2025-07-28
Marelli ai creditori, colpa di Elkann
Il gruppo da 51.000 dipendenti, venduto di recente da Stellantis, ha presentato istanza di fallimento e nessuno l’ha rilevato. Si temono gravi ripercussioni sull’occupazione.L’illusione è finita e per paradosso è una storia di batterie e pile scariche che squarcia purtroppo sulla pelle di decine di migliaia di lavoratori una doppia ipocrisia: quella della famiglia Agnelli-Elkann di aver sempre pensato a salvaguardare l’impresa e la manodopera italiana - hanno ricevuto dal 2000 a oggi sotto varie forme 19 miliardi di sostegni pubblici sottratti alle tasche dei contribuenti tra Fiat e Stellantis - e quella che il Green deal sia fautore di un nuovo sviluppo. Finisce nella maniera più misera la storia della Magneti Marelli: un gruppo che ha prodotto una vera innovazione nel settore dell’automotive - le sue iniezioni elettroniche, i sistemi di accensione, gli accumulatori di nuova generazione sono brevetti del genio italiano copiati e adottati da tutti i costruttori del mondo - e che ora dichiara fallimento. Tecnicamente la Marelli che finora era di proprietà del fondo Kkr è già passata nelle mani dei creditori. Ha presentato istanza di fallimento negli Usa - procedura di «chapter 11» - e i termini sono scaduti. Nessuno si è presentato per rilevare l’azienda perciò oggi la Marelli passa in mano ai creditori che sono la banca giapponese Mizuho e il fondo «opportunista» Strategic Value Partners specializzato nella dismissione di imprese decotte. La sorte di Marelli accende un allarme rosso su tutta l’industria automobilistica mondiale. Il gruppo, che ha assunto l’attuale denominazione dopo la fusione con Calsonic Kansei, attualmente conta 170 siti produttivi con circa 51.000 dipendenti nel mondo avendone già licenziati circa 5.000 nell’ultimo anno. È entrato in una crisi verticale dopo l’approvazione del Green deal da parte dell’Ue e la spietata concorrenza che i costruttori cinesi di auto elettriche hanno fatto ai costruttori di macchine a motore endotermico. Nel 2022 Marelli ha chiuso il bilancio con 13,6 miliardi di fatturato in crescita. Poi è cominciata la crisi. Lo scorso anno il fatturato è sceso del 20% mentre l’indebitamento è salito a otre 4,2 miliardi di euro. A decretare la crisi della Marelli - solo in Italia occupa 6.000 dipendenti - è la diminuzione produttiva di alcune marche Maserati, Bmw, Mercedes-Benz e Toyota oltre a Nissan e Stellantis. A metà dello scorso anno sembrava che si fosse aperto uno spiraglio con il possibile intervento del gruppo indiano Samvardhana Motherson International Ltd (Samil) che ha un fatturato consolidato di 12 miliardi euro e qualcosa meno di 130.000 dipendenti. Samil è il primo fornitore dei costruttori indiani e coreani e ha cercato di penetrare con parte della sua componentistica anche nel mercato cinese. L’accordo per Marelli prevedeva che gli indiani senza sborsare un euro si sarebbero accollati i debiti. Ma evidentemente la trattativa non ha dato l’esito sperato così si è arrivati all’epilogo della messa all’asta di Marelli. La Magneti Marelli - fondata nel 1919 da Ercole Marelli e acquisita negli anni ’50 da Fiat -fu ceduta per 6,2 miliardi di euro da Fca (Agnelli-Elkann) nel 2019 al fondo americano Kkr che poi l’ha fusa con Calsonic. La situazione in Italia si fa particolarmente pesante alla luce di questo fallimento pilotato visto che nel nostro Paese Marelli mantiene gli stabilimenti di Torino - il solo che per ora non ha subito tagli occupazionali e Cig- , Bologna, Sulmona dove la cassa integrazione è già attiva, Crevalcore e Corbetta e ora si temono pesanti contraccolpi sull’occupazione. Anche perché la crisi Marelli è solo l’inizio di un effetto valanga che si sta per abbattere su tutto il comparto dell’automotive visto che Ursula von der Leyen non fa nessun passo indietro sul blocco dei motori endotermici. Peraltro l’assessore alle attività produttive della Lombardia, che è anche il presidente delle regioni d’Europa dove hanno sede stabilimenti automobilistici, Guido Guidesi è stato drammaticamente chiarissimo: «Cancelliamo le multe ai costruttori, ripensiamo lo stop ai motori endotermici o l’industria dell’auto sparisce». Per adesso con la Marelli ha spento i fari.
Giusi Bartolozzi (Imagoeconomica)
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