2021-03-29
Matteo Marzotto: «Una follia subire l’egemonia cinese»
L'imprenditore: «Il Dragone è un grande mercato di sbocco ma non va bene che sia la fabbrica del mondo. Pechino non è reciproca, è aggressiva e non vuole un sistema umano. Meglio ragionare con la Russia».Partiamo dall'ultima novità. Dondup, brand marchigiano specializzato in denim e «ready to wear», cambia proprietario e passa da L Catterton, società di private equity partecipata del colosso del lusso francese Lvmh, al Made in Italy fund. Matteo Marzotto, di Dondup, è stato presidente per quattro anni e mezzo «caratterizzati da un turnaround gentile ma deciso: alla fine del 2016 l'ebitda era di circa 9 milioni di euro, mentre nel 2019 era poco meno di 15 milioni», precisa. Ma nel comunicato del fondo manco compare il suo nome e tanto meno un ringraziamento.Come l'ha presa?«Sorrido, in tanti anni che faccio questo mestiere mi sono abituato a farlo con un certo stile. Si saranno distratti, succede. È l'ansia da prestazione. L'ho saputo leggendo i giornali».Ci può essere un aspetto umano nel mondo finanziario?«Sono un grande sostenitore dell'umanizzazione del lavoro, costa uguale e rende molto di più. Trovo che questa grande aggressività che abbiamo vissuto in determinati momenti non troppo lontani non serva a niente. Con trasparenza e attenzione si possono dire e fare le cose. Senza dubbio il business è difficile e a volte bisogna prendere decisioni impopolari, però se si sta sull'educazione non si sbaglia mai. Sullo stile mi sono stupito ma poi chissenefrega». Lei è stato presidente e ad di Fiera di Vicenza, promotore della nascita di Italian exhibition group, primo esempio in Italia di integrazione tra società fieristiche, ha lavorato per oltre vent'anni nelle aziende collegate agli interessi di famiglia (Industrie Zignago e Gruppo Marzotto), presidente di Valentino. Successivamente ha rilanciato Vionnet, investitore in numerose realtà industriali e di servizi. Pensa di essere cambiato nel tempo, sul lavoro?«Ho fatto quello che ho potuto con le carte che avevo. A tratti ne ho avute di buone e le ho giocate molto bene, in altri ho avuto carte discrete che ho giocato male. Rispetto molto anche il valore dell'errore. Poi a un certo punto mi mancava un pezzo, non ero felice come avrei dovuto secondo i canoni del mondo. Mi mancava un approfondimento spirituale maggiore. Ho continuato a fare, a investire, ho anche aumentato il ritmo perché sono passato da un lavoro monotematico come il tessile abbigliamento a fare diverse altre cose. Ho avuto fasi alterne anche in famiglia, mi sono ricomprato la mia libertà. Sono contento d'averlo fatto, mi è pesato molto lasciare certe cose sulle quali avevo creato una mia aspettativa di vita». Ad esempio?«Le aziende che facevano capo alla famiglia, era quello che mi aspettavo. D'altronde, a un certo punto, forse ho sbagliato a puntare sui rapporti con alcuni famigliari rispetto ad altri. Conosco anche il sapore della sconfitta e questo mi ha completato e rafforzato». Ora di cosa si occupa?«Investo in aziende che reputo con potenziale elevato come era stato con Dondup. Di solito cerco di far parte di un progetto, fare un cammino insieme, creare valore con persone con cui capisco di avere una buona chimica. Ho fatto un investimento molto interessante in un'azienda che produce macchine per la distribuzione automatica. Sono un private equiter di me stesso. Mi piace l'industria, investire in aziende che hanno visione, sistema, innovazione, creatività, un valore da esprimere. Non capisco la finanza fine a sé stessa: deve essere uno strumento di sviluppo». A un mese e mezzo dall'inizio del suo incarico, cosa pensa di Mario Draghi?«Un fuoriclasse coraggioso perché s'è fatto carico delle geometrie più varie, della complessità più ampia, nulla di blindato tutto ad alto rischio. Penso sia una prova d'amore verso il Paese e gli fa onore. Questo dovrebbe essere un governo di unità nazionale piuttosto che di cose dette a suocera perché nuora intenda. E non dimentichiamoci che non ha la bacchetta magica. Per quanto sia autorevole, e lo è molto più di Conte, e questo serve perché abbiamo bisogno di credito d'immagine all'estero, non può fare miracoli. Il nostro è un Paese strano perché le Regioni hanno un potere in certi ambiti troppo ampio mal gestito. Lui è abituato a sistemi gerarchici ben diversi. Mi auguro che Draghi faccia un traghettamento di un anno o due per stabilizzare il post crisi e l'impiego delle risorse e che poi faccia il presidente della Repubblica. Spero che sia il nuovo Ciampi, più internazionale, che faccia sentire l'Italia alla pari. Finora abbiamo avuto gente che non sapeva nemmeno una parola d'inglese. E non è certo un dettaglio».Ce la farà a uscire dal pantano delle vaccinazioni?«Secondo me sì, forse non nei tempi che auspicava. Proprio da Draghi ho sentito parlare per la prima volta di vaccinare anche la notte: mi sembra il minimo sindacale. Poi non c'è una posizione congiunta sulla vaccinazione obbligatoria almeno degli operatori sanitari, una pazzia assoluta. Io sono per la vaccinazione obbligatoria del popolo. Se non si può fare perché siamo una nazione libera, allora si faccia il passaporto vaccinale e chi non lo ha non può andare in luoghi pubblici, al supermercato, al cinema o prendere un taxi. Siamo parte di una comunità e non del nostro mondo che inizia dove finisce quello dell'altro».La ripresa passa da dove?«C'è una componente psicologica cruciale che è la voglia di fare, e gli italiani la dimostreranno. Ma la ripresa passa anche per la velocizzazione delle risorse da impiegarsi intanto per salvare le aziende oggi, e poi perché sia credibile l'impiego delle risorse che provengono dal Recovery fund, la più grande occasione che l'Italia ha dal dopoguerra. Lascerà strascichi enormi e penso che in alcuni ambiti non ritorneremo come prima, ma ci saranno lavori e settori diversi. Dobbiamo cogliere delle opportunità, ma con governi forti e qualificati».Recovery plan: ha qualche suggerimento da dare? «Bisogna puntare su formazione e ricerca. Tutela delle imprese e giovani. Questo compare relativamente. Stabilizzerei una volta per tutte la scuola per dare un grande impulso e motivazione ai giovani. La ricchezza futura si farà su di loro che la devono sviluppare». Parlando di futuro, quali mercati resisteranno?«Sono un po' preoccupato per le mire egemoniche della Cina che sono nella loro cultura. Certamente la Cina è un grande mercato di sbocco ma trovo che sia stata una follia farla diventare la fabbrica del mondo, compiacendosi. Abbiamo dato troppo rispetto a quanto ci è stato restituito, non c'è stata reciprocità. Mi auguro che sulle grandi questioni digitali come il 5G Americana ed Europa si coalizzino. Preferisco ragionare con la Russia, i russi mi sembrano culturalmente più simili a noi rispetto ai cinesi. Trovo che ci sia un atteggiamento molto supino e una grande aggressività della Cina. Il futuro sarà senz'altro fatto di tecnologia ma anche di sistemi umani. La Cina non sta cercando un sistema umano». C'è pure il tema della sostenibilità scritto nel domani.«Esatto. Sono tanti anni che me ne occupo, ho letto i vari accordi di Parigi e di Tokyo e in questo gli americani si sono dimostrati di un cinismo incomprensibile e stupido, si sono messi controcorrente. Non si può non voler vedere. Servono grandi uomini che guardino a lunga distanza e che prendano decisioni relativamente democratiche. Ma vanno prese». Lei è molto impegnato nel terzo settore, presidente della Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica. È cambiato qualcosa con la crisi? Gli italiani sono un popolo generoso?«Sì, un popolo generoso e - lo vedo dalla nostra quotidianità - comprensibilmente preoccupato. Mando un messaggio a chi ci governa: il terzo settore, in Italia, non è buonismo ma una parte rilevantissima di servizi di welfare vero e proprio. C'è uno studio della Cattolica pre Covid che fissa il terzo settore ufficiale intorno ai 6-7 miliardi di euro, in pratica una manovra. Sette miliardi di liberalità che si trasformano in decine di migliaia di istituzioni in tutti gli ambiti sono una forza straordinaria, oggi in grave difficoltà anche perché non c'è una legislazione per gli enti del terzo settore. Dovremmo fare chiarezza su chi può fare cosa». Si è sensibilizzato ai problemi degli altri quando è mancata sua sorella Annalisa, proprio per una fibrosi cistica?«Per quanto riguarda la fondazione, sì. È stata fondata nel 1997 con Gianni Mastella, decano dei ricercatori della fibrosi cistica, e Vittoriano Faganelli, un padre che ha perso due figli su tre di fibrosi cistica ed è stato accanto a mio padre quando nascevano le prime associazioni sulla malattia. In generale il concetto dell'uomo al centro era l'idea di mio nonno Gaetano, grande costruttore di futuro: lui è il mio vero mito. Grande imprenditore, grande diversificatore di business. Mi tengo quell'insegnamento». Cosa le ha trasmesso mamma Marta?«Mi piaceva che non si fosse mai persa d'animo anche nei grandi ribaltoni della sua vita, un'araba fenice che ha sempre trovato un modo per ripartire. Mi piace che non abbia mai dimenticato da dove veniva. Non ha mai rifiutato la sua storia, che raccontava con orgoglio. Aveva una grande umanità». Crede in Dio?«Altroché, lo scrivo anche nel curriculum. Tutto quello che ho detto è profondamente un cammino di fede. Un cammino difficile che si compie tutti i giorni con molta umiltà e determinazione. È la grande forza. Lavorando nella moda, era automatico avere delle etichette addosso. Mi ha aiutato molto Chiara Amirante, donna straordinaria di visione e profondità spirituale pazzesca. Una donna in odore di santità. Ha fondato la più grande associazione sul disagio sociale, Nuovi Orizzonti. Il cammino spirituale è fatto anche di difficoltà. Pensiamo che quello che abbiamo fatto in vita vada a finire in un libro mastro che qualcuno sa valutare. Meglio essere ricordati come persone per bene. Un percorso che affronto ogni giorno con Nora, la mia compagna di vita».