2023-06-29
L’ultimo scherzo di Draghi alla Meloni
Il contenzioso sui prelievi relativi agli extraprofitti realizzati dalle aziende dell’energia finisce davanti alla Corte costituzionale. Se il ricorso fosse accolto, si aprirebbe un altro buco miliardario nei conti dello Stato. La verità è che la norma è stata scritta male.La tassa sugli extraprofitti finisce sul banco degli imputati. La Corte di giustizia tributaria di primo grado ha accolto il ricorso presentato da una delle società colpite dall’imposta sui profitti extra e ordinato l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale che avrà il compito di decretare o meno l’incostituzionalità della tassa in questione. Il che sancirebbe la fine immediata del gettito e l’allargamento del buco di bilancio che già si profilava all’orizzonte. Nel 2022 il governo Draghi per coprire i diversi interventi legati alla riduzione delle bollette e delle accise e volendo evitare di fare uno scostamento di bilancio, ha messo in campo, insieme a Daniele Franco, ex ministro dell’Economia, la tassa sugli extraprofitti. L’obiettivo era quello di andare a colpire le società energetiche e i loro guadagni «extra», puntando a un gettito di 11 miliardi di euro. Somma che non è mai stata raggiunta, e che aveva ben poche speranze esserlo. Basti pensare che al 30 giugno 2022, scadenza per versare la prima tranche delle tassa, pari al 40% dell’intera somma dovuta, si sono incassati solo 1,23 miliardi. Cifra che già allora faceva presagire come il risultato finale sarebbe stato ben lontano da quello sperato. Esito che tra l’altro La Verità aveva previsto con largo anticipo. Bastava seguire il trend di incasso, rimasto costante fino a giugno, per capire che il governo avrebbe ottenuto poco più di 3 miliardi di euro. Nell’audizione del 28 aprile alla Camera, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato infatti che solo 220 soggetti hanno pagato la tassa sugli extraprofitti, e che il gettito ricavato è stato pari a 2.760,49 milioni di euro. Per essere precisi alla virgola. Un’eredità, quella lasciata dal governo Draghi, che peserà dunque sulle casse dello Stato per 8,2 miliardi di euro e alla quale si potrebbe aggiungere anche una sentenza di incostituzionalità. Con tale macigno difficile che qualcuno pratichi il ravvedimento operoso, da cui il Fisco stimava di recuperare circa un miliardo. La Spa che ha fatto ricorso al Tar ha infatti evidenziato tutte le lacune presenti nell’imposta. Si parte dal fatto che mancherebbe il «presupposto del tributo», dato che il governo Draghi si è preoccupato di individuare solo i soggetti passivi e i criteri di determinazione (base imponibile e aliquota). Nulla è invece stato detto invece sulla circostanza al verificarsi della quale la tassa sarebbe scattata. Nel testo del ricorso viene infatti sottolineato come, se si vanno a leggere i documenti dei lavori preparatori sull’imposta, «si potrebbe dedurre che il contributo in esame dovrebbe intercettare gli extraprofitti, di cui avrebbero goduto le imprese del comparto dell’energia, grazie all’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore verificatosi a causa della crisi internazionale conseguente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia». Tuttavia, nella norma finale «non si fa mai riferimento agli extraprofitti, cosicché resterebbe indeterminata quale maggiore capacità contributiva il tributo sia volto a colpire».Restando alla forma, si sono evidenziate altre due storture. La prima riguarda il fatto che la tassa sugli extraprofitti ha una costruzione totalmente sbagliata. Per come è stata configurata dal governo, andrebbe ad incidere su «materia imponibile del tutto diversa dai presunti sovraprofitti delle imprese energetiche, ed anche su soggetti che in nessun modo hanno beneficiato di tali andamenti». Da ricordare come il balzello sulle imprese dell’energia avesse l’obiettivo di colpire i margini tra le operazioni attive e passive ai fini Iva. Cioè evitare che le aziende scaricassero verso i clienti tutti i costi extra sostenuti Nel ricorso viene però sottolineata «l’inidoneità ad intercettare i presunti extraprofitti» del meccanismo scelto per la determinazione della base imponibile», dato che le operazioni rilevanti ai fini Iva si fondano sui fattori che possono non avere alcuna relazione con gli extraprofitti. La seconda distorsione riguarda invece i soggetti, che sarebbero stati individuati sulla base di un criterio puramente qualitativo; l’appartenenza ai mercati energetici, nel significato più ampiamente inteso. Non dettagliando la norma si è finito con l’includere nella tassa anche tutte quelle società che svolgono più attività e quindi extra comparto energia. Aspetto problematico se si considera che l’Agenzia delle entrate in una sua circolare ha spiegato come la tassa sugli extraprofitti viene applicato sull’interezza del fatturato di una società. Comprendendo di fatto anche il guadagno derivanti da attività che nulla hanno a che fare con l’energia. E infine viene sottolineato come il governo Draghi aveva a disposizione almeno tre modelli di corretta tassazione degli extraprofitti da cui attingere, di cui però non ha tenuto conto. Il primo riguarda il «contributo di solidarietà» contenuto nel Regolamento Ue del 2022 che ha l’obiettivo di colpire gli «utili eccedenti» generati dalle attività energetiche, il secondo lo si trova nella comunicazione «Repower: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili», pubblicata l’8 marzo 2022 dalla Commissione europea. E il terzo modello è made in Italy ed emerge dalla sentenza numero 10/2015 della Corte costituzionale come «Robin Hood tax». Tradotto, i giudici hanno già avuto modo di bocciare la norma che inventò Giulio Tremonti e successivamente di correggerla. Bastava prendere spunto da lì.La decisione che dovrà prendere la Corte costituzionale non è di poco conto, soprattutto per gli effetti sul bilancio dello Stato. Se la Corte dovesse optare per l’incostituzionalità della tassa dell’extra gettito ci sarebbe il rischio che lo Stato dovrebbe ridare alle imprese 2,7 miliardi di euro. Senza contare i quasi 14 miliardi che derivano dalla rimozione graduale del differimento del trattamento di fine servizio deciso settimana scorsa proprio dalla Corte costituzionale e di cui il governo Meloni deve farsi carico.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
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