2025-02-16
Mattarella, che tempismo. L’offensiva contro Mosca mette l’Italia in imbarazzo
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)
Il parallelismo del Colle Putin-Terzo Reich deflagra mentre The Donald dialoga con il Cremlino. Bisogna scegliere tra una guerra infinita ma «giusta» e la pace.Un bullone nell’ingranaggio. Si sente mentre stride sulle pareti del manufatto creando attrito; si intuisce mentre si infila fra un dente metallico e l’altro con il rischio di bloccare tutto.La frase di Sergio Mattarella scandita a Marsiglia dieci giorni fa davanti a una platea di studenti risuona come quel bullone. «Anziché la cooperazione, (negli anni Trenta) a prevalere fu il criterio della dominazione, e furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura». Al di là delle intenzioni del Quirinale dentro un contesto alto e sfaccettato, il parallelismo è evidente. E di questo si deve discutere, anche per superare l’enfasi sospetta attribuita alla scontata risposta di Mosca («Invenzioni blasfeme») dall’intero sistema mediatico mainstream. Proprio nel giorno in cui il vicepresidente americano James David Vance richiamava l’Europa a trazione socialista a una storica presa di coscienza dei propri errori, ecco la diatriba che tutto oscura, tutto annacqua. E, di fatto, pone l’Italia in una posizione sfavorevole nel dialogo aperto dalla Casa Bianca con Vladimir Putin. Il premier, Giorgia Meloni, è intervenuto immediatamente ad aprire un ombrello protettivo sul presidente e bene ha fatto per salvaguardare gli interessi nazionali.Ma il bullone resta e va analizzato, anzitutto per la strana tempistica del suo ingresso nell’ingranaggio: il paragone urticante che indebolisce il ruolo italiano è arrivato a tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina, guarda caso nei giorni in cui Donald Trump cominciava a tessere la tela della pace con il Cremlino. Anche la reazione russa è strumentale: è giunta a freddo, con una volontà destabilizzatrice che somiglia a una mossa del cavallo su una scacchiera inclinata. È vero che siamo nell’epoca post-cartesiana del digito ergo sum ma la saggezza e l’esperienza di Mattarella non hanno niente a che vedere con un tweet o un post dal sen fuggito.Impossibile credere che il capo dello Stato non sapesse, con quelle parole, di entrare in rotta di collisione con la retorica di Mosca, che ha costruito per anni il proprio castello mediatico sulle immagini di una nuova Stalingrado, della «liberazione dal regime nazista ucraino», e non poteva non reagire all’accostamento, chiamandolo blasfemo. Sembra che Mattarella abbia voluto ritagliarsi un ruolo anti-Putin e venga usato dalla stampa come tale. Lui stesso, citando nel discorso di Marsiglia la parola «appeasement» (interpretata come resa, come accordo a perdere), dà l’idea di voler mettere sulle spalle di chi cerca una possibile pace trumpiana le responsabilità di quel Neville Chamberlain che fu protagonista dell’infelice e codarda trattativa di Monaco con Adolf Hitler.Oltre l’orizzonte degli slalom diplomatici e dei colpi bassi, rimane in piedi qualche domanda: vogliamo o non vogliamo che la guerra abbia termine? Vogliamo o non vogliamo che il popolo ucraino si sottragga al massacro? Vogliamo o non vogliamo che un presidente americano alla guida dell’alleanza occidentale riesca laddove ha miseramente fallito l’amministrazione psico-dem di Joe Biden? Vogliamo o non vogliamo dimenticare la velleitaria foto di Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi su quel treno per Yalta che si rivelò quel treno per Yuma? La sensazione derivata dal tuono presidenziale e dalla reazione mediatica propone uno scenario ambiguo: per la sinistra italiana, è meglio una guerra infinita ma «giusta» (con l’immenso peso di responsabilità storiche che la parola porta con sé) piuttosto che una pace siglata da The Donald. E questo a prescindere, prima ancora di andare a vedere le carte.Nella prolusione francese, il presidente Mattarella ha sottolineato ancora una volta che «sul sacrificio di quelle generazioni abbiamo costruito il più lungo periodo di pace di cui l’Europa abbia goduto. Settant’anni di pace». Con il rispetto e la deferenza dovuti, trattasi di narrazione per enfatizzare un ruolo che Bruxelles non ha mai avuto. Neanche 50, di anni, guarda caso quelli della Guerra fredda. Perché la deflagrazione della Jugoslavia (dal 1991 al 1999) fu un tremendo conflitto nel cuore dell’Europa. Perché i massacri (Srebrenica, Mostar, Vukovar, Kosovo) videro sì protagonista l’Europa ma per ignavia e opportunismo. Perché i Tornado italiani che decollavano con le bombe sotto le ali e tornavano alle basi scarichi, non affondavano pescherecci in Adriatico. Ma bombardavano altri europei un po’ più in là. Da sempre, la Storia è maestra di vita ma, per troppi anni, a Bruxelles ha avuto cattivi allievi.Al culmine della fibrillazione diplomatica marsigliese, sarebbe preoccupante se l’Italia e il Quirinale si allineassero al pensiero debole del Nazareno e dei suoi corifei da tastiera, che prevede nell’ordine: la pace ma senza Trump, la sconfitta e la destituzione di Putin, l’ombrello protettivo americano e la beatificazione della Ue. Più che una strategia, sarebbe pura stizza ideologica riassumibile in un vecchio motto francese: «Non puoi volere il burro, i soldi del burro e le grazie della lattaia». Troppo comodo.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.