziato venerdì da Claudio Antonelli sulla Verità, tra i fronti maggiormente problematici figurano quello ambientale e quello bancario. Senza poi trascurare le incognite relative al settore della Difesa. Inoltre, su queste colonne, Carlo Pelanda, pur non dicendosi aprioristicamente contrario, ha esortato a fare molta attenzione, mettendo in evidenza l'impazienza mostrata dallo stesso Macron per siglare l'intesa. Ora, questo tipo di dialettica sta attraversando attualmente il centrodestra italiano: una compagine che, pur nelle sue articolazioni, era un tempo relativamente compatta nella sua freddezza nei confronti della Francia (si pensi soltanto al caso del trattato di Caen), ma che oggi presenta invece delle posizioni più variegate.Nonostante qualche malumore interno, la Lega è attualmente aperturista verso il Trattato del Quirinale. Ad intervenire sulla questione, è stato il responsabile esteri del partito, Lorenzo Fontana. «In questo momento il nostro interesse più immediato è quello di rilanciare la discussione con la Francia», ha dichiarato. Un ragionamento, questo, che Fontana ha sviluppato su due binari. Il primo è quello volto a creare un fronte comune tra Roma e Parigi contro la Germania. «Di qui a breve i Paesi del Nord ricominceranno a battere sul tema dell'austerità», ha detto. «Per noi, sarebbe un disastro, abbiamo bisogno di accompagnare la ripresa senza sbalzi e senza stop». In tal senso, la linea del Carroccio è giustificata dal fatto che molto probabilmente nel nuovo governo tedesco il dicastero delle Finanze sarà affidato al liberale Christian Lindner: un falco che, sotto il profilo delle politiche economiche, non sembra essere troppo intenzionato a venire incontro agli interessi dell'Italia. Il secondo binario del ragionamento di Fontana riguarda invece la politica estera, con particolare riferimento al Mediterraneo. «È utile», ha detto, «un accordo con un altro Paese che ha grandi interessi nell'area, anche se in prospettiva sono confliggenti con quelli dell'Italia». Se la Lega non chiude quindi alla firma del Trattato del Quirinale, più severa appare invece la posizione di Fratelli d'Italia. «Ricordo», ha detto a tal proposito Giorgia Meloni alla Verità, «che siamo una Repubblica parlamentare: mi corre quindi l'obbligo di chiedere perché il Parlamento della Repubblica italiana non sappia niente di questo accordo. Che cosa si è impegnata a fare esattamente l'Italia nei suoi accordi con la Francia? Voi non ritenete che in una nazione normale, prima di andare a siglare un accordo del genere, il Parlamento dovrebbe essere almeno informato? Poi magari l'accordo verrà ratificato dopo, ma nelle nazioni normali di solito queste cose si discutono prima. Questo non mi è piaciuto». Su dossier che si intersecano con la Francia, la Meloni è intervenuta anche ieri in occasione dell'evento, organizzato dalla fondazione Farefuturo, Countering China's influence in Europe and Italy. «L'autonomia strategica dell'Unione non può però essere considerata un'alternativa alla Nato ma un elemento che deve rafforzarne l'alleanza», ha dichiarato. «Penso sia chiaro a tutti come oggi non si discuta di un esercito europeo ma di una Difesa europea, anzi di una Difesa degli europei. La visione di chi come noi ha sempre creduto nell'Europa delle patrie», ha aggiunto, chiedendo poi al governo una messa in discussione della Nuova via della seta.Ora, pur distanti, i ragionamenti di Meloni e Fontana poggiano entrambi su considerazioni corrette. La Meloni pone giustamente un tema di trasparenza in una materia delicata come quella di cui si occupa il Trattato del Quirinale, mettendo tra l'altro in guardia dalle smanie competitive della Francia: una Francia che effettivamente in questi anni non si è mostrata troppo amichevole con l'Italia su vari dossier (dall'immigrazione, all'industria, passando per un certo doppiogiochismo sulla Libia). Dall'altra parte, Fontana mette correttamente in risalto il tema di un governo tedesco che si avvia probabilmente a invocare una linea economica svantaggiosa per Roma: una Roma che deve quindi cercare di disarticolare l'asse franco-tedesco, giocando di sponda con Parigi nel nome di una comune avversione alle politiche di austerità di matrice teutonica. L'Italia, in altre parole, dovrebbe approfittare dell'uscita di scena di Angela Merkel per rilanciare una cooperazione con la Francia. La domanda da porsi quindi è: la «dottrina Meloni» e la «dottrina Fontana» possono trovare un punto di convergenza? Non è facile. Un primo ostacolo risiede banalmente nel fatto che Lega e Fratelli d'Italia sono una al governo e l'altro all'opposizione. Un secondo nodo è inoltre rappresentato da uno stato di competizione che si è man mano sviluppato tra i due partiti nel corso dei mesi. Eppure proprio il Trattato del Quirinale potrebbe costituire un'occasione di riavvicinamento. E non stiamo parlando di astratte convergenze parallele. Cogliere le opportunità dell'intesa, non significa doverla accettare a scatola chiusa. Riconoscere le mire talvolta ostili di Parigi, non significa che non possa esserci cooperazione su interessi comuni. Perché la chiave di volta per risolvere il dilemma è alla fine solo una: la tutela dell'interesse nazionale. Ed è proprio da questa bussola che dovrebbe forse ripartire un centrodestra unito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-sveglia-patto-quirinale-2655776947.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sul-trattato-i-media-si-scuotono-solo-allultimo-per-non-disturbare" data-post-id="2655776947" data-published-at="1637626230" data-use-pagination="False"> Sul Trattato i media si scuotono solo all’ultimo per non disturbare Mancano soltanto due giorni alla firma del Trattato del Quirinale del quale si sa molto poco. Da settimane La Verità è impegnata a scovare informazioni con l'obiettivo di far emergere dettagli e strategie al momento tutte coperte da silenzio istituzionale. Il documento mira nel suo complesso a definire per il futuro una cooperazione bilaterale rafforzata tra i due Paesi sui temi della Difesa, industria, giustizia, affari esteri ed europei, energia e persino gestione dei confini. Al trattato vero e proprio sarà poi affiancato un «Programma di lavoro», che Parigi ha chiamato «Feuille de route» quando lo scorso giugno ha inviato la sua controproposta direttamente al Quirinale. A partire da agosto, in collaborazione con la Farnesina, sono partiti i tavoli su tutte le tematiche tranne quella della cooperazione spaziale di cui si è cominciato a discutere solo a settembre. Per capirsi, la colonna dorsale di tutto l'impianto servirà a creare percorsi di cooperazione così rigidi che qualunque governo ci sarà a Palazzo Chigi nei prossimi anni sarà ininfluente. Ecco perché bisogna alzare le antenne e domandarsi perché le trattative sono praticamente un segreto di Stato. Il parlamento non è coinvolto, tanto meno le altre istituzioni, per non dire gli italiani. Il Trattato, infatti, include di per sé un rischio di massima. Perché legarsi a doppio filo con la Francia se esistono già i trattati europei? Tra i punti che risultano ancora da definire c'è l'intero paragrafo che riguarda gli Accordi di Parigi. Gli uomini di Emmanuel Macron chiedono di inserire un esplicito riferimento al sostegno che le parti dovrebbero perseguire affinché l'Accordo di Parigi sia elemento essenziale in tutti gli accordi di commercio e investimento conclusi dall'Ue. Scherziamo? Il nostro Paese dovrebbe impegnarsi a rendere il quadro normativo internazionale, che piace ai francesi, di fatto una legge soprastante non solo alle logiche italiane ma anche a quelle dell'intera Unione. Con il risultato che finiremmo a tagliare il ramo su cui molte aziende italiane siedono quando trattano con gli Usa o anche con altri partner asiatici che delle tematiche ambientali hanno una visione diversa. Sempre i francesi, a giugno scorso, hanno chiesto un percorso blindato di aggiornamento del «Programma di lavoro». Dalla proposta inviata a Parigi durante l'estate, l'Italia chiede invece formati ristretti di consultazione senza la necessità di prevedere un obbligo di risultato da cristallizzare con un ulteriore obbligo giuridico. I francesi sembrano insistere. Qui la speranza è che intervenga Palazzo Chigi o direttamente Mario Draghi. A quanto risulta dieci giorni fa, in occasione della conferenza sulla Libia a Parigi, i due si sono incontrati in una sessione in solitaria. Né sherpa né assistenti e avrebbero affrontato il tema senza filtri. Non è un caso che nel momento in cui scriviamo la maggior parte dei ministeri non sia stata informata, se non in relazione a generici bullet point come si dice in gergo. Fino all'altro giorno nessun giornale italiano è voluto intervenire sul tema. A parte La Verità e il gruppo Class totale silenzio. Ieri si è svegliato il Corriere sottolineando che qualche osservatore avrebbe messo in collegamento il Trattato del Quirinale e le frizioni francesi attorno a Tim. Viene da dire benvenuti. Ma al tempo stesso da interrogarsi sul ruolo della stampa. Far finta di nulla fino a che le cose sono decise significa rinunciare a priori a disturbare chi manovra. Il ruolo della stampa è invece l'esatto opposto. Chiedere, assillare e disturbare non sono l'essenza di una democrazia funzionante?
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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