2022-10-11
Meloni alle prese con lo scoglio Mef. Siniscalco prova ad autocandidarsi
Domenico Siniscalco e Fabio Panetta (Imagoeconomica)
Fabio Panetta ha ribadito anche al Quirinale il suo no. E l’ex ministro cerca di approfittare della difficoltà a trovare un nome inattaccabile per il Tesoro. Ma sulle sue ambizioni pesano gli scandali Morgan Stanley e Rai.Il centrodestra discute ancora sul ruolo da dare a Licia Ronzulli, tema su cui Silvio Berlusconi non fa passi indietro. Riccardo Molinari e Ignazio La Russa favoriti alla presidenza di Camera e Senato.Lo speciale contiene due articoli.Giorgia Meloni accelera: la situazione internazionale si fa ora dopo ora più delicata, e la leader di Fratelli d’Italia e del centrodestra ha fretta di mettere a punto la squadra di governo da proporre, una volta ricevuto l’incarico, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La Meloni non vuole (e non può) lasciarsi impaludare in una estenuante trattativa con gli alleati, e non a caso, a quanto ci risulta, è pronta, in caso di necessità, a nominare in autonomia i ministri. «Se e quando il presidente della Repubblica dovesse affidarci l’incarico», ha detto ieri ai suoi parlamentari, riuniti per la prima volta a Roma, «puntiamo a essere pronti e il più veloci possibile, anche nella formazione del governo. Lavoreremo per procedere spediti partendo dalle urgenze dell’Italia, come il caro bollette, l’approvvigionamento energetico e la legge di bilancio. Puntiamo», ha aggiunto, «a dar vita a un governo autorevole e di altissimo livello, che parta dalle competenze».La casella da riempire per poi comporre definitivamente il puzzle della Meloni è quella del ministero dell’Economia: Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, avrebbe cortesemente ma fermamente declinato anche l’invito arrivato dal Quirinale a riconsiderare il suo «no». Intanto, continua ad autopromuoversi l’ex ministro dell’Economia del governo Berlusconi II e III, Domenico Siniscalco, che ricoprì il ruolo dal luglio 2004 al settembre 2005, quando lasciò in polemica con la maggioranza che non sostenne la sua richiesta di far dimettere l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, oltre che per divergenze sulle politiche economiche da attuare. «Mi dimetto», disse Siniscalco, «per l’assoluto immobilismo del governo. Il problema non è Fazio, ma chi è incapace di risolvere il problema. Per questo non sono amareggiato: sono scandalizzato». Il precedente è molto significativo: la Meloni di tutto ha bisogno, al Mef, tranne che di un ministro che da un momento all’altro può creare grattacapi alla maggioranza. Non solo: Siniscalco è stato pure protagonista di almeno un paio di episodi che hanno suscitato molte polemiche. Il primo, che risale al 2011/2012, è quello che ha visto Siniscalco, in qualità di ex direttore generale del Tesoro, finire a giudizio (poi assolto) da parte della Corte dei conti per la vicenda della stipulazione di contratti in prodotti finanziari derivati ad alto rischio con la banca Morgan Stanley. Siniscalco, insieme con l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli e agli ex vertici del Mef Maria Cannata, ex dirigente del debito pubblico, e all’ex dg del Tesoro Vincenzo La Via, era stato accusato di aver concordato con Morgan Stanley condizioni troppo sfavorevoli per il nostro Paese e al contrario troppo vantaggiose per la banca americana, provocando un danno erariale totale di 3,9 miliardi di euro. Lo scorso aprile la Corte dei conti del Lazio ha assolto tutti. Siniscalco ha ricoperto ruoli di prestigio in Morgan Stanley: attualmente è vicepresident e country manager per l’Italia della banca di investimento americana. Avendo 68 anni, a breve dovrebbe, come consuetudine delle banche d’affari, lasciare l’incarico. La seconda vicenda riguarda la proposta di Siniscalco, da ministro dell’Economia, nell’agosto 2005, di nominare Alfredo Meocci direttore generale della Rai. Meno di un anno dopo, l’Autorità per le comunicazioni dichiarò l’incompatibilità di Meocci alla carica di dg, in quanto ex membro della stessa Agcom, fatto che era noto al momento della nomina. Meocci lasciò l’incarico nel 2006, la Corte dei conti condannò gli allora consiglieri di amministrazione della Rai che votarono a favore, ovvero Giovanna Bianchi Clerici, Gennaro Malgieri, Angelo Maria Petroni, Giuliano Urbani e Marco Staderini, e l’allora ministro Siniscalco a un risarcimento di 11 milioni di euro, in parti uguali fra loro. Grazie alla cosiddetta «definizione agevolata», che in secondo grado consente di chiudere ogni pendenza pagando il 20% della somma oggetto della condanna impugnata, tutti i protagonisti della vicenda hanno risolto ogni controversia legale e alla Rai sono rientrati 2 milioni di euro. Dunque, visto che Siniscalco difficilmente potrà tornare al Mef, vediamo le altre ipotesi in campo. Una pista porta a Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia: un nome certamente di rilievo. Sarebbe però la prima volta che un governatore di Bankitalia passa direttamente al ministero dell’Economia. Un altro nome «caldo» è quello di Dario Scannapieco, attuale amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. Stabili le quotazioni del leghista Giancarlo Giorgetti, ministro uscente dello Sviluppo economico. La soluzione Giorgetti sarebbe un segnale di rispetto e attenzione per Mario Draghi, al quale il numero due della Lega è da sempre vicinissimo.La scelta del ministro dell’Economia al momento rappresenta lo scoglio più difficile da superare per varare la nave del governo: a meno che la Meloni non abbia un asso nella manica ignoto a tutti, infatti, al momento la ricerca di una personalità in grado di ricoprire quel ruolo sembra ancora vana. Il ministro dell’Economia del Meloni I, infatti, deve rispondere a delle precise caratteristiche: da un lato deve essere rassicurante per i mercati e avere il gradimento di Mattarella, dall’altro però deve anche essere disposto ad assecondare la linea politica del centrodestra e della Meloni prima di tutto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-prese-scoglio-mef-siniscalco-2658423119.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cav-fra-alleati-non-esistono-veti" data-post-id="2658423119" data-published-at="1665470571" data-use-pagination="False"> Il Cav: «Fra alleati non esistono veti» Tra una guerra nel cuore dell’Europa, la crisi economica e le bollette alle stelle, uno degli ostacoli più alti da superare sulla strada della formazione del governo di centrodestra è rappresentato dalla tigna con la quale Licia Ronzulli, senatrice di Forza Italia molto vicina a Silvio Berlusconi, vuole assolutamente ricoprire un incarico in Consiglio dei ministri. «Non esistono», ha scritto ieri su Twitter Berlusconi, «non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno». Sulla Ronzulli non c’è nessun veto: semplicemente, la Meloni vuole per tutti gli incarichi di governo personalità con le competenze necessarie ad affrontare le sfide durissime che attendono l’Italia, ed è pronta a sacrificare sull’altare di questo metodo le speranze dei suoi stessi fedelissimi. Resteranno fuori dall’esecutivo pezzi da 90 di Fratelli d’Italia come Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli: un sacrificio che servirà anche a dare il buon esempio a tutti gli aspiranti ministri che resteranno a bocca asciutta. Probabilmente tra oggi e domani Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e la Meloni si riuniranno di nuovo per cercare di sciogliere il nodo: intanto, a quanto apprende la Verità, sulle presidenze dei due rami del Parlamento l’accordo sarebbe a un passo, con Riccardo Molinari della Lega presidente della Camera e Ignazio la Russa di Fratelli d’Italia presidente del Senato. Il nodo Ronzulli, invece, come dicevamo, tiene politicamente in ostaggio la definizione della squadra di governo. La Ronzulli non solo vorrebbe per sé un ministero importante, ma pure il ruolo di capodelegazione, con tanti saluti al curriculum di Antonio Tajani, che è stato presidente del Parlamento europeo, vicepresidente della Commissione europea, commissario europeo per i Trasporti e per l’Agricoltura. Tajani è destinato a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri, e non a caso ieri Elisabetta Belloni, capo del Dis e considerata papabile per la Farnesina, si è tirata fuori dalla partita: «No, non farò il ministro», ha detto ai cronisti. La squadra di Forza Italia in ogni caso dovrebbe comprendere, oltre a Tajani, anche il presidente uscente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, altro nome con un curriculum di tutto rispetto proposto da Berlusconi alla Meloni: la seconda carica dello Stato ha ricoperto per due volte la carica di sottosegretario alla Salute e alla Giustizia ed è stata componente del Consiglio superiore della magistratura. Anna Maria Bernini, capogruppo uscente di Fi a Palazzo Madama, pure dovrebbe far parte del governo, così come Alessandro Cattaneo. Per quel che riguarda la Lega, crescono le quotazioni di Giancarlo Giorgetti al Mef, mentre Matteo Salvini potrebbe andare all’Agricoltura. Erika Stefani è in corsa agli Affari regionali. Se Giorgetti sarà nominato ministro dell’Economia, il Carroccio potrà gioire per una squadra di governo di primissimo piano. Per Fratelli d’Italia, sempre alte le quotazioni di Carlo Nordio, che potrebbe andare alla Giustizia, e di Raffele Fitto, in pole come ministro agli Affari europei. Adolfo Urso alla Difesa sarebbe una garanzia per Washington e Bruxelles. Per il Viminale, salgono le quotazioni del prefetto Giuseppe Pecoraro, candidato con Fdi, visto che la Lega ha fatto sapere che Matteo Piantedosi non sarebbe considerato in quota Carroccio.
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)