
Il presidente invita la maggioranza a collaborare, tuttavia ha un piano per arginare il Carroccio: isolarlo, evitare il voto a settembre e operare in sintonia con Bruxelles in materia economica. Anche Giuseppe Conte, ormai scollegato dai partiti, è orientato verso il Quirinale. In quasi contemporanea con il primo discorso a Westminster del neopremier britannico Boris Johnson, le parole di Sergio Mattarella in occasione della cerimonia del Ventaglio hanno fatto sobbalzare chiunque sia affezionato all'amicizia tra Italia e Regno Unito: «Non c'è futuro fuori dall'Unione», ha detto il Capo dello Stato, che in quel passaggio si riferiva - come vedremo - alla procedura d'infrazione evitata dall'Italia. Ma, voluto o no, quel riferimento non è suonato certo come un augurio di buon lavoro al primo ministro della Gran Bretagna che, in coerenza con la volontà degli elettori, si è dato l'obiettivo di realizzare Brexit, e quindi di dimostrare che fuori dall'Unione il futuro ci sia, e possa anzi essere molto migliore. Eppure (lo ripetiamo ancora: proprio nella giornata forse meno adatta per una forzatura dei toni) Mattarella ha scelto di rinunciare a qualunque sfumatura e di schiacciarsi totalmente sulla fedeltà a Bruxelles: «Di fronte alle grandi questioni e numerose sfide, tutte di carattere globale, in un mondo sempre più condizionato da grandi soggetti, i singoli Paesi dell'Unione si dividono tra quelli che sono piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di esser piccoli anche loro». Ma veniamo alle fibrillazioni italiane, oggetto di larga parte del discorso di Mattarella. Prima un invito - prevedibile - alla concordia e alla collaborazione: «Si è conclusa una lunghissima campagna elettorale e ha prodotto divergenze, contrapposizioni e forti tensioni fra le forze politiche e dentro la maggioranza. Altri appuntamenti elettorali si prospettano. Va costantemente tenuto presente che le istituzioni della nostra Repubblica hanno bisogno di un clima di fattiva collaborazione, per decisioni sollecite e tempestive, per un buon andamento della vita nazionale». Poi, cautamente, un passaggio per allontanare dal Colle più alto il sospetto di trame: «Il Quirinale», ha aggiunto Mattarella, «non compie scelte politiche: quelle competono e vengono contemplate dalle formazioni politiche presenti in Parlamento, nel rispetto della Costituzione. Il presidente della Repubblica è arbitro, garante della rete istituzionale», e quindi deve «richiamare al senso delle istituzioni» e ai relativi «obblighi, limiti e doveri». E infine il passaggio già citato in apertura, quello sull'Ue, con la sottolineatura - secondo Mattarella - dell'importanza «capitale» del fatto che l'Italia non resti «isolata»: «È stata saggia la scelta di un confronto dialogante e costruttivo con Bruxelles, con l'impegno a tenere i conti in ordine che ha incontrato il favore dei mercati e fatto scendere lo spread. Tenendo i conti in ordine si è evitato uno scenario che avrebbe pesantemente ipotecato il futuro del Paese. Non c'è futuro fuori dall'Unione». Ma che ha voluto dire davvero il Capo dello Stato? Che messaggio ha consegnato ai protagonisti della politica, a partire da Matteo Salvini? Gli esegeti più allineati al Colle, già da ieri, si sforzavano di sottolineare che Mattarella, in modo ineccepibile, avrebbe per un verso collaborato al salvataggio del governo, e per altro verso avrebbe cominciato, con il discorso del Ventaglio, ad aprire doverosamente una rete di protezione: insomma, garantire che, al di là delle fibrillazioni politiche, la manovra d'autunno si faccia e la sessione di bilancio si concluda nei tempi previsti, e così via. E indubbiamente c'è del vero, per chi crede alla lettera di ciò che viene detto, senza retropensieri e senza leggere tra le righe: sarebbe effettivamente dovere del Capo dello Stato premurarsi in questo senso. Eppure, però, la sensazione - per gli osservatori più disincantati e meno ingenui - è stata ben altra. Mattarella, tutt'altro che ben disposto verso Salvini, starebbe tentando di condurre in porto quattro operazioni. Primo: chiudere la finestra elettorale più vicina, impedendo alla Lega di portare all'incasso di settembre il 37,8% che i sondaggi ora le attribuiscono. Secondo: costruire un cordone sanitario (altro che rete di protezione!) con Giuseppe Conte, il Mef e la Farnesina, per isolare e ridurre lo spazio di manovra del leader leghista. Terzo: mettere in chiaro che la manovra d'autunno andrà concordata con Bruxelles (quindi con il trio Juncker-Moscovici-Dombrovskis, che sarà ancora formalmente operativo). E tutti capiscono come questa possa rivelarsi una potentissima minaccia di ridimensionamento dell'impatto della flat tax. Quarto: fare il possibile per realizzare quella che Dario Franceschini chiama «operazione 2022», cioè prolungare questa legislatura almeno fino al momento in cui ci sarà da votare il nuovo Presidente della Repubblica, potenzialmente eleggibile - in questo Parlamento ma non nel prossimo - senza i voti e contro la volontà di Salvini. Se fosse vera anche solo una piccola parte di questo secondo scenario, saremmo dinanzi a un autentico accerchiamento.Anche lasciando da parte il Quirinale, la sensazione - però - è che in qualche palazzo romano (e pure nel vecchio establishment mediatico) si considerino tutte le variabili, tutte le geometrie parlamentari e istituzionali, tranne un «dettaglio», e cioè gli elettori, le ragioni e i sentimenti dei cittadini. Qualunque operazione condotta senza vero consenso nel Paese, e anzi con l'obiettivo di transennare-sorvegliare-immobilizzare le forze politiche più popolari, sarebbe prima o poi fatalmente destinata all'insuccesso.
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Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.