2022-11-28
Mario Bertolissi: «Politici e burocrati sono i veri nemici del decentramento»
Il consulente di Luca Zaia: «Temono di perdere potere. Ma il principio è in Costituzione dal 2001 e attende ancora di essere applicato».«Da 20 anni il principio di autonomia finanziaria degli enti locali è stato inserito nella Costituzione. La riforma è partita dalle modifiche al Titolo V nel 2001, ma non è stata attuata. E non mi stupisce. L’autonomia regionale viene spacciata come elemento di divisione e impoverimento delle aree già arretrate. In realtà, ci sono troppi interessi in gioco, della politica e degli alti burocrati dell’amministrazione centrale. È ipocrita far finta che non ci siano differenze tra Nord e Sud come benessere e qualità dei servizi. Ma questa spaccatura si è verificata proprio parallelamente all’accentramento del potere fiscale, politico e amministrativo». Mario Bertolissi, ordinario emerito di diritto costituzionale nell’università di Padova, è tra i maggiori studiosi delle autonomie regionali, oltre che consulente del governatore veneto Luca Zaia.A che punto siamo? Volendo fare una mappa dei risultati raggiunti, quali bandierine metterebbe?«Nessuna. Non c’è settore in cui le decisioni ultime non spettino allo Stato».Ma sulla sanità sono le Regioni a decidere.«Suvvia. La sanità è materia dello Stato ed è giusto che sia così. Alle Regioni compete l’organizzazione».Però con la pandemia l’autonomia regionale è stata dirimente.«Con i dpcm sono state date linee guida e raccomandazioni, lasciando ai governatori la patata bollente delle decisioni. Si è giocato molto sull’ambiguità per una materia che resta comunque di pertinenza dello Stato centrale. Vi sfido a trovare una sentenza che dia ragione a una Regione. Nessun giudice costituzionale si esprimerebbe a favore di una Regione penalizzando lo Stato». Il partito del No a forme di decentramento differenziato sostiene che il Sud verrebbe abbandonato a sé stesso.«La crescita delle tre Regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) che hanno chiesto maggiore autonomia metterebbe in moto un meccanismo virtuoso nelle realtà meridionali, con un effetto di imitazione, creando coesione vera. Un esempio di vero federalismo è quello che è stato sperimentato all’indomani del terremoto in Friuli Venezia Giulia. La solidarietà nazionale ha prodotto effetti positivi perché c’era un’amministrazione locale che funzionava. Nell’emergenza i sindaci hanno lasciato da parte le divisioni politiche. E comunque il Paese è spaccato, anche se alcuni non vogliono vederlo».Spaccato in che senso?«Basta vedere quello che è successo dopo i terremoti. In Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna la ricostruzione è stata rapida. A Norcia come ad Arquata la situazione è rimasta pressoché invariata dal 2016. Un altro esempio di differenza tra le Regioni è sulla sanità. È una realtà il turismo sanitario. A Padova o a Milano, dove esistono eccellenze mediche riconosciute a livello internazionale, arrivano numerosi pazienti dal Mezzogiorno. Chiedo se non sia deplorevole costringere i malati a intraprendere un viaggio e un trasferimento costoso per trovare cure sanitarie migliori. Non è questa la coesione nazionale. Le Regioni del Nord stanno vivendo un’accelerazione della ripresa economica. Impedire a questi territori un’autonomia significa ostacolare uno sviluppo che andrebbe a beneficio di tutto il Paese. Non ci dimentichiamo che abbiamo un debito pubblico pesante».Anche partiti della maggioranza dicono che nessuno va lasciato indietro. «Ma allora, mi viene da dire, stiamo fermi, non facciamo le riforme, così davvero nessuno viene lasciato indietro. Il grande errore è che nessuno fa mai riferimento alle responsabilità. Vorrei chiedere alle Regioni del Sud come mai non riescono a spendere i fondi europei, come mai sono indietro con i progetti e rallentano l’impiego dei finanziamenti del Pnrr. Prima di parlare di autonomia, bisognerebbe dare una risposta a questi interrogativi». L’autonomia nell’istruzione non comporta il rischio di creare studenti di serie A e di serie B?«Nessuno chiede autonomia nella programmazione scolastica, nelle materie di insegnamento e nell’assunzione del personale docente. Quando il Veneto chiede di poter intervenire negli aspetti organizzativi, è per fare in modo che l’anno scolastico cominci con tutti gli insegnanti al loro posto. Quello che avviene oggi non è ammissibile e l’autonomia aiuterebbe a risolvere questi problemi. Ora la scuola è interamente nelle mani del ministero e dei sindacati, che vogliono continuare ad avere il controllo sui docenti. Mancano le valutazioni di merito del corpo docente, la scuola è allo sbando, ma nessuno vuole introdurre verifiche sugli insegnanti. Chi ottiene una cattedra facendo concorsi farsa pilotati dai sindacati sa a chi deve rendere grazie». Siamo sicuri che dando maggiore autonomia sulla scuola alle Regioni l’istruzione se ne avvantaggerebbe?«Quando si parla di disastro della scuola, come mai si impedisce il reclutamento in autonomia del personale per migliorare il sistema? La disuguaglianza si elimina, se migliora l’economia. Le Regioni che reclamano maggiori spazi decisionali sono quelle che reggono il confronto con le migliori d’Europa. Va creata una sinergia, non una contrapposizione».