
Il capo dello Stato condanna «l’occultamento della storia» sulla tragedia istriana, però al senatore meloniano Menia viene impedito di parlarne a scuola. E il sindaco di Bologna definisce «oltraggio» una corona di fiori.Mentre l’Italia democratica chiede scusa e ricorda i martiri istriano-dalmati, ci sono studenti che impediscono che si parli delle foibe nelle scuole e c’è un sindaco che minaccia querele per una corona d’alloro in memoria di quelle vittime. Eppure Sergio Mattarella, nella giornata del Ricordo, ha invocato la definitiva riconciliazione. Si può misurare la distanza tra ciò che è utile alla sinistra che va in cortocircuito e ciò che le dà fastidio? Basta percorrere i cento metri che separano sul binario uno della stazione di Bologna due lapidi. La prima è quella in memoria delle vittime del 2 agosto 1980, 85 morti ammazzati dallo stragismo nero. Ogni 2 agosto tutta Italia si ritrova attorno a quel luogo di morte in unanime condanna. Si officia la liturgia dell’antifascismo militante, Anpi in testa. Davanti all’altra lapide si radunano sparute rappresentanze militari, la guardia d’onore del Pantheon e gli eredi degli esuli giuliani e istriani. Il Comune di Bologna manda giusto un assessore. Quella lapide testimonia che il 18 febbraio 1947 passò di lì il «treno della vergogna». Era carico di esuli in fuga da Pola che innalzavano il tricolore. Ad Ancona rischiarono il linciaggio dai rossi, a Bologna il sindaco del Pci Giuseppe Dozza ordinò di prendere a sassate il treno, i ferrovieri della Cgil minacciarono «se i profughi si fermano per mangiare bloccheremo la stazione» e dispersero sui binari il latte per sfamare i bambini stipati nei vagoni come su una tradotta nazista. Settantotto anni dopo nulla è cambiato: a Bologna il sindaco Matteo Lepore (Pd) annuncia querele, a Roma gli studenti «democratici» impediscono all’Istituto Rossellini che il senatore Roberto Menia - primo firmatario della legge che nel 2004 istituì il giorno della memoria - partecipi a un dibattito sulle foibe. «Con i fascisti», sentenziano, «non ci si dialoga e non si può lasciare che facciano propaganda e revisionismo storico dentro le mura scolastiche». Il presidente della Repubblica ha provato a fare finta che l’ossessiva caccia al fascista agitata in questi mesi a sinistra per negare legittimità democratica al governo di Giorgia Meloni non abbia avvelenato i pozzi della convivenza, ma non è così. Sergio Mattarella al Quirinale, dove si è riunita tutta l’Italia delle istituzioni, ha scandito: «La vicenda degli esuli fu sottovalutata e, talvolta, persino, disconosciuta. L’istituzione del giorno del Ricordo, votata a larghissima maggioranza dal Parlamento, ha contribuito a riconnettere alla storia italiana quel capitolo tragico e trascurato, a volte persino colpevolmente rimosso. Troppo a lungo “foiba” e “infoibare” furono sinonimi di occultamento della storia». Il presidente che ha condannato lo sfregio nei giorni scorsi della foiba di Basovizza ha riconosciuto: «Da Tito ci fu una spietata violenza contro gli italiani», pur ricordando che i fascisti si erano resi responsabili di «una politica duramente segregazionista nei confronti delle popolazioni slave». Mattarella ha esortato affinché la memoria non sia «asservita a divisioni e rancori». Al Quirinale hanno parlato tutti: dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. I presidenti delle due camere Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, co-firmatario della legge che, a quasi sessanta anni dalla strage, istituì la giornata del Ricordo hanno sottolineato - al pari delle altre cariche istituzionali - come il dramma degli esuli trovi finalmente il giusto valore. Giorgia Meloni al Quirinale ha solo pianto quando ha preso la parola Egea Haffner, esule di Pola, la «bambina con la valigia» della foto del 1946 simbolo dell’esodo giuliano-dalmata. Poi sui social ha confidato: «Ricordare è un dovere di verità e giustizia, per onorare chi ha sofferto. L’Italia non dimentica: è una promessa solenne. Continueremo a scrivere nuove pagine e a raccontare ai giovani ciò che è successo ai fiumani, agli istriani e ai dalmati». «Io ricordo: chi ha molto sofferto per il solo fatto di essere italiano. Io ricordo: chi voleva che gli italiani dimenticassero», ha invece scritto sulle sue pagine social l’europarlamentare di Fdi, Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei conservatori alParlamento europeo. La segretaria del Pd Elly Schlein si è accodata: «La memoria contrasta l’odio», ma non una parola su Bologna, né una sul gravissimo fatto di Roma. È invece a Bologna che si misura la distanza tra la retorica e la convinzione. Matteo Lepore - è il sindaco del Pd che da mesi ha fatto sventolare da palazzo d’Accursio la bandiera della Palestina - due giorni fa quando un corteo di Gioventù nazionale è sfilato fino alla sede storica del Comune in memoria e onore dei martiri delle foibe ha sprangato il portone. Ha annunciato che denuncerà Galeazzo Bignami - pronto a una controquerela- l’eurodeputato Stefano Cavedagna e la consigliera comunale Manuela Zuntini, col consigliere regionale Francesco Sassone tutti di Fdi, rei di aver «fatto introdurre il corteo a Palazzo d’Accursio e deporre la corona, in modo abusivo e in sfregio del minimo rispetto per quel luogo. Chiederemo conto di questo oltraggio». Ricordare i martiri delle foibe per Lepore è uno sfregio! Chi chiede conto dell’oltraggio alla Costituzione è il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara dopo che è stato annullato l’incontro sulle foibe autorizzato dalla preside del Rossellini Maria Teresa Marano. Sottolinea il ministro: «La nostra Costituzione fonda la Repubblica sui valori della democrazia, del dialogo, del rispetto. Sarebbe molto grave se a un rappresentante del Parlamento italiano, presentatore del disegno di legge che ha istituito la giornata del Ricordo, non fosse consentito di parlare in una scuola italiana. Auspico che l’evento possa essere al più presto ripristinato». Ma gli studenti di Osa - opposizione studentesca alternativa - la pensano diversamente. Sostengono - nel silenzio assordante della sinistra democratica - che: «Il giorno del ricordo è l’occasione perfetta che hanno i fascisti per uscire dalle fogne della storia e portare avanti il loro revisionismo becero, cercando di far dimenticare i crimini compiuti dal fascismo. Costruiamo un muro in ogni scuola!». Forse i fascisti sono loro. Ma, tant’è; dal treno al giorno della vergogna a sinistra nulla cambia.
Scienziati tedeschi negli Usa durante un test sulle V-2 nel 1946 (Getty Images)
Il 16 novembre 1945 cominciò il trasferimento negli Usa degli scienziati tedeschi del Terzo Reich, che saranno i protagonisti della corsa spaziale dei decenni seguenti.
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Il 16 luglio 1969 il razzo Saturn V portò in viaggio verso il primo allunaggio della storia l’equipaggio della missione Nasa Apollo 11. Il più grande passo per l’Uomo ed il più lungo sogno durato secoli si era avverato. Il successo della missione NASA fu il più grande simbolo di vittoria nella corsa spaziale nella Guerra fredda per Washington. All’origine di questo trionfo epocale vi fu un’operazione di intelligence iniziata esattamente 80 anni fa, nota come «Operation Paperclip». L’intento della missione del novembre 1945 era quella di trasferire negli Stati Uniti centinaia di scienziati che fino a pochi mesi prima erano stati al servizio di Aldolf Hitler e del Terzo Reich nello sviluppo della tecnologia aerospaziale, della chimica e dell’ingegneria naziste.
Nata inizialmente come operazione intesa ad ottenere supporto tecnologico per la tardiva resa del Giappone nei primi mesi del 1945, l’operazione «Paperclip» proseguì una volta che il nuovo nemico cambiò nell’Unione Sovietica, precedente alleato di Guerra. Dopo la caduta del Terzo Reich, migliaia di scienziati che avevano lavorato per la Germania nazista si erano sparsi per tutto il territorio nazionale, molti dei quali per sfuggire alla furia dei sovietici. L’OSS, il servizio segreto militare dal quale nascerà la CIA, si era già preoccupato di stilare un elenco delle figure apicali tra gli ingegneri, i fisici, i chimici e i medici che avrebbero potuto rappresentare un rischio se lasciati nelle mani dell’Urss. Il Terzo Reich, alla fine della guerra, aveva infatti raggiunto un livello molto avanzato nel campo dell’ingegneria aeronautica e dei razzi, uno dei campi di studio principali sin dai tempi della Repubblica di Weimar. I missili teleguidati V-2 e i primi aerei a reazione (Messerschmitt Me-262) rivelarono agli alleati quella che sarebbe stata una gravissima minaccia se solo Berlino fosse riuscita a produrre in serie quelle armi micidiali. Solamente l’efficacia dei potenti bombardamenti sulle principali strutture industriali tedesche ed il taglio dei rifornimenti impedì una situazione che avrebbe potuto cambiare in extremis l’esito del conflitto.
L’Operazione «Paperclip», in italiano graffetta, ebbe questo nome perché si riferiva ai dossier individuali raccolti negli ultimi mesi di guerra sugli scienziati tedeschi, molti dei quali erano inevitabilmente compromessi con il regime nazista. Oltre ad aver sviluppato armi offensive (razzi e armi chimiche) avevano assecondato le drammatiche condizioni del lavoro forzato dei prigionieri dei campi di concentramento, caratterizzate da un tasso di mortalità elevatissimo. L’idea della graffetta simboleggiava il fatto che quei dossier fossero stati ripuliti volontariamente dalle accuse più gravi dai redattori dei servizi segreti americani, al fine di non generare inevitabili proteste nell’opinione pubblica mondiale. Dai mesi precedenti l’inizio dell’operazione, gli scienziati erano stati lungamente interrogati in Germania, prima di essere trasferiti in campi a loro riservati negli Stati Uniti a partire dal 16 novembre 1945.
Tra gli ingegneri aeronautici spiccavano i nomi che avevano progettato le V-2, costruite nel complesso industriale di Peenemünde sul Baltico. Il più importante tra questi era sicuramente Wernehr von Braun, il massimo esperto di razzi a propulsione liquida. Ex ufficiale delle SS, fu trasferito in a Fort Bliss in Texas. Durante i primi anni in America fu usato per testare alcune V-2 bottino di guerra, che von Braun svilupperà nei missili Redstone e Jupiter-C (che lanciarono il primo satellite made in Usa). Dopo la nascita della NASA fu trasferito al Marshall Space Flight Center. Qui nacque il progetto dei razzi Saturn, che in pochi anni di sviluppo portarono gli astronauti americani sulla Luna, determinando la vittoria sulla corsa spaziale con i sovietici e divenendo un eroe nazionale.
Con von Braun lavorò allo sviluppo dei razzi anche Ernst Stuhlinger, grande matematico, che fu estremamente importante nel calcolo delle traiettorie per la rotta dei razzi Saturn. Fu tra i primi a ipotizzare la possibilità di raggiungere Marte in tempi relativamente brevi. Nel team dei tedeschi che lavorarono per la Nasa figurava anche Arthur Rudolph, che sarà uno dei principali specialisti nei motori del Saturn. L’ingegnere tedesco si occupò in particolare del funzionamento del primo stadio del razzo che conquistò la Luna, un compito fondamentale per un corretto decollo dalla rampa di lancio. Rudolph era fortemente compromesso con il Terzo Reich in quanto membro prima del partito nazista e quindi delle SS. Nel 1984 decise di lasciare gli Stati Uniti dopo che nei primi anni ’80 iniziarono una serie di azioni giudiziarie contro quegli scienziati che più si erano esposti nella responsabilità dell’Olocausto. Morirà in Germania nel 1996.
Tra gli ingegneri, fisici e matematici trasferiti con l’operazione Paperclip fu anche Walter Häussermann, esperto in sistemi di guida dei razzi V-2. Figura chiave nel team di von Braun, sviluppò negli anni di collaborazione con la NASA gli accelerometri ed i giroscopi che il razzo vettore del programma Apollo utilizzò per fornire i dati di navigazione al computer di bordo.
In totale, l’operazione Paperclip riuscì a trasferire circa 1.600 scienziati tedeschi negli Stati Uniti. In ossequio alla realpolitik seguita alla corsa spaziale, la loro partecipazione diretta o indiretta alle attività belliche della Germania nazista fu superata dall’enfasi che il successo nella conquista della Luna generò a livello mondiale. Un cammino che dagli ultimi sussulti del Terzo Reich, quando le V-2 colpirono Londra per 1.400 volte, portò al primo fondamentale passo verso la conquista dello Spazio.
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