
Con lo spauracchio del ritorno alle gabbie salariali, i grillini boicottano il cavallo di battaglia leghista. Prima approvano, poi si oppongono agli incentivi per i docenti che rimangono sul territorio. Il ministro Erika Stefani: «Dicano se hanno cambiato idea».Salvatore Giuliano, chi era costui? È stato un carneade in quota grillina, sottosegretario all'Istruzione, omonimo di un Giuliano - siciliano - ben più famoso di lui, a terremotare il vertice di ieri sull'autonomia. Ma in casa leghista non ci sono dubbi: Giuliano è stato solo uno strumento, anzi lo strumento di giornata, per sabotare il lavoro. La regia porta direttamente a Luigi Di Maio e ai piani alti del M5s. Motivo del contendere? Un'ipotesi alla quale lo stesso Giuliano, alla presenza del suo ministro Marco Bussetti, si era detto favorevole il giorno precedente. Ventiquattr'ore dopo, è scattato il «contrordine, compagni», nello stupore dello stesso premier Giuseppe Conte che - in riunione, ieri - era favorevole alla mediazione poi respinta dai grillini. Entriamo nel dettaglio. È noto che le regioni abbiano carenza di docenti. L'idea leghista - come si vedrà, ragionevolissima e perfino minimalista - è che per un verso resti valido il contratto nazionale degli insegnanti, ma per altro verso, attraverso un fondo integrativo già esistente, una Regione possa offrire un incentivo affinché un insegnante resti in quel territorio. L'altro ieri i grillini avevano detto sì, ma ieri è diventato un no. Un approccio - quello grillino - due volte inaccettabile: una prima volta perché di chiara impronta statalista; una seconda volta, perché rischia di offrire una copertura ai cattivi amministratori regionali. Così, la reazione leghista è stata molto dura: «Sull'autonomia, invece di andare avanti, si torna indietro». E ancora: «I 5 stelle condannano il Sud all'arretratezza». I grillini, per cavarsi dall'imbarazzo, hanno cercato di usare due spauracchi: «spezzatino» e «gabbie salariali». Ecco dunque la versione pentastellata: «Si va avanti, ma nessuno spezzatino della scuola. Non lo permetteremo». E ancora, in un crescendo francamente surreale: «La Lega ha proposto di inserire le gabbie salariali, ovvero alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al Centro-Sud, una cosa totalmente inaccettabile. Una simile proposta spaccherebbe il paese e la consideriamo discriminatoria e classista: impedirebbe ai giovani di emanciparsi, alle famiglie di mandarli a studiare in altre università, diventerà difficile e costoso anche prendere un solo treno da Roma a Milano». Gran finale ancora sulle gabbie salariali: «Sono già state in vigore in passato con pessimi risultati e giustamente vennero abolite nel '72. Reintrodurle significa riportare l'Italia indietro di mezzo secolo. Follia pura».La controreplica leghista è stata affidata al ministro Erika Stefani, che da mesi cerca con pazienza di costruire un'intesa: «Non c'è nessuna gabbia salariale, sono strumenti che esistono già nel nostro ordinamento. Si tratta di incentivi previsti dalla contrattazione integrativa, per incentivare la permanenza e la continuità formativa. È una problematica che viene sollevata da alcune regioni per fronteggiare la carenza d'organico dovuta alla richiesta di riavvicinarsi a casa. Tra uno che lavora vicino casa e uno che deve munirsi di un appartamento a Milano è ovvio che ci sia una differenza». Ma il muro grillino è stato alzato in modo massiccio. Altro fronte di scontro: il cosiddetto fondo di perequazione. Anche qui il rischio è quello di minare la maggiore responsabilizzazione che l'autonomia dovrebbe produrre verso tutte le Regioni, non solo verso quelle del Nord. In altre parole: in base al criterio della spesa storica, con l'autonomia sarà attribuita alla Regione la stessa somma che prima lo Stato spendeva su quel territorio per un certo servizio. Se però, in futuro, una Regione virtuosa riuscisse a risparmiare, perché mai dovrebbe girare ad altri quei risparmi, come vorrebbe M5s? Verrebbe meno l'incentivo a essere più efficienti. Ma forse è perfino sbagliato soffermarsi sui singoli «alberi», cioè sugli specifici punti di dissenso: il problema è la «foresta», cioè l'atteggiamento complessivo di Di Maio, che da giorni - con interviste mirate ai quotidiani del Sud - dissemina il terreno di mine e ostacoli, alimentando l'idea di un Nord che vuole crescere a spese del Mezzogiorno. Fino alla reazione melodrammatica di ieri pomeriggio: «Un bambino non sceglie in quale regione nascere: noi dobbiamo garantire l'unità della scuola così come l'unità nazionale».Per questo, anche la solitamente paziente Stefani ha usato toni forti: «Il vertice purtroppo non ha avuto esito positivo, ma l'autonomia differenziata è nel contratto di governo: se qualcuno ha cambiato idea, lo si dica e non si vada ulteriormente avanti». Più duri di lei, solo il governatore del Veneto Luca Zaia («Siamo davanti a un'autentica farsa») e il leader Matteo Salvini: «Se c'è qualcuno che sabota, qualcuno che l'autonomia non vuol farla, allora si parli chiaro. Chi rallenta non fa un dispetto a Salvini o alla Lega. Certe cose io me le aspetto dalle opposizioni, dal Pd. Chi difende il vecchio non fa un favore a nessuno. Né a Milano né a Napoli».
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.